Super Tramp Club: la gen Z che cura un progetto editoriale di storie vagabonde

 Super Tramp Club: la gen Z che cura un progetto editoriale di storie vagabonde

A sentirlo parlare dal vivo, Giulio Frangioni di anni ne dimostra almeno dieci in più di quelli che ha. 22. Dialettica, cultura, empatia, coinvolgimento. Tutto quello che non ci si aspetta da un gen Z, a maggior ragione quando si parla di letteratura. Eppure, conoscendo Giulio si capisce che le nuove generazioni il passato non l’hanno dimenticato, anzi portano con loro i grandi come Steinbeck, Roth, o anche Pavese e Pasolini fra le parole scritte e pensate, e sono addirittura capaci di concretizzare qualcosa in cui ci credono davvero.

Super Tramp Club è un progetto che rischia di diventare grandioso: una casa editrice indipendente e una rivista letteraria di alto livello che cura tutto nei particolari: dalla grafica alla scelta degli autori e dei loro racconti.

A capitanare tutto: Giulio Frangioni che ci ha traghettato in questa intervista fiume.

Buona lettura!

 

Prima di parlare di «Turchese», dovremmo parlare di qualcosa di più grande. Giusto? Dicci un po’ cos’è Super Tramps Club, in che mondo vive e quale mondo vive.

Ciao Antonella, che bello essere qui! Hai ragione, infatti inizio tutte le presentazioni così. Prendo una copia di «Turchese» in mano (di solito una mano tutta tremante, completamente in preda al panico), la faccio vedere al pubblico e dico: «Ok, se mi chiedete cos’è “Turchese” so rispondere: è la rivista letteraria del Super Tramps Club». Ti giuro, in quei momenti sono talmente terrorizzato che se non ci fosse scritto sulla copertina potrei dimenticarmi anche quello. «Ma ecco, se mi chiedete cos’è il Super Tramps Club, invece, sono più confuso.»

Ed è la verità. Ho tutta una serie di risposte, provate e collaudate alle cene e alle feste, ma non so mai quale scegliere. La più cheesy è che Stc è una casa per tutte e tutti quelli che una casa non ce l’hanno. I vagabondi, appunto. Ma tu immaginati uno che a una festa ti dice ’sta roba, tu sei lì, con la tua tartina in mano, non sai neanche bene cosa rispondere, se stia scherzando o no, insomma, questa risposta l’ho cancellata dal repertorio. Abbiamo il sempreverde «è una casa editrice vagabonda, per perdersi nelle storie», ma pure lì, magari sei appena uscito dal traffico, di perderti di nuovo non ne hai proprio voglia, di perdere tempo no grazie, e quindi tanti saluti. Alla fine ciò che mi piace di Stc è che ognuno può decidere che risposta dare, e per quanto fermarsi. Per un racconto, un romanzo (l’anno prossimo esce il nostro primo titolo!), o anche solo per una chiacchierata. È un «club» per questo, siamo tuttə invitatə. Sempre.

Super Tramps. Tutti lo avrebbero chiesto e in quel tutti siamo compresi anche noi. Collegamenti con la band? Se sì, spiegacelo. Se no, spiegacelo lo stesso.

(Sorride n.d.r.) Sì, collegamenti con la band, eccome. Pensa che uno dei primi racconti che ho scritto per Stc, quando ancora c’era solo il sito e firmavo le mie storie con nomi falsi per dare l’idea di essere una community (oggi pubblichiamo un racconto o una raccolta di poesie alla settimana, di autrici e autori italiani, ma non solo), si intitolava Colazione in America, dall’album Breakfast in America dei Supertramp.

Ma non finisce lì, il nome arriva anche dalla letteratura. In quei tempi avevo appena finito di rileggere Into the Wild di Jon Krakauer, libro pazzesco, il cui protagonista si fa chiamare Alex Supertramp per la sua predisposizione al nomadismo.

Poi in quel periodo ero in fissa con tutta la Beat Generation, Ginsberg-Kerouac-Burroughs e compagnia cantante (cantante davvero, con le improvvisazioni jazz e tutto il resto), e da loro ho ereditato un po’ l’idea del vagabondaggio come stile di vita.

Era tempo di sacco a pelo sulle panchine, patatine rubate al McDonald’s, autostop e capelli tagliati con le forbici in autostrada. Erano i giorni che mi hanno segnato di più, e che mi segnano tuttora. Non potevo non intitolare così il mio progetto più caro.

E ora raccontaci un po’ cos’è «Turchese» e come è nata l’idea.

Oh, «Turchese» è stata un’idea di Luca, un ragazzo che lavora per Stc (quando dico «lavora» intendo assolutamente gratis e non ho ancora capito perché). È stato direttore editoriale insieme a me per un anno, ora non più, ma quell’anno ha posto le basi di tante cose. «Turchese» è una di queste. Vivevo in Grecia quando mi ha scritto: «Giulio, il problema di Stc è che la gente non riesce a percepirla come casa editrice perché sembra troppo una rivista letteraria». Come la risolviamo, gli ho chiesto. «Fondiamo una nostra rivista letteraria.»

Col senno di poi posso dire che ha funzionato. Poi Luca è daltonico, l’ha chiamata «Turchese» ma ha scelto per colore della rivista un verdino. Non ho mai avuto cuore di dirglielo. Luca, se stai leggendo, non credere a queste righe, Antonella è impazzita ha cambiato tutto il testo aiuto si è ammutinata.

Facciamo un po’ un’intervista a ritroso. Chi c’è dietro a tutto questo e com’è nata l’idea della casa editrice?

Chi c’è dietro a tutto questo è una bella domandona. C’è un gruppo di persone meravigliose che mi aiutano, questo sì: ci sono due grandi grafici, delle straordinarie fotografe i cui scatti trovate su «Turchese» 2, tante autrici e tanti autori… ma quello che conta di più è il supporto affettivo. L’autore Stefano Tarquini, che si vocifera ormai scriva ogni sua poesia direttamente nella nostra barra della chat di WhatsApp. Quel rimbambito di Fabione (lo amo), il nostro tipografo. Il grafico Eri, che più che da grafico ormai mi fa da padre adottivo. Alessandro Tesetti e i suoi amici Benedetta e Fabrizio. Tutte le madri e gli zii e i cugini e le migliaia di sorelle riviste e case editrici che ci stanno mostrando amore in questi giorni. Sembra un discorso di ringraziamento agli Oscar, ma è vero, c’è tanto di quell’affetto qui dietro che se lo vedi tutto in una volta ne esci matto. Tutte e tutti noi vogliamo fare un’editoria diversa, nuova, che viene dal basso e si tiene per mano e si vuole tanto, tanto bene.

Piccola digressione: che ci siano o no i Supertramp in questo «Turchese», sfogliandolo e ammirando queste belle fotografie dalla patina anni ’70, a noi verrebbe in mente di mettere su un Goodbye Stranger a caso. Puoi rispondere se vuoi. O solo sorridere, ci metteremo una bella n.d.r.

Altro che sorridere, questa «piccola digressione» mi ha commosso proprio, non so perché. Sarà che ho dormito cinque ore e quando dormo poco ho la lacrima facile. Ieri sera abbiamo presentato «Turchese» 2 a Torino, alla libreria Trebisonda; è venuta un sacco di gente e non me l’aspettavo per niente. Dopo la presentazione siamo usciti a bere, tutte e tutti insieme. Io, il traduttore Federico Scarpin e l’autore Quincy Baltimore abbiamo dormito accampati nella stanza di una mia amica. Li vedevo lì, nel loro sacco a pelo, mentre dormivano, e ti giuro mi esplodeva il cuore. Stamattina sveglia alle 6,30, per prendere il bus più economico in direzione Roma. Domani sera (era l’8 ottobre n.d.r.) alle 18,00 presentiamo alla Tomo Libreria Caffè, devo ancora scrivere il discorso ma c’è tempo per andare nel panico.

In questo momento Quincy Baltimore, che dorme di fianco a me, è tutto ciò che conta. Ieri sera a Torino abbiamo annunciato che il primo romanzo Stc sarà suo, era felice come non l’avevo mai visto. Poi ora vorrei ammazzarlo, mi ha rubato più di metà sedile, ma in fondo va bene così, è una cosa bellissima. Ho messo i Supertramp nelle cuffiette, non li ascoltavo da un po’. Li lascio in sottofondo mentre rispondo alle prossime domande, dai, parto da Goodbye Stranger.

Cosa c’è nell’ultimo numero di «Turchese»?

Dopo una recente esperienza ho perso ogni qualifica necessaria a rispondere a questa domanda. Ieri pomeriggio ero con Quincy Baltimore e Federico Scarpin (entrambi sono su «Turchese» 2, Fede ha tradotto un racconto incredibile dell’autore austriaco Thomas Perle e di Quincy ho inserito un racconto che poi è diventato un capitolo del nuovo romanzo) in un bar in piazza Vittorio, a Torino. Arriva la cameriera e dice: «Dai, raccontatemi un po’, cosa fate nella vita?». Io, tutto orgoglioso, le rispondo: «Abbiamo una casa editrice! Tra un’ora c’è la presentazione di una nostra rivista di racconti». Lei, per nulla impressionata, chiede: «E di che parlano questi racconti?». Io vado nel panico. «Ehm, di tutto un po’, sono tutti diversi…» E lei fa, ironica: «Ammazza oh, se la fa lui la presentazione state proprio a posto!».

Qual è il criterio di scelta dei racconti e ci sono temi che accomunano le storie di ogni numero?

Non ci sono temi, per ora. Non volevamo precluderci nessuna scelta. A me non piace tanto il fantasy e con la fantascienza faccio fatica, ma non è così limitante. In genere, cerco racconti che mi piacciano, il che suona come una cavolata e forse in effetti lo è. Però sì, cerco storie che mi facciano sentire perso o che mi riportino a casa, cerco, come scrive Giovanni Locatelli in Robaretrò, il racconto che apre «Turchese» 2, un ricordo capace di farmi tornare.

Come mai la scelta di pubblicare su carta?

È vero, «Turchese» è soltanto cartaceo e non lo si può leggere senza comprarlo, a 12 euro, ordinandolo on line dal nostro sito o acquistandolo in una delle poche librerie indipendenti che ci ospitano. Il che, per una casa editrice che vuole fare le cose dal basso e tenersi la mano eccetera eccetera non è proprio il massimo della coerenza. Ma è anche vero che pubblichiamo un racconto on line, ogni settimana, sul nostro sito, da ormai quattro anni.

«Turchese» nasce cartaceo perché vuole essere un prodotto di ricerca, sia visiva che narrativa. Con «Turchese» possiamo permetterci di osare di più, avere uno spazio nostro, fisico come solo la carta sa essere, da passare di mano in mano, imprestare, sottolineare. Volevamo qualcosa che potesse essere posseduto, imprestato, rubato, su cui spendere tutte le nostre energie e trascorrerci le notti e saltarci gli esami all’università. Questo volevamo. E sta funzionando alla grande, raga’.

Prestate molta attenzione alla grafica e avete creato uno stile riconoscibile. Che peso ha la parte visual in questo progetto e cosa rappresenta?

La grafica è davvero da sempre una delle nostre passioni, forse perché siamo sempre stati un po’ limitati, confinati su un sito web molto semplice. E come tutte le gabbie, ti fa venire voglia di evadere nei modi più creativi. Siamo convinte e convinti che ci si debba ingegnare per non perdersi nemmeno un modo per raccontare storie. Come la serie di concerti con reading di poesie che abbiamo organizzato l’anno scorso, un mix di generi diversi, molto Beat Generation, per non perderci neanche un modo di parlare al pubblico.

Come vi abbiamo conosciuto: ci è arrivata una mail con oggetto «Da rivista a rivista, tanto amore». Ecco. Cos’è l’amore per le parole secondo voi?

Piantala di fare domande così fighe, che se vieni a sentire le interviste che farò a Roma domani ad autrici e autori faccio una figuraccia! Davvero, a questa come rispondo? Hai colto i nostri riferimenti un po’ seventies, chiaramente c’è un’ispirazione alla Summer of Love e al mood «mettete fiori nei vostri cannoni», ma non è soltanto questo. L’amore Stc è un amore che non è mai di facciata, lo sento quando un’autrice o un autore mi manda un testo che non vuole nemmeno pubblicare con noi, soltanto per sapere che ne penso. È l’amore che sottende, come il coro segreto di Goethe, all’editoria italiana tutta. Come ho scritto sull’editoriale di «Turchese» 2: «Il mondo dell’editoria più che un mondo inizia a sembrarmi sempre più un paesino in cui la gente cammina per strada tranquilla e ti saluta sempre e aiuta la vecchina ad attraversare la strada e poi la sera organizza uno sfacelo di rave sotterranei e quella stessa vecchia te la ritrovi che volteggia sullo speaker con una bottiglietta d’acqua in mano e pensi mannaggia la vecchietta, che bello voglia restare idratata anche quando è in festa. Ho perso il senso della metafora. Il punto è che l’editoria è un casino totale, ma pieno di bella gente, ed è stupendo che il Super Tramps Club si stia costruendo il suo posto vagabondo per le strade di questo paesino».

C’è qualcosa che non vi abbiamo chiesto e che volevi dirci?

Che il giorno in cui Luca mi ha scritto «dobbiamo fondare una rivista letteraria», l’ho detto, ero in Grecia, io e lui ci sentivamo soltanto per messaggio. Continuavamo a mandarci link di racconti, e non abbiamo ancora smesso. E Rivista Blam! è sempre stata nel mio cuore, a tal punto che non mi sembra vero di starti scrivendo, Antonella. Ancora mi aspetto che possa rivelarsi tutta una mail di frode, chessoio, furto d’identità, perché oh, a me pare impossibile di stare parlando con delle campionesse e dei campioni come voi. Ci avete illuminato la strada, e mi raccomando, non smettete mai di farlo.

(E comunque, se posso raccontarti un’altra cosa, va benissimo l’affetto e Quincy Baltimore che dorme, che carino, tutto quello che vuoi, ma spero davvero che si svegli, devo fare la pipì, sono lato-finestrino e ho ascoltato tutta la discografia dei Supertramp).

 

A cura di Antonella Dilorenzo

Antonella Dilorenzo

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