«Di notte illustro i miei sogni», VecchiaJane è l’illustratrice del mese di aprile
Un’infanzia ricca di amici immaginari ha dato l’opportunità a VecchiaJane di sviluppare un mondo parallelo a quello dell’Economia e delle risorse umane, che rappresentano rispettivamente i suoi studi universitari e il suo attuale lavoro. Durante le ore notturne, si dilettava a giocare con l’immaginazione e a dare vita, con pastelli e matite, a personaggi che per lei erano esseri viventi, ricchi di emozioni e colore. Appassionata del vintage, ha un sogno nel cassetto: illustrare per il «New Yorker».
Francesca Lippa è l’illustratrice del mese di aprile. Conosciamola in questa intervista.
Chi è, cosa fa e dove vive.
Sono VecchiaJane, detta anche Francesca. Ho quarantaquattro anni e vivo a Roma. Sono HR Manager in una azienda di information technology. Di notte illustro i miei sogni.
Ci racconta il momento in cui ha deciso che il disegno sarebbe stato il suo lavoro?
Mi piacerebbe avere una storia di grande impatto, invece non lo ricordo. Forse stavo disegnando e mi è passato di mente. Ho studiato Economia perché inizialmente non avevo il coraggio di seguire la mia passione, quindi c’è stato un lungo periodo in cui dipingevo solo di notte, tra un esame e l’altro, tra una formula finanziaria e un teorema. Il malessere profondo di quegli anni ha alimentato i miei disegni. Ho iniziato una carriera lavorativa diversa, ma mi ha aiutato a conoscere degli aspetti di me che non credevo di avere. Nei ritagli di tempo disegnavo, studiavo, scoprivo il mondo degli illustratori. Li spiavo. Poi ho realizzato che, se ero stata capace di portare a termine una cosa che odiavo come l’economia, avrei potuto senza dubbio dedicarmi con facilità a ciò che mi appassionava veramente.
Come definirebbe il suo stile?
Cito una ragazza che ho conosciuto su Instagram grazie alle mie illustrazioni, lei le ha definite «dreamy e pastellose». Mi piace.
Che bambina è stata?
Introversa, solitaria ma mai sola. Occupata nel mio mondo fantastico fatto di creazioni di carta, storie inventate, costruzioni e idee. Non ho mai apprezzato la compagnia di bambini della mia stessa età, mi sono sempre trovata a mio agio con le persone più grandi o con gli animali. I miei peluche erano i miei migliori amici, pur se immaginari. Però non mi sono mai sentita come Danny Torrance [bambino protagonista del film Shining ndr.]: avevo già un apprezzabile senso dell’umorismo, disegnavo continuamente dei mondi sotterranei, ero fissata. Ho scordato di raccontare tutto questo al mio analista.
Cosa c’è sul suo piano di lavoro?
Caos! Carta, pennelli, china, ritagli, un telefono nero di bachelite degli anni Quaranta, una collezione di china degli anni Trenta di un negozio francese, un’illustrazione vintage comprata a un mercatino umbro, il mio inseparabile iPad del 2017, matite, e ogni tanto il mio bassotto a pelo duro di nome Vanvera che cerca di rubarmi qualcosa.
Come imposta il suo lavoro? Fa degli schizzi su un taccuino dopo un guizzo di ispirazione: idea che si ha degli illustratori nell’immaginario comune?
Ho sempre sognato di essere seduta in un bistrot francese mentre sorseggio un caffè americano bollente, improvvisamente vengo colta dall’ispirazione e tiro fuori il mio taccuino nero. Poi mi sveglio e sono in un supermercato, assorta a fissare una donna che indossa un vestito con dei colori e delle fantasie che mi attraggono, in una posa per me entusiasmante. E cerco di fissarla nella mia mente, oppure sono in fila in macchina e tra i pensieri si materializza la combinazione perfetta. Puntualmente non ho il taccuino con me. Non imposto il lavoro, mi siedo e decido che è ora di disegnare. Riguardo le parole che ho appuntato, la foto che ho fatto, il particolare del vestito, lo schizzo volante che sembra disegnato dalla me bambina. Un po’ come quando ti scrivi i bei sogni per non dimenticarli.
Qual è la richiesta più strana che le hanno fatto?
Riprodurre un disegno creato da un’altra persona. Io illustro quello che sento e vedo, coloro con gli stati d’animo. Non mi interessa riprodurre le idee di qualcun altro.
Ci racconti brevemente i progetti a cui hai lavorato e di cui va fiera?
Il mio nome d’arte, VecchiaJane, è legato a un personaggio di un libro che mi rappresenta totalmente: Il giovane Holden. È ambientato a New York, città a cui sono legata da sempre, in cui esiste la galleria Van Der Plas Gallery che un bel giorno mi ha contattato per collaborare – relazione lavorativa che dura tuttora. Ho creato per loro delle illustrazioni su diversi temi. Poi, ho illustrato un libro che uscirà a breve che affronta il tema della donna e la consapevolezza del proprio corpo. A parte questo ritengo che ogni illustrazione sia un progetto.
Nei suoi soggetti disegna spesso le donne. Cosa rappresentano per lei?
I miei stati d’animo, i miei desideri, le mie paure.
Se fosse un quadro famoso, quale sarebbe e perché?
Ophelia di Sir John Everett Millais. Ophelia dovrebbe essere morta, ma il suo sguardo è vivo e pieno di dolore e angoscia. Galleggia inerme in uno spazio carico di colori pieni di vita. Mi sono sentita spesso così: immobile e in balia di una corrente che non potevo governare.
Tre illustratori che l’ hanno illuminata sulla via di Damasco…
Solo tre? Jenny Kroik è la prima. L’ho scoperta in una piccola galleria di New York: coglie l’attimo con semplicità complessa. Illustra spesso per il «New Yorker». Sophie Griotto, ho visto le sue illustrazioni giganti a Roma. E poi, Emiliano Ponzi.
Cosa illustra per Rivista Blam! nel mese di aprile?
Illustro quattro racconti scritti da giovani donne. Completamente diversi tra loro. Distopia, violenza, smarrimento, malinconia, consapevolezza. Ogni racconto è un viaggio nella mente di qualcun altro. È una responsabilità rappresentarli con una illustrazione.