Il racconto della domenica: Superuomo di Eleonora Bassi

 Il racconto della domenica: Superuomo di Eleonora Bassi

Illustrazione di Francesca Rago

Mio zio non era come lo vedi adesso. Adesso sa di cane.

Non dipende solo dall’alito, e non si può dire che “puzzi” di cane. Proprio lo sa.

È un odore che esiste nell’insieme, un miscuglio di tutto. C’entrano i denti, certo, ma anche il pile rosso bruciacchiato sulle spalle. E poi i capelli. Vuoi dirmi che non dipende anche da loro?

Mio zio, chiamiamolo zio V., ecco, lo zio V. ha scelto di vivere senza elettricità, riscaldamento e acqua calda. Ma non si può dire che viva senza luce.

Mio zio, quintali di litio fa, lavorava in una casa editrice.

Era un commercialista, anche se coi numeri c’entrava poco. Più che esserlo, lo faceva.

Tutti, in famiglia, dicevano che era un creativo. Più che farlo, lo era. Gli operai di mio nonno lo chiamavano “L’artista”.

Gli operai ci avevano visto giusto. La casa editrice era piccola.

Mio zio, i primi mesi, tornava a casa gasato, gli piaceva non badare solo ai conti. Qualche volta sceglieva anche le storie.

Poi c’era stato il discorso del Superuomo e della reincarnazione, e allora i manoscritti che analizzava e la sua vita si sono confusi un po’.

Va be’, l’hai capito, qual era il suo problema.

Un giorno come un altro, un giorno come un altro che era l’ultimo martedì di giugno, deve avere realizzato che la storia del Superuomo era una fiction, insomma della narrativa, e non era mica lui, e allora mi sa che c’è rimasto male, molto.

È venuto nell’attico dove facevo i compiti con la nonna, e io ho detto Sembri un boscaiolo dell’Alaska, e lui ha detto Preferirei dell’Arkansas, grazie, ché Alaska è banale e lo scrivono tutti, e poi ci sarebbe troppo freddo, e io allora gli ho chiesto Ma è per questo che metti quel pile? e lui ha detto No, è perché mi piacciono le scintille e poi ha detto alla nonna che era venuto lì per portarle una stampa del sicomoro, ché mia nonna l’aveva letto nel Vangelo, ma non sapeva mica come fosse nella realtà, e allora lui l’aveva stampato a colori su un foglio A3.

Dopo ha detto che voleva andare alle Eolie a fare il vuoto pneumatico, ha detto proprio così, e sul TICO finale ho sentito la gola della nonna che deglutiva.

Mentre la nonna andava a prendere un bicchiere d’acqua, ché lo zio V. sudava, lui è uscito scendendo le scale di corsa, e non ha mica chiuso la porta, e mia nonna ha preso a chiamarlo dalle scale, erano scale ripide, che si arrotolavano, e poi mi guardava e diceva Se ne è andato? ma non lo stava proprio chiedendo.

Dopo, la nonna ha detto che voleva dormire, e si è sdraiata sul divano, con il foglio del sicomoro sulla faccia.

Io le ho attaccato un post-it giallo con disegni di mele sulla colonna della cucina.

Si vede che, finite le scale, lo zio V. ha preso parte dei soldi della casa editrice ed è fuggito, ma ha lasciato tutte le sue piante grasse sulla scrivania, una specie di baratto, insomma, Erano cactus di grande valore, rarissimi, da collezione, ha detto l’editore, e mio papà ha detto all’editore che avrebbe ripagato tutto, e tempo due ore papà l’aveva fatto davvero e l’editore non voleva e non era mica contento, diceva che lo zio sarebbe tornato e lo diceva anche la moglie dell’editore, e sussurrava È un classico e a me piaceva come lei diceva Tuo zio V., e papà diceva Che brave persone, e mia mamma invece diceva Dei santi.

Io facevo confusione fra santi, alberi sacri e Superuomo.

Poi c’era la questione della mail non ufficiale, fasulla, che era stata scoperta, e allora si faceva un gran parlare dei suoi piani e Don Firmino la domenica a pranzo diceva Non l’ha fatto per i soldi.

Mio zio aveva telefonato a casa nostra dodici settimane dopo. Parlava come se avesse in bocca del tonno. In casa c’ero solo io.

La confusione l’avevano creata gli altri, diceva.

Lui stava solo male, diceva.

Il male era una fitta nella testa. Un topo che ti divora il cervello, hai presente? diceva.

Ho detto No, che non ce l’avevo presente. Poi mi ha parlato del segreto. Era indirizzato a me.

Il segreto è arrivato con la posta del mercoledì. Ho aperto un cartone, sperando non contenesse un gatto come l’ultima volta, ché io preferivo i cani, e c’erano, avvolti nel cellophane, raccoglitori di tre colori: verde, viola e blu. RACCONTI – ROMANZI – CV.

Foto e storie. Più di trecento documenti.

Trecentosessantadue, diceva lo zio, di storie e di curriculum, persone che cercavano un lavoro. Una pubblicazione o un lavoro. Persone e storie. Impilate in ordine alfabetico.

Era per quello, l’indirizzo segreto.

La casa editrice aveva un ordine: “Rispondiamo solo se interessati, per mancanza di tempo”, ma mio zio si sentiva il Superuomo, insomma, e ogni notte rispondeva dall’indirizzo segreto agli esclusi. Nessuna eccezione. Nessuna eccezione per 167 notti.

Esauriti gli effetti del Superuomo, ha detto che si era sentito un commercialista di provincia.

Io ho detto Zio ti voglio bene e lui non ha detto niente.

L’hai capito, no, qual era il suo problema?

Perché io non lo so mica.

Eleonora Bassi

Blam

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