Il racconto della domenica: Salvator Mundi di Leonardo Passari

 Il racconto della domenica: Salvator Mundi di Leonardo Passari

Illustrazione di Valentina Cascio

Era seduto in classe economy su un vecchio modello Starship SN-228, con la chitarra sotto i piedi e un valvolare ronzante come bagaglio a mano. Si godeva il caleidoscopio di stelle lontanissime. Si immaginava il freddo senza vento che doveva esserci là fuori. Forse oltre il vetro – rifletteva – il valvolare avrebbe smesso di ronzare. Oppure avrebbe ronzato anche in pieno spazio, magari diffuso da un riverbero ad ampiezza interplanetaria.

Gli venne voglia di suonare un po’. Lo schermo di fronte al sedile indicava uno scalo di mezza giornata sul satellite artificiale Clavius, a 47 ore terrestri di distanza. Era circondato da pochi passeggeri addormentati o immersi nelle squallide realtà virtuali disponibili gratuitamente, e sapere l’ora non gli serviva poi a molto.

Sui voli di quel tipo, soprattutto sui veicoli di prima classe, le compagnie mettevano a disposizione dei loro clienti un catalogo di città virtuali piene di accessori e divertimenti modificabili a proprio piacimento, in modo da poter passare il tempo nei lunghi periodi di viaggio. I sedili massaggianti e i cocktail rivitalizzanti per i muscoli e le cartilagini, che si intorpidivano stando seduti, avevano reso inutili le palestre troppo rumorose e spaziose dei vecchi modelli di prima classe. Persino il servizio clienti era stato virtualizzato sui più recenti veicoli: bastava collegarsi alla room principale per chiedere qualsiasi informazione sul volo; a pagamento, si poteva anche usufruire di un accompagnatore abbinato a un servizio di psicologia interplanetaria, nel caso di spiacevoli inconvenienti, come la «crisi dell’arrivo a destinazione» o la «riluttanza all’abbandono del partner virtuale» prima della fase di atterraggio.

Di tutto questo gli stava parlando da un numero imprecisato di ore uno strano signore con gli occhi azzurri e i capelli curati, vestito di tutto punto e molto, molto bello – nonostante, o complice, il naso pronunciato – che gli si era messo vicino mentre stava suonando la chitarra in cuffia. In un primo momento l’intrusione lo aveva infastidito, ma dopo un po’ aveva deciso di dargli corda, e si era presentato in qualità di musicista in tournée. Ben presto era rimasto incantato dalla calma che quel flusso di parole placido e ben ritmato gli infondeva. L’uomo aveva un effetto sia adrenalinico sia soporifero, e nei racconti dettagliatissimi dei voli lussuosi sui quali aveva trascorso molti anni della sua vita, si perdeva in aneddoti che facevano intuire chiaramente che si trattava di una persona ricchissima e almeno bicentenaria. La sua esperienza sembrava infinita, la sua passione contagiosa, e i suoi occhi non si potevano guardare troppo a lungo senza rischiare di rimanerne avvinti.

Raccontava dei pasti migliori che aveva consumato in viaggio. Una volta, mentre si dirigeva verso una luna di Giove per andare a riprendere suo padre, gli avevano portato un’aragosta talmente morbida che ne aveva mangiato persino parte della coda croccante. Un’altra volta, invece, aveva creduto seriamente di essersi innamorato: era diretto su Bagatyr, un piccolo satellite artificiale fondato da un mecenate d’arte poco lontano dalla Terra, famoso per ospitare gli originali di alcune delle opere d’arte più importanti salvate dallo Schlagenheim sulla Terra, visitabili solo sotto stretta sorveglianza. Appena salito sul veicolo per il breve viaggio di un mese e mezzo, era stato colto da una strana sensazione di malessere. L’ambasciatore terrestre di Bagatyr lo aveva invitato per certificare l’autenticità del Salvator Mundi di Leonardo da Vinci, e solo grazie a quella visita – che si componeva di: breve viaggio in classe Golden+; soggiorno di due settimane; accesso esclusivo agli archivi del Museo satellitare e giudizio sull’autenticità del quadro, tutto finanziato da chissà chi – avrebbe guadagnato abbastanza soldi da potersene andare con la Donna allo specchio di Picasso sottobraccio.

Eppure, appena dopo il decollo, si era sentito male, male come gli succedeva una volta ogni tanto. Si era affrettato a connettersi al menù di room virtuali a disposizione, aveva scelto velocemente una terra umile ma verdeggiante, dove avrebbe potuto fare il contadino per quel mesetto abbondante di viaggio, e poco dopo essersi sistemato nella sua stanza e aver controllato gli attrezzi nello scantinato, il malessere gli era passato del tutto.

Tornato nel suo casolare verso l’ora del tramonto, si era seduto a una tavola imbandita di prelibatezze. Un coscione di maiale arrostito e circondato di patate lo aveva attirato come una calamita, ma appena un attimo prima che potesse addentarlo gli era arrivato uno schiaffone da una mano sottile ma forte, così forte da fargli improvvisamente perdere il collegamento con la room. Continuava a giurare che quel giorno si era innamorato di una donna di cui aveva solo potuto vedere il riflesso della mano che lo aveva schiaffeggiato con violenza, e che quella rottura dei protocolli virtuali (che mai si sarebbe dovuta verificare) gli era sembrata la cosa più vera che avesse mai vissuto. Non si poteva fare altro che credergli. Se mai l’amore dovesse avere un volto, probabilmente sarebbe l’espressione di quell’uomo mentre parlava di un ceffone virtuale ricevuto in viaggio verso Bagatyr su un volo Golden+.

Intanto però, intorno ai due c’era la desolazione più totale, resa ancora più triste dai racconti sfarzosi che avevano allietato l’attesa pesante di quelle ore. In classe economy quei lussi erano un sogno. Dopo quasi cinque mesi di volo, si sentiva esausto, altroché. Guardandosi riflesso nell’oblò del veicolo, vide i suoi capelli lunghi e disordinati, due occhiaie che gli accentuavano l’odiosa gobba del naso, e il completo beige ormai chiazzato di sudore ovunque.

L’uomo, invece, sembrava appena uscito da un bagno caldo.

«E che ci fa qui, signore?»

«Ci faccio molte cose…»

«In che senso?»

«In verità, ci faccio tutto.»

«…»

«Non lo sai che ho guardato ovunque, negli archivi di qualunque produzione di realtà virtuali per l’entertainment di veicoli di terra, aria, mare e spazio, negli hard disk congelati di tutte le case di sviluppo fallite di stramaledetti videogiochi e MUVE, in tutti i database digitalizzati dei sogni fatti nella mia vita per cercare quella mano? E che continuerò a cercare, amico mio, perché ho tante cose da fare prima di morire, ma una sola deciderà il mio destino. E inoltre, qualche uccellino mi ha detto che il vero Salvator Mundi potrebbe essere al Marquee Moon. Ma ormai, dimmi, cosa vuoi che me ne importi del Salvator Mundi? Ho il mio Salvator Mundi da cercare…»

«Il Marquee Moon di Clavius?»

«Esatto.»

«Avrei dovuto suonarci, ma la mia agenzia mi ha convinto ad andare fino a Sycomoria perché pagano meglio.»

«Ah, che gran cazzata, amico mio. Ci saremmo divertiti su Clavius, secondo me sei forte.» Diede un’occhiata al valvolare rivestito di tweed. «Ma è andata come è andata, la prossima volta farò più attenzione, che diamine.»

Si salutarono, e l’uomo si andò a sedere accanto a un’anziana signora addormentata per la fase di atterraggio. Già dall’alto, le luci nella notte di Clavius sembravano segnali psichedelici di una festa infinita. Mentre lo Starship si avvicinava per spegnersi al suolo, la musica dei locali era un brusio continuo anche se lontanissimo. L’uomo non si voltò più per salutare, ma scese con le mani in tasca e proseguì da solo, senza valigia, verso l’uscita dello spazioporto.

Alla fine il concerto su Sycomoria non fu un totale fallimento, ma il mese di viaggio rimasto per arrivarci sembrava non finire mai.

Leonardo Passari

Blam

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