Cartoline da un posto lontano per sognare una vita migliore: «To my little Michelino» è il racconto di Tonino Ceravolo

Zeta Zeta Ics Michelin era il nome di un famoso pneumatico e anche il soprannome di uno dei nostri che si chiamava Michelino. Ognuno doveva avere un soprannome più vero del nome perché era quello che usavamo per chiamarci e il soprannome di Michelino lo aveva scelto Macello, che poi lo aveva abbreviato lasciando solo Zeta Zeta Ics e togliendo Michelin.
Nel gruppo iniziale eravamo io, che ero Cresta, il nostro capo Marcello Macello e Paolo la Nonnina, uno che dava il colpo e nascondeva la mano. Michelino era diventato Zeta Zeta Ics da quando si era unito a noi subito dopo che suo padre era partito per l’America e dall’America gli mandava strabilianti cartoline tutte intestate «To my little Michelino». Gli faceva vedere posti incredibili, pensavamo noi per farlo sognare o forse per anticipargli dove si sarebbe trovato quando, finite le medie, se ne sarebbe andato per raggiungerlo, tipo una dimora delle fate che chiamavano «Casa Loma».
Zeta Zeta Ics ce le schiaffava in faccia, queste cartoline, come per metterci invidia e per dirci che lui ancora un po’ e sarebbe volato via, per sempre lontano da quei nostri posti vecchi e polverosi. A Casa Loma o in altri luoghi persino più incantevoli, via dalle nostre strade scassate e con le buche che ci cadevi dentro. E non si accontentava di una cartolina ogni tanto, ma ce le mostrava tutte. Così, oltre a Casa Loma, ci aveva fatto vedere l’Harbourfront e l’Eaton Centre e la CN Tower, St. Lawrence Market e lo Sky Dome. Tutti posti uno più straordinario dell’altro, in cui fare tante di quelle cose che qui nemmeno a pensarci. E solo nell’Eaton Centre potevi passare delle ore a guardare quegli uccelli che volavano sotto il soffitto di cristallo, anche se forse non proprio volavano perché doveva trattarsi di uccelli morti e imbalsamati, ma erano una meraviglia lo stesso, con quelle loro ali enormi che tagliavano l’aria.
Insomma, era come se ci fossero due Michelino, uno che stava in mezzo a noi a insozzarsi e a correre nei vicoli e l’altro con la testa in quelle cartoline e che in quell’altro mondo viveva, sognando torri, case fatate e giganteschi mercati in cui potevi comprare ogni bendidio. O forse, in certi momenti, non semplicemente sognando, ma perfino credendo di essere proprio là, tra quelle strade che il padre gli raccontava larghissime, piene di macchine e di luci. Ad avere l’idea, come già per il soprannome di Zeta Zeta Ics, era stato Macello, mentre io e Paolo la Nonnina all’inizio non volevamo.
Ma poi fu proprio Paolo a convincere Michelino a portare tutte le sue cartoline, per fare una di quelle esposizioni che qualche volta facevamo in via Poerio dopo aver frugato negli scarti dentro l’immondizia e recuperato gli oggetti più strani, come i tappi delle bottiglie di birra o le lattine delle aranciate.
«Cartoline dell’altro mondo» si sarebbe chiamata questa nuova esposizione e avremmo fatto uno spettacolo che qui non si era ancora visto, con tutti quei posti lontani e sconosciuti. Ed era stato davvero uno spettacolo stupendo, come accade sempre in presenza del fuoco, perché quando Macello, che in queste occasioni non riusciva neppure a trattenersi dal ridere, aveva appoggiato il mio accendino sopra le cartoline americane, quella carta lucida si era messa a crepitare tra le fiamme e le fiamme si erano alzate alte verso il cielo e poi abbassate e poi lentamente spente, facendosi cenere, mentre Michelino, vicino a noi, non la smetteva più di piangere.
Tonino Ceravolo