Utopia, la nuova casa editrice fondata da under 30, fra Premi Nobel e grandi scrittori da rivalutare. Intervista
Utopia è la casa editrice fondata a gennaio del 2020 da un gruppo di giovani nati negli anni Novanta e che si è subito imposta a livello nazionale con un catalogo importante e uno stile ben preciso. Se pensate che si tratti di una comitiva di outsider improvvisati, siete sulla strada sbagliata. I fondatori e i componenti della redazione sono giovani sì, ma con esperienza e preparazione da vendere nel campo dell’editoria e dell’industria culturale. E soprattutto hanno le idee molto ma molto chiare su cosa sia e debba essere la loro casa editrice. Il catalogo pullula di autori “dimenticati” e ora “riabilitati” come Massimo Bontempelli o Sigrid Undset, l’ultima delle novità presentate dalla nuova casa editrice.
A parlarci di Utopia è il suo editor Gerardo Masuccio: si occupa di diritti, scouting, scelta dei titoli, è il fondatore e lo scheletro della casa editrice ma, ci tiene a ribadirlo, ognuno è fondamentale nel proprio campo.
Partiamo dall’inizio: quando è nata davvero Utopia?
L’idea di fondare una casa editrice e di lavorare su un certo tipo di titoli è cresciuta con me, ho da molto tempo un’idea chiara su cosa sia l’editoria di qualità e cosa non lo sia. Poi, nelle sue declinazioni concrete, tutto si è sviluppato a partire da gennaio 2020. Sulla base delle mie conoscenze e del mio percorso da lettore ho capito quali potessero essere i titoli giusti e ho cominciato a cercare di acquisirne i diritti. Dopo dieci mesi abbiamo trenta autori in portafoglio.
Perché fondare una nuova casa editrice?
L’idea nasce dal malessere generazionale di un gruppo di persone, attivo da tempo nell’editoria e nell’industria culturale, molto formato e preparato rispetto alla generazione precedente ma per il quale lo spazio nell’industria così come la conosciamo è poco. Tutti noi abbiamo maturato una grande esperienza nel settore e a un certo punto ci siamo resi conto che c’erano le condizioni ambientali per unire le forze.
Ci sono molte piccole case editrici in Italia ma spesso non escono dall’ambito locale. Per Utopia invece la ribalta è stata subito nazionale. Come ci siete riusciti?
L’editoria vera e propria richiede che il libro venga percepito da una comunità letteraria composta da persone che si scambiano opinioni sui libri. Per me un libro e una casa editrice hanno ragion d’essere se sono percepiti da questa comunità, dalla stampa, dalle librerie, dalla grande distribuzione come dagli indipendenti. Utopia quindi nasce con lo scopo di percorrere la filiera del libro in tutte le direzioni.
Chi sceglie di leggere un libro edito da Utopia può aver letto un’importante recensione su una testata prestigiosa e può averne sentito parlare su Instagram da un influencer. Come convivono le due cose?
Io credo che i lettori non si possano categorizzare in base allo strumento col quale arrivano al libro ma in base al tipo di letteratura di cui fruiscono. La nostra è alta letteratura e ci sono lettori più giovani che si accorgono che esistiamo magari attraverso i social e un’altra cospicua parte meno giovane di lettori che arriva a noi grazie alla stampa. Questa però più che una nostra peculiarità dovrebbe essere una caratteristica di ogni impresa che lavora bene. Non ho mai pensato che potesse esserci un’altra alternativa oggi. Occupandoci di letteratura abbiamo l’esigenza di raggiungere lettori colti, molto sensibili e che distinguono con facilità ciò che un libro è e ciò che non è.
Come è avvenuta la scelta degli autori e dei titoli in catalogo?
Io sono per il “rem tene, verba sequentur” per cui avendo ben chiaro il nostro obiettivo è semplice accorgersi se un autore fa al nostro caso o no. Nella mia mia idea, l’impresa culturale deve essere una locomotiva, un traino. Una delle grandi ferite della nostra editoria sta nel fatto che l’editore segue il suo pubblico, non lo orienta ma si fa orientare.
Una casa editrice fondata da giovani ma ancora nessun esordiente in catalogo. Ce ne sarà qualcuno fra le prossime uscite?
Sì, ci saranno degli esordienti sul mercato italiano cioè degli autori stranieri che da noi non sono mai stati pubblicati. Stiamo portando avanti un lavoro di scouting molto approfondito sulla letteratura internazionale. In questo momento non abbiamo esordienti italiani semplicemente perché finora non ne abbiamo trovato uno all’altezza. In ogni caso resto dell’idea che di un autore conti solo la letteratura e non la biografia. Per me un Premio Nobel vale come un esordiente se quell’esordiente è bravo. Il problema è che oggi è molto difficile trovarne qualcuno. Siamo sommersi di manoscritti ogni giorno ma alcuni ci scrivono senza neanche conoscere il nostro catalogo e questo è il primo passo falso da non compiere. Il livello, e non lo dico solo io, è bassissimo.
Il lockdown ha riavvicinato molte persone alla lettura. È un falso mito o è davvero così?
Io credo molto nelle svolte ma non penso che un evento storico così limitato nel tempo possa davvero impattare fino a questo punto sull’evoluzione personale o sulla grande storia. Oltretutto non mi sembra che l’umanità ne sia uscita migliore dal punto di vista intellettuale. Certo, si è letto un po’ di più perché si stava in casa ma comunque si leggeva poco prima e si legge poco ancora oggi. Sono molto letti i libri di evasione, anche ben scritti. Ma i libri sono un’altra cosa a mio avviso. La lettura è un esercizio di consapevolezza su noi stessi, sugli altri, sulla vita, sul mondo intorno. Un libro di evasione fa esattamente il contrario: distrae, porta lontano da sé e questo genere a me non interessa.
Non passa inosservata la scelta grafica dei vostri libri. Da cosa nasce?
Quella che abbiamo voluto è una forma quanto mai sostanziale. I libri sono stati disegnati da Giovanni Cavalleri con una grafica studiata appositamente per Utopia e che punta molto sulla riconoscibilità. L’assenza di quest’ultima è uno dei drammi della nostra editoria: un libro potrebbe appartenere al catalogo di una casa editrice come a quello di un’altra e il lettore medio non se ne accorgerebbe. Per me, invece, tutti i libri sono capitoli di un’opera d’arte più grande che è il catalogo perciò ho sempre pensato che tutte le copertine dovessero essere uguali, ovviamente con una declinazione specifica nella ricerca iconografica ma partendo comunque da una gabbia che facesse subito dire che quel libro è della nostra casa editrice. E devo ammettere che questa è stata una scelta di successo: molti dei complimenti che riceviamo dai lettori o dai librai sono legati, oltre che alla scelta del titolo e dell’autore, anche alla copertina e alla grafica.
Come siete stati accolti nell’ambiente dell’editoria?
Diciamo che non sono sicuro che nei palazzi dei grandi gruppi editoriali tutti si siano accorti di Utopia ma secondo me è giusto anche così. E questo mi dà fiducia perché forse – ndr Masuccio sorride mentre risponde – non sempre facciamo lo stesso mestiere.
a cura di Barbara Rossi