Due sconosciuti, una camera d’albergo e una Montblanc: «Workshop» è il racconto di Ilaria Tedesco
Durante l’aperitivo di benvenuto si erano detti che avevano figli – un maschio di dieci mesi Lui, due bambine alle elementari Lei. Avevano tagliato il vitello tonnato sfiorandosi i gomiti e posando gli sguardi più a lungo del dovuto sulla bocca dell’altro, soprattutto Lei che aveva un debole per gli uomini con la mascella importante.
Finirono per sedersi sui divanetti della hall con due whisky e ghiaccio, come in certi film americani che Lei aveva visto da sola in seconda serata. Fecero finta di interessarsi alle strategie delle rispettive filiali, scambiandosi complimenti sui piani di vendita.
Il primo vero tocco fu di Lei: gli prese la penna dalla mano per segnarsi un appunto che, una volta raggiunto il foglio, aveva già dimenticato. Al secondo giro di whisky Lui allungò il braccio sulla spalliera del divano e le toccò di tanto in tanto i capelli con la punta delle dita. Andarono avanti così anche al terzo giro. Le ginocchia iniziarono a strusciarsi con finta noncuranza mentre Lui raccontava di essere stato una promessa del calcio e Lei elencava i posti che aveva visitato in Francia quando lavorava come au-pair.
Passata la mezzanotte, i bicchieri rimasero vuoti, il cameriere aveva terminato il turno. Al sospiro di Lei, entrambi iniziarono a riporre in borsa fogli e badge. Poi Lei si sollevò in piedi e stirò la gonna sui fianchi. Lui le mise una mano sulla bassa schiena e la accompagnò verso l’ascensore.
«Numero di camera?»
Lei increspò leggermente le labbra: «412».
«Ah, siamo allo stesso piano.»
In ascensore Lei tenne gli occhi bassi, pensava alla biancheria che indossava. Le mutandine erano sicuramente quelle nere senza cuciture, che non segnavano il sedere sotto la gonna. Non ricordava il reggiseno. Si passò distrattamente la mano sotto la camicetta e sentì la spallina sottile. Concluse che era quello di pizzo bianco.
Le porte si aprirono e Lei si precipitò fuori, sollevata. Era scoordinata ma elegante, poteva andare peggio. Lui, invece, restò immobile.
«Credo di aver dimenticato la penna giù» disse impacciato.
Premette il bottone e le augurò la buona notte.
Lei non fece nulla, se non fissare le porte che si chiudevano. Cosa era successo? Cosa non aveva capito?
Si diede mezz’ora. In fondo Lui conosceva il numero della camera e magari aveva davvero lasciato la penna nella hall. Nell’attesa indossò la sottoveste color avorio e bevve a canna una bottiglietta presa dal mini bar.
Prima di addormentarsi con la tv accesa e la testa sotto le coperte, pensò alla penna di lui – forse una Montblanc. Taroccata, sicuramente.
Ilaria Tedesco