Zeitgeist con l’autotune: un racconto di Winstonhelbert
«In sostanza, ragazzi, se Leone Magno non avesse bloccato Attila ora con molta probabilità saremmo senza barba e con i solchi sulla faccia.» Non li lasciò indifferenti un’ipotesi del genere. Avevano visto l’ultima grande guerra, vissuto in pieno l’ultima grande fame generale, l’ultima grande umiltà popolare. Ultimi stami dell’antica era. Stessa classe di Pertini. Ed erano stati scossi.
Quando terminai la lezione e li salutai ne stavano ancora parlando, poi la gita a Pisa, Alfonso non messo molto bene, le potature. Io li invidiavo un po’, come il cerfoglio invidia la portulaca e viceversa. Mortasa e tenone.
In certe mattine capita di non poter sollevare nemmeno le scarpe, che il cervello impieghi sei sette ore per costringerti a capire che non stai svenendo; che ogni tua decisione sia un paternoster. Il portone del monastero è stato tinteggiato di verde con la strombatura e sulle ante due enormi cartelli: «Ce la farai?» «No». Rossini scrisse il Barbiere di Siviglia a 24 anni.
Manca la metis. Pelle di leone e di volpe. La sera con questi ragazzi di settant’anni che finalmente hanno trovato il tempo e lo spazio per lottare per la terza media mi sento un po’ un capo, uno Spartaco, almeno l’amico solido appagato. Di giorno con i ragazzi veri molto meno, eppure spero per loro.
Sono dettagli, Carlo Magno prese controvoglia la corona dalle mani del Papa, Napoleone ricordandolo se la mise in testa da solo. A volte nemmeno vedere una Fred Perry riesce a confortarmi, o un paio di Vans, su di me o su un alunno. Seduto sulla soglia della casa di campagna di un collega, accanto alla mia scarpa destra mezzo scarafaggio poggiato per l’addome, si ostinava a muovere le zampe anteriori. Formiche pronte all’arbor intrat.
Licaoni che cercano di divorarti dal culo. Gente che ti sfida perché ha sentito alla radio che esiste la grima. Allora è vero.
L’umiltà ha rotto il cazzo.
Che cosa insegni la parsimonia, la virtù, la consapevolezza, la serietà, la pacatezza. Insegna piuttosto a essere Alessandro, o almeno Peritas, o Astarte. A essere belli e portarsi a spasso. A girare con un Sancarlino nel culo o sull’orecchio, o sulla gualdrappa, cavalcando un grifone in mezzo agli stronzi.
Fa come se tuo padre si chiamasse Faustolo, canta per strada e quando qualcuno ti chiederà: «Canti Ferna’?» rispondi: «Sì, per l’amore o per l’aria».
Per moltitudini la decezione è virtù, ospiti che ti stanno anni in casa e poi scopri che hanno piantato un cipresso nel tuo acquario. Ferisci: San Giorgio è Perseo e Roberto Roberti è il padre di Sergio Leone.
Entro in un bar in un pomeriggio notturno, dopo una visita medica in un quartiere bene. Un posto turistico con torte industriali, tramezzini industriali e pasticcini stampati che ignari e disillusi accettano per alta pasticceria. Prendo un tè per riscaldarmi, al tavolo accanto due pensionati con due campari già del passato. Dinanzi un altro, solo, con mezza birra. Al bancone un altro, con un cane con le occhiaie e un crodino. Dalle pupille tutti noti tra sé. E se si fossero chiamati? Se si fossero apprezzati? Accidia. Contemporaneamente un operaio di vent’anni anni potrebbe cadere da un ponteggio cinque minuti prima di staccare. Un amico dissolversi a trent’anni per una maledizione, un altro ancora a venticinque anni per un’altra maledizione, famiglie deflagrare.
Ogni venti giorni un bagno nella lisciva. Per essere pronti, consapevoli che da un momento all’altro potremmo ritrovarci a essere quelli che per strada devono chiedere anche i volantini. Allora non è vero che l’umiltà ha rotto il cazzo? Sì, è vero, ma c’è sempre Carrito, un carrito e la gratitudine bisogna ricordarsela.
Il conte di Montecristo, il mare della Maremma. Agosto. Accanto su due lettini madre e figlia. Due ore contro un’amica della più piccola delle due. Il tipo speculare a me si alza e dice: «Io sono lo zio di Carla, suo padre è mio fratello». E non era vero. Il giorno dopo, lunedì, stessi lettini, due nonni e un nipote in fasce, Edmond, mamma di Grosseto, papà marsigliese.
I bar ancora aperti di notte, le loro insegne del caffè fotoniche e forzute, su una provinciale, in una frazione sperduta, nelle traverse, negli angoli delle città, con la neve. Una «Cinquecento brutta, di un colore citrino». Ora scassata. Acquatura sull’anima.
Con i ragazzi abbiamo spento le ultime luci della scuola, chiuso tutto, a domani e una buona cena.
Non fumo più da tre anni, ma ho preso un gratta e vinci che non prendo mai.
Ho vinto cinquemila euro. Il giorno dopo ho prenotato gastroscopia, colonscopia e visita oculistica. Ce le avrei avute a tre, uno e quattro mesi. Anche il controllo del sangue. Anche il corso di inglese.
«Muaaadoooonna che silenzio»
Winstonhelbert