Foto d’epoca, colla e cutter: ecco com’è la vita di una collagista. Intervista a Ottavia Marchiori
È entrata timidamente nelle pagine web di Rivista Blam! qualche anno fa e poi ha spiccato il volo. Oggi crea collage per riviste letterarie magazine a tiratura nazionale come «Donna Moderna». Si arma di colla, cutter a bisturi, matite colorate per creare combinazioni strambe di immagini che poi hanno sempre un significato da interpretare. Abbiamo intervistato Ottavia Marchiori, illustratrice dei racconti di ottobre di Rivista Blam!
Chi è, cosa fa e dove vive.
Sono Ottavia Marchiori, artista visiva e illustratrice editoriale, specializzata in collage analogico. Vivo a Parma e sono originaria della provincia di Pavia.
Ci racconta il momento in cui ha deciso che il disegno sarebbe stato il suo lavoro?
Il percorso che mi ha portato a scegliere questa professione è atipico. Ho fatto studi universitari non inerenti all’arte e ho avuto esperienze lavorative che nulla hanno a che vedere con ciò che faccio oggi. Ai tempi della pandemia mi sono concessa un momento di profonda riflessione per capire cosa mi sarebbe piaciuto esplorare e sviluppare rispetto a quello che avevo già esperito e mi sono riavvicinata all’arte del collage, già praticata durante l’infanzia. La profonda soddisfazione nell’atto creativo e i riscontri che ho avuto intessendo le prime collaborazioni mi hanno permesso di comprendere di essere sulla strada giusta. Ho un grande debito di riconoscenza verso le riviste letterarie, fra cui Rivista Blam! che è stata tra le primissime a darmi fiducia e a dare spazio alle mie illustrazioni e al collage.
Come definirebbe il suo stile?
Il mio stile è pop, spontaneo, espressivo, colorato, surreale, spesso permeato di ironia, con qualche incursione nella nostalgia vintage. Una volta una persona a una mia mostra mi ha fatto il più grande complimento che potessi ricevere, definendo le mie opere come oneste.
Che bambina è stata?
Curiosa, creativa, sognatrice. Un’idealista. Amavo leggere (colleziono tutt’ora i Gaia, i Giallo e i Super Junior della Mondadori, tanto amati dalla generazione di lettrici e lettori a cui appartengo). Amavo creare. Ricordo che la carta è sempre stata per me un elemento fondamentale (sono una xennial e i nostri erano tempi analogici). Una volta costruii una casetta per i Mio Mini Pony con tanto di montacarichi per le vivande assemblando i vassoi per i pasticcini. Il piacere per l’uso dei sensi è ciò che conservo ancora oggi nella mia arte: reputo importante recuperare il gusto per la manualità per esercitare un’azione critica e dinamica sulla realtà, in contrasto con certa tecnologia che rischia di relegarci a un ruolo meramente passivo e privo di stimoli.
Cosa c’è sul suo piano di lavoro?
Sul mio piano di lavoro non possono mancare il cutter a bisturi (lo prediligo alle forbici perché permette uno spazio di manovra maggiore per il taglio delle immagini), il tappetino da taglio, la colla in stick, il blocco di carta su cui assemblo le mie opere. Questo è il kit di base a cui si aggiunge tutto l’altro materiale: riviste e foto d’epoca, pennarelli, pastelli a cera, perforatrici per carta, matite colorate, tempere acriliche, acquerelli… Per i lavori tridimensionali il discorso si amplia ulteriormente e non è raro trovare barattoli e scatolette di latta, fiammiferi, matasse di filo, spilli da sarta.
Come imposta il suo lavoro prima di mettere su il collage?
Leggendo un testo da illustrare, vado subito a individuare quali sono le immagini chiave che emergono tra le righe e che, se elaborate ed esternate tramite le illustrazioni, possono andare a rappresentare in sintesi il senso del testo, conferendo a esso ulteriore efficacia. Le idee per uno stesso articolo o racconto possono essere diverse quindi a volte capita che le fissi su carta stilizzandole a matita per poi valutare quale sia quella che meglio si presti a essere sviluppata.
Qual è la richiesta più strana che le hanno fatto?
Nessuna delle richieste che ho ricevuto può essere definita «strana». Fino a oggi posso dire di essere stata molto fortunata: le persone che si sono rivolte a me mi hanno sempre permesso di avere esperienze positive, umanamente arricchenti e soddisfacenti per entrambe le parti.
Ci racconti brevemente i progetti a cui ha lavorato e di cui va fiera?
Amo questo mestiere e non posso che essere fiera di tutti i progetti a cui ho lavorato. Porto ad esempio la creazione di loghi per attività commerciali e per progetti personali: il fatto che qualcuno abbia scelto me per realizzare qualcosa che debba rappresentare a colpo d’occhio tutto un mondo con una sua vision e una sua mission è motivo di orgoglio perché significa che queste persone nutrono fiducia nella mia arte, decidendo di affidarmi una responsabilità che sento sempre intensamente. Una volta che il riscontro è positivo e che vedo piena soddisfazione da parte loro, non posso che essere altrettanto appagata. Un altro esempio importante è la collaborazione attualmente in atto – collaborazione che reputo estremamente positiva e fruttuosa dal punto di vista sia professionale sia umano – con una rivista settimanale femminile che è sempre stata presente nella mia vita fin da bambina, essendone stata mia madre, che ora non c’è più, un’assidua lettrice. È qualcosa che per me ha una valenza a livello personale molto profonda.
Se fosse un quadro famoso, quale sarebbe e perché?
Un collage di Munari o un dipinto di Depero: opere colorate, audaci, innovative, ludiche. Mi piacerebbe conservare lo stesso ideale di energia ed entusiasmo che permea queste opere.
Tre illustratori che l’hanno illuminata sulla via di Damasco…
Da piccola ero una affezionatissima abbonata al «Corriere dei Piccoli», quindi cito per il loro stile unico e per il brio e l’ironia delle loro storie a fumetti Grazia Nidasio e la sua Stefi, Adriano Carnevali e i suoi Ronfi e Laura Scarpa (conservo ancora gelosamente due inserti del «Corrierino dell’Estate» con le sue inconfondibili illustrazioni).