Galeotta fu una tartaruga che viveva nel Rione Sanità a Napoli: «Rettile e mammifero amore di vico Centogradi» è il racconto di Alessio Arena
Come il condottiero spagnolo di un libro pieni di disegni belli che mi era stato regalato appena finita la scuola, pure lui si chiamava Rodrigo Díaz de Vivar. Con la Spagna, però, non c’entrava niente. Lui era dei Cristallini, del negozio di animali esotici che mio fratello aveva allestito in un basso di vico Centogradi.
Gli ultimi mesi della sua esistenza – o almeno della sua vita documentata –, li aveva passati dentro a una scatola di scarpe. Stava sistemata fuori a un balcone del quartiere, quello della casa di ’Ntonietta, che il sole non ci entrava nemmeno a mezzogiorno per colpa del palazzo che gli stava davanti. Dentro a quella scatola, durante l’inverno, ’Ntonietta ci aveva messo dell’ovatta e un poco di paglia, perché Rodrigo non si congelasse mentre le sue zampette, la coda piccolissima, la capuzzella e i suoi ossicini attaccati alla corazza stavano scimuniti dal letargo.
La conoscevano tutti quanti, la tartaruga di ’Ntonietta, perché l’aprile dell’anno prima, ci stava il quartiere intero a veder trionfare lei, la sua padrona, sul palco della festa del Monacone. Aveva avuto il premio all’ugola d’oro del Rione Sanità, cantando tutta dritta sotto al suo tuppo che sembrava sfidare la forza di gravità, immobile dentro a un tubino di chiffon con bolerino ricamato e grandi bottoni di un verde giunglesco. A fine serata, il presentatore le aveva chiesto cosa avrebbe fatto con quel premio, e tutti quanti si erano messi a ridere, perché ’Ntonietta disse che si voleva comprare una tartaruga, una tartaruga di terra. Per la precisione: quella che stava nel negozio dei Cristallini, insieme a qualche soricillo bianco, ai cuccioli di yorkshire, a due pappagalli, ai gechi, a un’iguana e a un merlo indiano.
Io pensai che quell’annuncio avrebbe fatto decollare definitivamente la misteriosa attività di Antimo; invece, nessuno si preoccupò di chiedere o di andare a scoprire dove stesse il negozio di mio fratello. Soltanto ’Ntonietta si presentò qualche giorno dopo, all’appuntamento con il suo nuovo compagno. Dopo aver preso la tartaruga molto delicatamente dalla gabbia che Antimo aveva riempito con foglie di lattuga romana, se la strinse al petto come se fosse stata un orsacchiotto di peluche.
Io leggevo dietro a quella specie di bancone che ci aveva venduto il saponaro di giù ai Vergini. Quando si accorse di me, ’Ntonietta mi chiese che libro fosse. Le dissi che era un poema epico. Una di quelle storie che i cantanti che si chiamavano giullari, tanto tempo fa, cantavano nelle piazze come aveva cantato lei fuori alla chiesa di san Vincenzo. Per questo si incuriosì, mi fece altre domande, e la tartaruga fu finalmente battezzata con il nome dell’eroe del mio libro. Accadde nel momento preciso in cui Antimo, praticamente inginocchiato ai piedi di ’Ntonietta, raccoglieva da terra la fragola che gli era appena caduta. Era un regalo come primo pasto per l’animale. Era grande e rossa come il cuore di mio fratello.
Poverino, aveva fatto il militare a Terni. E mentre stava lì, che la nostra famiglia si era tutta sgangherata per la mancanza del suo aiuto economico, la fidanzata che teneva se n’era andata. Si era messa con un vecchio, uno che teneva una salumeria all’Arenaccia. Quando gliel’avevo scritto in una delle lettere che gli mandavo ogni settimana, Antimo non ci aveva creduto, ma poi, qualche lettera dopo, si era preoccupato di assicurarmi che a Terni gli era venuta anche a lui un’idea per fare i soldi: l’idea degli animali, l’idea del negozio dentro a quel basso di vico Centogradi. Non gli importava più della fidanzata.
Mi scrisse un sacco di cose su quegli animali. A volte me li disegnava pure, e io stavo talmente confuso che avevo cominciato a credere che Terni si trovasse nella foresta del Borneo, o in India, o sulla linea dell’equatore.
’Ntonietta e Rodrigo tornarono un sacco di volte al negozio. La tartaruga stava sempre attaccata al petto della nostra cantante favorita, nascosta dentro alla sua corazza dove, secondo la sua padrona, sembrava che a volte si disegnasse la faccia di san Vincenzo, del Monacone. Mio fratello la guardava sempre con gli occhi dolci, ma non faceva caso a quelle scemità. Si prodigava, invece, in raccomandazioni rigidamente scientifiche sull’alimentazione e la cura di Rodrigo. Quando poi ’Ntonietta gli disse che la tartaruga non cacciava più la capuzzella e non si mangiava nemmeno metà delle fragole che lei le dava, Antimo spiegò cos’era il letargo e l’aiutò a fare quella casetta con una vecchia scatola di scarpe.
Rodrigo stette assente ben oltre la primavera, e quando Antimo mi chiese di accompagnarlo a casa di ’Ntonietta, perché adesso la tartaruga faceva un rumore strano, come se volesse dire qualcosa, erano già venuti i primi calori dell’estate.
Non ci aprì nemmeno la porta, ’Ntonietta, e già stava piangendo: Rodrigo era sparito dalla scatola. Non stava da nessuna parte. Cercammo nella cucina, dentro al forno, nei cassetti delle posate, nella scarpiera dell’ingresso, sotto il letto, nell’armadio della stanza di ’Ntonietta dove i suoi vestiti avevano tutti lo stesso odore di lattuga. Niente. Antimo non sapeva cosa dirle, e ’Ntonietta non si muoveva se lui non dava un passo, stava attaccata al braccio di mio fratello. Prima di quel momento, non me n’ero accorto, ma quei due erano molto più uniti di quanto pensassi. Anzi, erano proprio innamorati: andavano da una parte all’altra della casa veloci come ombre, e io li guardavo impalato in un angolo. Ogni tanto si toccavano la faccia, si accarezzavano: non ti preoccupare, amore, lo troviamo. Si davano i baci sulla fronte, sulle mani, come io non avevo mai visto fare ai miei genitori. Nemmeno nei compleanni, nemmeno nei giorni belli d’estate. Nemmeno a mare a Scauri. Non ti preoccupare, amore. Non gridare, però. Nun alluccà.
Antimo ci aveva provato a calmarla, ma ’Ntonietta uscì lo stesso fuori al balcone e dopo aver guardato di sotto, sui lati, perfino in cielo, cominciò a chiamare: Rodrigo, Rodrigo!
Le vicine già stavano affacciate, perché forse l’avevano sentita piangere. Ma chi è? Che è stato? La tartaruga? Uh, che disgrazia, Rodrigo, Rodrì! La risata del quartiere – erano davvero usciti tutti dai loro buchi, gli uomini e le femmine dei Cristallini –, scoppiò come un temporale d’agosto. E sopra alle loro risate, la voce di contralto di ’Ntonietta bruciata dal dolore, proprio un fulmine: Rodrigoooooooo!
Presa dalla disperazione, la vidi scendere le scale del suo palazzo e correre per tutto il supportico di Capodimonte, la strada di casa sua, senza nemmeno gli zoccoli ai piedi. La gente, dai balconi, rideva e rideva. Mio fratello, invece, se ne stava come nascosto, cercava di guardare pure lui cosa succedesse fuori, ma senza farsi vedere. Non glielo avevo chiesto, ma mi disse che le tartarughe non si affezionano ai padroni. Il loro encefalo, disse tutto preciso, non tiene il sistema limbico, la zona dove stanno le emozioni.
Poi, quando la voce di ’Ntonietta in strada si fece sempre più straziante, com’era dolorosa pure la risata di tutta quella gente affacciata, vidi che Antimo si rannicchiava a terra, pieno di compassione per la sua fidanzata pazza, ma anche di vergogna. Imprigionato dalle sue braccia che erano zampette, con la capuzzella precipitata sopra al petto. L’arco della sua schiena sembrava quello di un guscio: la corazza di una tartaruga.
Alessio Arena