Illustratori italiani, Valentina Merzi: gli anni ’90, Charlie Brown, l’amore per Venezia e tanto altro
L’abbiamo conosciuta in un luogo banale (Instagram), in una maniera banale (scorrendo i post sotto l’hashtag #anni90) perché a un tratto ci è presa la nostalgia (banalmente). Ma se andate sul suo profilo, scoprirete qual è il suo segreto: colore, schiettezza, profondità d’animo, leggerezza e un pizzico di infanzia mescolata a un’età adulta che non vuole staccarsi dalle opere fanciullesche. Lei è Valentina Merzi, ed è un’illustratrice (brava!). Leggete la sua storia!
Chi sei, che fai, quanti anni hai e dove vivi.
Sono Valentina Merzi, ho 36 anni e vivo a stretto rapporto con l’acqua a Venezia, città che ho scelto anni fa per l’università e dalla quale non sono più riuscita ad allontanarmi.
Ci racconti il momento in cui hai deciso che il disegno sarebbe stato il tuo lavoro?
La mia vita è sempre stata attraversata da diverse passioni: ho letto compulsivamente da quando ho memoria, ho fatto teatro dai 14 ai 26 anni, ho scritto improbabili giornalini autoprodotti, racconti, decine di diari, ho studiato filosofia e ho fotografato molto, fino a farne una professione; solo negli ultimi anni mi sono resa conto che la costante che ha fatto da sfondo a tutte le mie esplorazioni è sempre stato il disegno.
Tuttora non è il mio “unico” lavoro, ma è quello con il quale mi identifico maggiormente; il mio modo di conoscere è principalmente visivo, e così lo è quello di comunicare.
Illustrazione e fotografia. Come si esprime meglio con una e cosa con l’altra?
Sia l’illustrazione che la fotografia (per come le uso io) sono modi di raccontare quello che non si vede, mi piace moltissimo il potere che hanno le immagini di non essere solo didascaliche ma di aprire possibilità, di modificare il reale quando non ci corrisponde o di sceglierne solo delle parti, le più importanti per noi.
Non uso quasi mai questi mezzi in modo realistico, quello che produco è sempre una rielaborazione molto personale e spesso autobiografica di quello che mi sta attorno. Nell’illustrazione questo è più evidente, ma anche nella fotografia la scelta più importante che si fa è cosa tagliare fuori da un’inquadratura.
Quello che per me ha un peso enorme nell’amore per l’illustrazione è la possibilità che dà di rielaborazione del reale senza bisogno di postproduzione o di passaggi ulteriori: quello che vuoi creare può esistere e non ha limite.
Se dovessi rappresentare la nostalgia con un’immagine, quale sarebbe il soggetto e perché?
Se dovessi rappresentare questa sensazione in un’immagine, sceglierei un piatto di stelline in brodo.
La nostalgia più grande che io abbia mai provato è quella per mia nonna, che è morta qualche anno fa.
Questa nostalgia non è fatta solo della mancanza della sua presenza, ma della sensazione chiara che non ci sarà mai più nessuno a ricordare che usava il budino in polvere per farmi la cioccolata calda perché mi piaceva densa, o quando indovinavamo il costo di una mountain bike con il cambio Shimano a “Ok il prezzo è giusto!” o che coperte usavo quando costruivo la tenda degli indiani tra due sedie in salotto.
Credo che si abbia sempre nostalgia quando si rimane i soli a ricordare qualcosa.
Cosa sono stati gli anni ’90 per te?
Mi è sempre interessato moltissimo (in letteratura, fotografia, cinema) quel limite sottile e apparentemente infinito tra infanzia ed età adulta, mi sembra che sia l’abisso temporale dal quale continuiamo a ripescare, volontariamente o meno, desideri, dolori, abbandoni e folgorazioni.
Gli anni ’90 per me corrispondono esattamente a questo passaggio perché, essendo nata nell’83, li ho iniziati guardando Bim Bum Bam e li ho finiti con Gigi D’Agostino; in Ottobre ho dedicato un progetto quotidiano su Instagram alle “imperdibili memorie” di quel decennio e ho scoperchiato un vaso di Pandora: mai come in quel caso ho ricevuto reazioni partecipi e richieste personali da parte di chi vedeva le mie illustrazioni.
Cosa c’è sul tuo piano di lavoro?
Principalmente la mia gatta, Mala, che non riesce a fare a meno di collocarsi esattamente sul foglio /tablet/ scatola di colori che sto usando. Poi una tazza da mezzo litro di caffè americano (brodaglia, per gli amici puristi dell’espresso), molte liste, che adoro compilare e spuntare (che mi aiutano moltissimo quando non ho voglia di fare qualcosa visto che spesso la porto a termine solo per la gioia di cancellarla dall’elenco), pennarelli, post-it, un computer con una serie tv in sottofondo e l’Ipad.
Ci sono dei riti che compi prima, dopo e mentre lavori?
Prima di mettermi a lavorare indosso qualcosa di estremamente comodo (non uso mai i vestiti che poi metto per uscire quando lavoro in casa e questa è una cosa che mi rilassa molto), preparo la mia tanica di caffè e ascolto qualcosa (“Ad alta voce” su Radiotre, un podcast, una serie che conosco a memoria).
Qual è la richiesta più strana che ti hanno fatto?
Fare il ritratto a un amico immaginario.
Ci racconti brevemente i progetti a cui hai lavorato e di cui vai fiera?
Uno dei progetti di cui vado più fiera sono le illustrazioni che ho fatto per il podcast di un mio caro amico e autore radiofonico, Jonathan Zenti. Il podcast si chiama Meat ( www.meatpodcast.com) e parla dei nostri corpi e delle vite che viviamo a causa loro; io ho disegnato, e disegnerò, un piccolo ex voto con una parte del corpo per ogni puntata.
A quali progetti stai lavorando?
In questi giorni ho appena concluso le illustrazioni per il calendario che produco ogni anno, mi piacciono molto gli oggetti “fisici” illustrati, mi piace pensare che ci siano delle immagini che restano per 12 mesi nelle case delle persone, che vengono guardate ogni giorno e non si perdono nel feed di instagram.
Da un po’ sto lavorando al mio primo vero albo illustrato per bambini con un’amica scrittrice e spero sarà pronto l’anno prossimo, ho un progetto personale (più a lungo termine) per una graphic novel il cui sfondo saranno i luoghi in cui sono nata e cresciuta nel nordest.
Ci dici i tuoi tre illustratori preferiti dandoci la motivazione?
I miei illustratori del cuore sono al momento quattro:
- Giulia Sagramola: adoro la semplicità con la quale caratterizza i personaggi in pochi tratti e la facilità che ha di narrare per vignette.
- Anna Forlati: è un’illustratrice per l’infanzia bravissima e ho avuto la fortuna di condividere con lei lo studio a Venezia per un anno. Oltre a essere una cara amica è un’artista, guardandola lavorare ho imparato molto sulla costanza e sulla dedizione. I suoi lavori sono quasi sempre fatti con tecniche tradizionali e adoro specialmente l’uso che fa dei pastelli.
- Cristina Portolano: mi piace molto il suo uso espressivo della bicromia, soprattutto il rosa e nero in “Non so chi sei”( incentrato sugli incontri tra sconosciuti grazie alle app) e il giallo e verde in “Quasi signorina”.
- Alessandro Coppola: un illustratore elegante, onirico, che riesce a raccontare temi importanti con una delicatezza rara (consiglio “Battito d’ali” un albo illustrato sul coming out e “Nel grembo del mare” sull’immigrazione).
Graphic novel, albi illustrati, strisce. Ci indichi tre lavori di tre autori che hanno segnato la tua carriera?
Sono una grande appassionata di graphic novel, mi sorprendono sempre per la varietà di modi in cui la narrazione trova la propria strada attraverso le immagini. Negli ultimi anni ne sono uscite parecchie che ho amato e sceglierei Bacio a cinque di Giulia Sagramola edito da Topipittori, per la delicatezza nell’affrontare il tema del passaggio, di cui parlavo prima, tra infanzia ed età adulta, per il tratto semplice e potente, per la nostalgia tradotta in immagini. Mi ha fatto sentire l’urgenza di raccontarsi attraverso le illustrazioni.
I primi albi illustrati che ho sfogliato, invece, sono quelli di Richard Scarry, mi ricordano sempre che si può rendere indimenticabile un verme con un cappellino che guida una auto-mela.
Come strisce del cuore direi i Peanuts di Schulz, pillole di filosofia illustrata che divoravo fin da piccola. La figura di Charlie Brown, un bambino divorato dalle ansie mi è sempre sembrata geniale e molto realistica e mi ha insegnato qualcosa di cui cerco di tenere sempre conto quando disegno: la complessità dell’infanzia, spesso appiattita e semplificata quando è raccontata dai “grandi”.
Se questo momento storico italiano fosse un disegno, sarebbe?
Trovate Valentina Merzi su Instagram e sul suo sito.