Tutto quello che i social non raccontano e che non è: Sohrab ha un segreto è il racconto di Davide D’ambrogio
Il mio coinquilino Sohrab non appartiene a nessun luogo.
I suoi genitori sono iraniani trapiantati in Minnesota. Lui invece è nato a Minneapolis e poi si è trasferito a Roma, in attesa di una fortuna che neanche lui sapeva bene dove cercare.
Il mio coinquilino Sohrab non ha nessuna forma.
L’ho visto vendere scarpe e abbonamenti. L’ho visto studiare Lettere e poi Economia. Non ha amici né amori. Rincorre la vita senza uno scopo apparente e, quando a volte gli chiedo come sta, si nasconde dietro certe frasi idiomatiche che suonerebbero finte persino sui libri di grammatica. Alla grande, amico! Non potrebbe andare meglio! E io annuisco, ma in realtà mi chiedo: «Cosa nascondi?».
Poi Sohrab se n’è andato. Anche se non avevamo legato molto, confesso che mi è dispiaciuto salutarlo, come quando si butta un vecchio mobile e casa diventa all’improvviso più spoglia. Dal giorno in cui è andato via, portando con sé i dolci iraniani e i fiocchi d’avena, ho perso le sue tracce. Ho chiesto a chi lo conosceva, e nessuno sapeva dove fosse, né cosa stesse facendo. Sembrava scomparso dalla faccia della Terra. Questa cosa mi faceva impazzire, mi spaccava il cervello come se ci fosse passata sopra un’auto in corsa. Così ho iniziato la mia ricerca.
Tutto è partito dai calzini colorati. A Sohrab piacciono molto. L’ho visto su Instagram: nell’ultima foto che ha pubblicato mesi fa, indossava pantaloni coi risvoltini da cui sbucavano le caviglie blu con un motivo a piume di pavone, ma poco importa. Piuttosto, la cosa davvero interessante è un’altra: ho cercato tra i profili che segue e ho trovato un sito che vende calzini. L’ho aperto ed erano lì: 8,99 $ i calzini blu con le piume di pavone. Bingo. È un’azienda con sede in Ohio, non spediscono in Europa. Allora ho capito: Sohrab dev’essere tornato negli Usa.
A Sohrab non piacciono le donne. L’ho dedotto dal suo profilo su Instagram. Quando eravamo coinquilini, un pomeriggio portò una ragazza a casa. Si chiusero in camera, così rimasi a origliare fino a sera, ma non sentii nulla, non il minimo riso o schiocco di labbra. Sembrava che al di là della parete ci fossero due sconosciuti immobili a guardarsi. Poi lei se ne andò e la porta si richiuse alle sue spalle, accompagnata dallo stesso silenzio che li aveva seguiti per ore. Cosa cazzo avevano fatto tutto il pomeriggio? Non l’ho mai saputo, ma pochi giorni fa ho avuto un’epifania: sono andato di nuovo sul profilo Instagram di Sohrab e ho visto che segue trecentoventi persone, di cui duecentosettanta sono uomini. Di questi duecentosettanta, centodue sono omosessuali del Minnesota. E tra di loro ci sei anche tu.
Ora, nella speranza di carpire anche la minima informazione in più riguardo a Sohrab, potrei stare qui a perdere le ore, a cercare su Google uno a uno ogni singolo nome di questi centodue omosessuali che ho scovato nell’abisso di internet… E infatti è quello che ho fatto. Consultando alcune banche dati degli Usa – facilmente reperibili on line – ho trovato informazioni su di te: il tuo lavoro, il fatto che tu e Sohrab abitate insieme a Seattle, e tanto altro che onestamente non avrei mai voluto sapere… E allora posso dire che ce l’ho fatta. La mia ricerca si è conclusa. Ho finalmente scoperto il segreto di Sohrab e sono libero.
O almeno così credevo. In verità c’è una cosa di cui non ti ho parlato: io mi sento in colpa. Mi sento in colpa perché, invece di infiltrarmi nella vita di Sohrab, avrei potuto semplicemente chiedere a lui se è vivo e come se la passa. E invece non l’ho fatto. Per qualche motivo ho preferito oltrepassare la linea sottile che separa il curioso dal maniaco. Non maniaco nel senso molesto del termine, sia chiaro, ma nell’accezione di ossessivo.
Dunque mi sento in colpa, amico mio. Appagato come un tossicodipendente, ma in colpa per aver violato un’intimità che non mi appartiene. E, se ripenso ora a tutte le ricerche che ho fatto per trovare Sohrab, io non mi sento diverso da un avidissimo lettore che si insinua nelle vite dei personaggi che legge, fino a spogliarli e assorbirli; fino a quando i loro nomi gli suonano vuoti in balìa della sazietà semantica. E adesso tu e lui siete questo ai miei occhi: vuoti; personaggi che ho divorato come la bella storia di un libro, senza che mi sia rimasto nient’altro da scoprire. A leggere queste assurdità penserai che sono un mostro, che io e te siamo due persone diverse, ma non è così. Immagino che capiti anche a te di restare ore e ore a spiare il mondo da lontano. Qualche volta anche tu passi i pomeriggi a controllare se Carmine ha messo il like al post di Carmen; se Carlotta ha visualizzato la tua storia di ieri, e se la sera prima è uscita con Peppe al pub dei tossici. In momenti come questi non ti senti fratello mio? Non pensi anche tu che condividiamo la stessa colpa malata? No? Beh, se proprio devo essere sincero, una differenza effettivamente la vedo anch’io: dopo avervi violati e divorati come si fa alle belle storie nei libri, io sono qui a scusarmi.
Sarò onesto, amico mio: non posso ridarvi l’intimità che ho violato, così come un ubriaco non può restituire la vita alle vittime che ha investito. Tuttavia posso darvi qualcos’altro: una nuova casa, dove tu e Sohrab potrete vivere per sempre. Non sei felice? Una bella casa fatta di carta, dove trovano spazio tutti coloro da cui ho assorbito qualcosa. Dove non abitano persone, ma personaggi. Dove non ci sono pareti, ma muri di testo, e le trame non si tessono, bensì s’intrecciano. Che ne dici?
Quindi da oggi questa storia è la vostra nuova casa, dove chi lo desidera potrà venire a leggervi ancora e ancora, per spogliarvi e scoprirvi come ho fatto io, così che troverete nuova forma e nuova vita innumerevoli volte, sotto gli occhi attenti di chi vorrà conoscervi.
Ah, mi sento già molto meglio adesso! Più libero dal senso di colpa senz’altro. Tu e Sohrab non vi sentite più liberi? Aspettate, lo so a cosa state pensando: è un po’ troppo piccola questa casa, vero? L’avevo messo in conto, è che purtroppo mi sarebbe costato troppo impegno scrivervene una più grande. Però è eterna, questo ve lo posso assicurare! Anche se vedete il punto, in realtà non ha fine, così che d’ora in avanti a chi mi chiederà: «Davide, ma dov’è finito Sohrab?» potrò rispondere: «Sohrab è morto insieme al suo fidanzato in un incidente stradale, ma ora vive per sempre nelle mie storie».
Davide D’ambrogio