Il racconto della domenica: Squash di Mara Marzolla
Quella cosa con Peter era come lo squash, aveva detto categorica, al telefono con Isotta. A dire il vero, prima ancora che di squash, aveva parlato di rinculo. Poi, il paragone non le doveva essere sembrato del tutto calzante. Così, era passata alla similitudine sportiva.
«Sai cosa penso, Isù?» disse, affranta, all’amica di sempre mentre – lì in cucina – prendeva dal frigorifero la solita busta di insalata. «Che lui non fa niente. Sta lì impalato, davanti a me, zitto.»
«Ma no. Perché dici così? Peter è presente, vi sentite tutti i giorni» rispose Isotta che, forse, già intravedeva il sentiero infelice in cui Carla si stava infilando.
«Isù, è presente: siamo d’accordo. Ma sono io quella entusiasta. Peter se ne sta lì, a ricevere. Al massimo, abbozza una risposta carina alla quale io, patetica che sono, assegno un significato straordinario. Ma è sempre e solo il mio l’entusiasmo, che fa avanti e indietro. Mi emoziono per il mio entusiasmo, capito come? Hai presente il rinculo?»
«Il che?»
«Il rinculo.»
«…»
«Ecco. A me succede esattamente la stessa cosa.»
«Il rinculo» affermò, incredula. «Davvero stai mettendo nella stessa frase Peter e il rinculo?»
«Sì! È così evidente, Isù» Carla diventava quasi aggressiva quando parlava del problema Peter. Proprio come se si stesse rivolgendo a lui, accusandolo. Poi continuò: «Se il rinculo non ti convince, cambiamo scena. Pensa allo squash: c’è un giocatore con in mano una racchetta, una pallina e un muro. Io sono il giocatore, la racchetta è la mia voce, il mio modo di fare. I miei sentimenti sono la pallina e Peter è…».
«… È il muro?»
«Sì. È il muro» ora Carla parlava lentamente. «Peter c’è. Ma non fa niente. Semplicemente si lascia rimbalzare addosso la pallina. E quella torna da me» la voce le si era fatta più bassa, più roca. Come se rendere quell’immagine le stesse facendo del male. Le era comparsa nella mente proprio poco prima di raccontarla e le stava sembrando perfetta.
Isotta non riuscì a replicare: forse che quell’idea di Carla e Peter risultava perfetta anche a lei?
Qualche istante di silenzio. Poi, Carla riprese con rassegnazione: «E con lo squash, Isù, si può andare avanti in eterno. Il muro, di certo, non si stanca».
«Tu, invece, sei stanca» le rispose Isotta, ansimante. Doveva essere quasi alla fine dei cinque piani di scale che ogni sera saliva per raggiungere il suo minuscolo appartamento, pensò Carla, che ormai aveva distolto la mente dallo squash, e da Peter, e dal muro.
In un attimo si rivide con Isotta, qualche anno prima, entrambe in pigiama, a chiacchierare affacciate alla finestrella della cucina del quinto piano, con lo sguardo rivolto alla lontana guglia della Mole. Non riusciva a focalizzare gli argomenti di allora ma ricordava i dettagli di quella stanza: le tazze dai colori pastello, due con i loro caffelatte sul tavolo di formica, le altre quattro appese al muro di fianco al lavello, le calamite e le foto di Isù bambina sul frigorifero, un rametto d’ulivo secco e un po’ malconcio appeso sopra alla porta, le bottiglie d’acqua ammassate a terra. E la leggerezza di quella giornata: Carla la ricordava bene. Quasi se la sentiva ancora addosso quella spensieratezza.
«Cosa vuoi fare? Che vuoi fare del tuo muro?» la voce di Isotta la riportò al presente.
Carla era in piedi, ferma, il telefono all’orecchio, l’insalata sul tavolo, la tovaglia ancora piegata nel cassetto aperto del mobile. Pensò che ascoltarla la calmava sempre: «Non parliamone più. Va bene così».
Mara Marzolla