Il racconto della domenica: L’elefante di Edoardo Poeta

 Il racconto della domenica: L’elefante di Edoardo Poeta

Illustrazione collage di Ottavia Marchiori

Il tram si era fermato. Paolo era seduto nell’ultima fila, piegato in avanti e con gli occhi fissi sui video di Instagram. Era stato sempre convinto che i cinesi fossero piccoli e sgraziati, ma ora aveva scoperto l’esistenza di cinesi altissime che ancheggiavano scuotendo grandi mammelle.

Apparivano ignare di esser inquadrate, per ammiccare quando si avvedevano dell’obiettivo, fingendo sorpresa. Non avrebbe mai pensato, Paolo, che le cinesi potessero piacergli, benché così magre e pallide. Poi gli sorse il sospetto che quelle immagini fossero state confezionate per attirare lo sguardo del maschio occidentale e totalizzare migliaia di eccitate visualizzazioni.

Era assorto in queste considerazioni ormonali, quando prese coscienza che il tram non accennava a ripartire. Sollevò lo sguardo e vide che le sedie del vagone erano vuote. Il pensionato con il sacchetto a rete in nylon bianco-blu con dentro tre mele gialle; il ragazzo che sapeva di sudore con il berretto da baseball troppo stretto; la mamma truccatissima con il bambinetto irrequieto e rosso di capelli. Tutti scomparsi. Non si era accorto che fossero scesi.

Pensò a un guasto, allungò il collo, ma non scorse nessuno in divisa cui chiedere della corsa sostitutiva per piazza del Risorgimento. In compenso vide là fuori – ben piantato davanti al parabrezza – un grosso elefante.

Sì, un elefante: un bestione placido che, dondolandosi, sembrava osservarlo incuriosito. L’animale era sopra ai binari, in corrispondenza della fermata di viale delle Belle Arti, e impediva al tram di avanzare. Sull’isola spartitraffico nessun viaggiatore in attesa.

Paolo, allora, decise di scendere ma trovò chiusa la porta accanto, quella centrale e quella anteriore. Davanti a lui, al di là del vetro, soltanto quell’elefante che scuoteva il capo, come per manifestare disappunto.

Si avventò sul finestrino laterale per spalancarlo. All’esterno vide allora due leoni giganteschi, fermi sulle scale bianche della Galleria nazionale d’arte moderna. Erano in bronzo, non in carne e ossa come il pachiderma dinanzi al 19. Di umani neanche la traccia.

Giratosi verso l’altro lato del vagone, inquadrò dai vetri del tram una piccola folla ai piedi delle scale per Villa Borghese. Alcuni erano vestiti di bianco, con i calzini nei sandali e le macchine fotografiche al collo. Altri con i cocktail in mano, calati dal chiosco degli aperitivi più sopra. Ai margini della strada sostavano due Panda della Municipale, circondate da vigili.

Paolo agitò le braccia. Gridò. Sventolò perfino i fogli di un giornale trovato sui sedili. Nessuno però che guardasse verso di lui. Come facevano a non vederlo? Indossava una camicia arancione! Gli occhi di tutti erano per l’elefante, fissi nel rettangolo dello schermo del cellulare con cui lo stavano inquadrando.

Vide la mamma del bimbo irrequieto. Era vicino ai vigili urbani e pareva spaventata. Era l’unica a tenere il cellulare all’orecchio. Il piccolo non era accanto a lei. Data l’agitazione che lo possedeva e l’ignavia materna nel curarsene, poteva benissimo esser fuggito lungo la viuzza alberata lì accanto.

Paolo si avvicinò alla postazione di guida. Avrebbe voluto aprire le porte e andarsene, lasciando lì tram, elefante e curiosi. Ma la proboscide dell’animale si alzò all’improvviso davanti al vetro anteriore e Paolo si ritrasse spaventato.

«Pronto, Centrale? C’è un elefante che blocca il 19 in viale delle Belle Arti, proprio davanti alla Galleria nazionale.»

«Sì, grazie. Stiamo già intervenendo. Abbiamo due pattuglie sul posto.»

«Lo so. Le vedo.»

«Perché ci ha chiamato allora?» chiese irritato l’agente.

«Sono dentro al tram. E se mandate qualcuno ad aprire le porte, scenderei anch’io: l’autista ha chiuso tutto. Ho un appuntamento importante e pure fretta.»

«Lei non può stare all’interno del tram. Può essere pericoloso: scenda.»

«È quel che ho appena chiesto.»

Seguirono minuti di conciliabolo tra addetti alle emergenze.

Dopo due settimane di messaggi a un impresario conosciuto per caso in spiaggia, Paolo si era procurato un’audizione per la stagione invernale. Senza quel lavoro sarebbe stata dura arrivare a fine anno. E ora un elefante, un tramviere e un vigile rischiavano di mandare tutto a monte.

Scandì quindi il proprio nome e cognome al telefono e disse: «Sono un musicista». «Insegno anche solfeggio in una scuola a Prati» aggiunse per darsi tono. «Ora, mi fate aprire, per cortesia?»

«Purtroppo non è sicuro uscire dal tram.»

«State scherzando? Sono le 19 e 30 e ho un impegno alle 20!»

Avevano già attaccato. Guardò disperato gli agenti dall’altra parte del viale. L’elefante restava immobile, quasi avesse dimenticato da dove fosse venuto, dove fosse diretto e perché fosse lì. Era uscito dallo zoo con una disinvoltura singolare per un pachiderma. Per imprecisate ragioni aveva superato il cancello del Bioparco, aveva svoltato a destra e percorso i vialetti fino ad abbandonare Villa Borghese.

Probabilmente le sue zampe avevano percepito un tremolio sferragliante provenire dall’asfalto. Poi uno stridore di freni. Il conducente del 19, vedendolo al margine dei binari, si sarà forse illuso di poter saltare la fermata, così da evitare l’imbarazzo di attendere la discesa dei passeggeri con accanto un elefante. Ma l’animale aveva scartato a destra e lo aveva fermato sulle rotaie.

Paolo abbozzò un whatsapp bugiardo per l’impresario. Come avrebbe potuto credere alla verità? «Un elefante? Maddai.» E mentre cancellava e riscriveva, ricevette un messaggio dalla sua compagna: «Sei arrivato? Pensa se avessi preso il 19». Non rispose, e aprì il link allegato. La diretta social mostrava un largo viale senza auto. Sullo sfondo la Galleria nazionale con le colonne, un tram verde in primo piano e a sinistra – a fronteggiarlo – un elefante tra le cui zampe giocherellava, ora nascondendosi, ora aggrappandosi, un bambino dai capelli rossi.

«Ecco dov’era scappato il figlio della mamma truccatissima!»

Tornò a guardare per strada, dove si era formata una ressa. La scalinata era gremita di spettatori. I vigili del fuoco montavano fotoelettriche, e davanti a una telecamera era in corso un’intervista.

«Non potreste mandare un domatore a salvare il bambino?» chiese la giornalista.

«È un animale che ha vissuto in uno zoo, non in un circo. Stiamo cercando una soluzione con gli specialisti del Bioparco.»

Il ragazzino intanto, sordo a ogni richiamo, continuava a zampettare intorno all’animale. Un pachiderma che sembrava non riuscire a spostarsi con quel demonio attorno. E tutti erano ipnotizzati dalla scena, perfetta per raccogliere migliaia di visualizzazioni. Più delle modelle cinesi.

«Non potreste addormentare l’elefante?»

«Ci sono troppi rischi. Il primo è che l’anestetico potrebbe essere iniettato accidentalmente al bambino, con conseguenze letali. Il secondo è che l’animale, accasciandosi, potrebbe schiacciarlo.»

Paolo, nel frattempo, si era sporto dal finestrino dietro la cabina di guida. «Bambino!» gridò. Non ricevette risposta. «Bambino!» Ricadde sul sedile, come ricacciato indietro. Poi guardò verso la custodia del clarinetto, poggiata due file indietro. E, legandosi i capelli, si alzò di nuovo.

SolSi ReSol SiLaSolMi Do diesisRe,

SolSi ReSol SiLaSolMi Re MiSi bemolle.

Paolo intonò un pezzo di Henry Mancini, sperando di fare come il pifferaio di Hamelin e riuscire a spostare il pachiderma con le note di Baby Elephant Walk. L’elefante rimase indifferente, come il bimbo, ma non la folla dei curiosi. I riflettori della tv cambiarono direzione, così pure le telecamere e i cellulari, e il pubblico non pagante salutò con un’ovazione la conclusione del brano.

Paolo, lì per lì, ebbe la tentazione di gridare: «Fatemi uscire: ho un’audizione!». Invece poggiò di nuovo le labbra sul bocchino eseguendo un piccolo concerto che spaziò dal jazz al klezmer fino alla musica classica.

La diretta social da migliaia di visualizzazioni continuava con lui. Il bambinetto – abituato a guadagnarsi l’attenzione con i capricci – sentitosi ignorato aveva raggiunto la madre che lo aveva gratificato con un lecca-lecca. L’elefante – senza che nessuno se ne avvedesse – diede uno sguardo a quell’uomo dalla strana piccola proboscide nera e si allontanò lungo la salita che lo avrebbe portato, finalmente, all’Accademia britannica.

Edoardo Poeta

Blam

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1 Comment

  • complimenti ad Edoardo Poeta, bella novella , moderna, contemporanea e cittadina. Atmosfera surreale ma realista.
    Grazie per averla pubblicata.
    SB

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