Ritorno alla terra (piatta): un racconto di Diego Tonini

 Ritorno alla terra (piatta): un racconto di Diego Tonini

Ampelio Brusadin non aveva mai sentito parlare di quella storia della Terra piatta. Nemmeno di quella sferica, o a forma di ciambella, lui era un uomo pratico che misurava la terra in base al tempo necessario per ararla col suo trattore; per lui era piatta in pianura e sbiega in montagna, e tanto bastava.
Ma Ampelio aveva anche un figlio, come succede a tanti. Non che l’avesse voluto, è che in campagna le cose capitano: nasci, cresci, compri il tuo pezzo di terra, ci costruisci su una casa, ti sposi e fai dei figli. Semplice, come salire sul trattore e metter giù l’aratro. Però i ragazzi crescono, si fanno degli amici, vogliono il computer e il telefonino, e poi passano tutte le sere a guardare video di roba strana invece che imparare come si guida una mietitrebbia.

E così, Devis, il figlio di Ampelio, se ne era venuto fuori dicendo che la Terra era piatta, sulla Luna non ci erano mai stati e i vaccini servivano solo per arricchire le case farmaceutiche. Ad Ampelio della Terra non importava più di tanto, e nemmeno di andare sulla Luna, lui che non era mai uscito dalla provincia. Ma i vaccini li dava ai polli e si era accorto che quell’anno che si era dimenticato di farlo gli erano morti quasi tutti, quindi a quello che diceva suo figlio che facevano male non ci credeva mica, anche se lui insisteva e ripeteva che erano tutti ingannati dai poteri forti.

«Te lo faccio sentire io il potere forte, quello del mio calcio nel tuo culo, se non ti metti a lavorare» voleva dirgli, ma la Lina, sua moglie, ripeteva che doveva portare pazienza e lasciare che “il ragazzo si facesse.”
A me pare crudo come un pomo in giugno, pensò Ampelio, ma per quiete familiare non ribatté.
Devis però si era messo in testa di smascherare quella che definiva: “la palla della Terra a palla.”
«È tutta una palla, papà, la Terra è piatta!»
Ampelio si grattò la testa. «Ma è piatta o è una palla? Non ho capito.»
«Ma no, è una palla che sia a forma di palla!»

A quel punto, di solito, Ampelio scrollava le spalle, si voltava e tornava al suo lavoro, bestemmiando sottovoce perché gli era capitato un figlio così mona. Quel giorno d’inverno però pioveva e lui non aveva altro da fare che ascoltare il figlio.
«E io lo dimostrerò, papà.»
Ampelio si scaldò la schiena vicino alla stufa a pellet.
«Bravo, così almeno fai qualcosa.»
«Sì, metterò il video su Youtube, le storie su Instagram e tutti sapranno chi è FlatDevis.»
«Chi?»
«FlatDevis, è il mio nick.»
Il vecchio contadino non capiva cosa stesse dicendo, ma annuì e disse: «basta che non mi domandi schei.»
«Niente schei, papà, ma mi serve una mano.»
L’uomo sospirò. «E ti pareva. Sentiamo, cosa ti serve?»
«Devo volare in alto, e fare un video.»
Ampelio aprì la bocca per dirgli che aveva una testa che nemmeno i maiali la volevano mangiare, e che se il Signore voleva farlo volare gli avrebbe dato le ali, o almeno un cervello per fargli prendere il brevetto da pilota. L’intervento della Lina però lo zittì:
«Ma che bello, i miei due omeni che fanno qualcosa assieme!»
Ampelio, che era duro fuori ma aveva il cuore tenero, non ebbe il coraggio di deludere la moglie.

Il piano di Devis era semplice: costruire una fionda gigante che lo sparasse in cielo abbastanza in alto da permettergli di fare un video che dimostrasse una volta per tutte che la Terra era piatta come un’asse da stiro.
«Io mi occuperò della copertura social, storie, post e dirette, tu mi aiuterai con i dettagli tecnici» disse, che, tradotto nella lingua di Ampelio, voleva dire: «tu lavori, mentre io gioco col telefonino.»
Il vecchio bestemmiò tra i denti il Signore che gli aveva mandato quel figlio fancazzista ma si piegò per amore della moglie.

Nonostante la supervisione del figlio, che non sapeva nemmeno qual era il dritto di un martello, in due settimane Ampelio issò la fionda gigante nel campo dietro casa. Devis, nel frattempo, fibrillava. Dopo aver postato per giorni storie e video in diretta del making of, tutti censurati a causa delle bestemmie del padre, era pronto per il lancio. L’evento Facebook era stato creato, gli inviti mandati, le telecamere pronte e cariche. Aveva anche pensato di invitare le tv e i giornali locali, ma cambiò subito idea: quella gente era tutta sul libro paga dei poteri forti e avrebbero fatto di tutto per gettare discredito su quella grande impresa.

Alle dieci in punto di una mattina di dicembre, Devis Brusadin fece il suo ingresso nel campo, attorniato da una piccola folla di fan, mentre il padre, appoggiato alla colonna del portico, osservava la scena con preoccupazione. Avanzava tra due ali di sostenitori, indossando un completo da motocross rattoppato, con una GOPRO fissata al casco e una telecamera nella mano destra. Arrivato alla fionda, si calò gli occhialoni sul viso e alzò la camera mentre il pubblico esultava. Gustatosi il momento di gloria, prese posto sul sedile di una vecchia 126 che aveva fissato alla fionda, sistemò la telecamera tra le gambe in modo che puntasse verso il suo volto e fece segno di tagliare la corda che teneva l’elastico in tensione.

Si sentì il rumore di una gigantesca corda di chitarra che salta e un improvviso soffio di vento e Devis fu proiettato in alto.
Voleva una partenza elegante, da tuffatore, invece si scompose subito, agitando braccia e gambe come fosse una cimice rovesciata. Dopo tre metri perse la telecamera, arrivato a dieci cominciò a piroettare, a tredici ritrovò il fiato per urlare, a venti una scia verdognola scaturì dalla sua bocca e ricadde a pioggia sul pubblico.
Disorientato dalle piroette, aprì il paracadute mentre saliva; la tela gli si avvolse attorno come un bozzolo e rese inservibile anche la seconda telecamera. Senza più controllo, precipitò in un pioppeto, abbattendo sei ottimi alberi da carta.

Gli spettatori scapparono, la signora Lina scoppiò a piangere e Ampelio, rientrando in casa per chiamare l’ambulanza, si passò la mano tra i capelli. Non aveva scoperto la forma della Terra ma sapeva per certo come era fatta la testa di suo figlio: era tonda, dura, e vuota.


Testo di Diego Tonini

Diego Tonini è nato nel 1978. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo, l’hard boiled surreale Nella botte piccola ci sta il vino cattivo (Nativi Digitali Edizioni), seguito dal fantasy ironico Storie di Okkervill (Gainsworth Publishing). È, fondatore assieme a Lorenzo Sartori, Ilaria Pasqua e Mario Pacchiarotti, del Sad Dog Project, un collettivo di scrittori per il quale ha pubblicato i due racconti thriller/horror Murder, She Baked e Trattamento di fine rapporto e la raccolta Non chiamatemi Vincent. Il suo ultimo lavoro è la raccolta di racconti distopici Niente di umano all’orizzonte, uscita per Scatole Parlanti nel 2019.

Illustrazione di Valentina Lentini

Valentina Lentini (Roma, 1980) si è laureata in Fashion Design allo IED di Roma. Dopo una parentesi lavorativa nel campo della moda ha seguito la sua vocazione artistica frequentando i corsi di pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha realizzato diverse copertine e illustrazioni per i libri del collettivo di scrittori indipendenti Sad Dog Project. Vive in un paesino sul mare vicino Roma con il suo bimbo e una cagnolina.

 

Blam

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