Il racconto della domenica: La pomata per il cuore di Marianna Vitale
Sull’etichetta c’era scritto “Pomata per il cuore”. L’avevo comprata in un negozio etnico del centro, non ricordavo di averlo mai visto prima, ed ero entrato preso dalla curiosità. L’uomo dietro al bancone aveva un turbante e una barba scura, eppure non avrei saputo dire se fosse indiano, o arabo, o se recitasse una parte per attirare i clienti. Le mensole erano piene di cianfrusaglie e di oggettini da due soldi, ma quel vasetto mi aveva colpito.
«Funziona davvero?» avevo domandato.
L’uomo aveva alzato le spalle, forse non voleva assumersi nessuna responsabilità o forse non era in grado di rispondere nella mia lingua. Non parlò affatto, digitò soltanto il prezzo sui tasti della cassa e mi porse lo scontrino. Decisi che potevo permettermi di tentare, perciò pagai e me ne andai col mio vasetto nella tasca del cappotto.
A casa lessi attentamente le scritte minuscole sul retro dell’etichetta. Diceva di applicare la pomata al mattino, appena svegli, e la sera, prima di coricarsi. Si raccomandava di spalmarla bene e nel punto esatto del petto che corrispondeva al cuore. Prometteva di guarire “QUALSIASI ferita” – era scritto proprio così: “QUALSIASI ferita”. Mi venne da ridere. Era probabilmente uno di quei prodotti che si regalano agli amici per scherzo, o che si comprano come souvenir per commuovere un parente. Chissà come avevo fatto a credere che avrebbe potuto guarire il mio cuore malato. Nonostante questo, aprii il vasetto e notai che la pomata aveva un buon profumo, sapeva di rose e di pesca, e me la spalmai prima di dormire, pensando che mi avrebbe aiutato a rilassarmi. Fu la prima notte che non mi svegliai neanche una volta, per cercare il corpo di mia moglie fra le lenzuola del letto in cui giacevo da solo ormai da un anno. Aprii gli occhi che ero completamente riposato. Non pensai affatto alla pomata, la ritenni una coincidenza, e dimenticai di spalmarmela di nuovo al mattino. Me ne ricordai soltanto il pomeriggio, e prima di uscire per la solita passeggiata; mi sbottonai la camicia e ne applicai una piccola quantità in corrispondenza del cuore.
Le cose mi apparvero diverse quel pomeriggio – come se le vedessi per la prima volta. C’era il prato dei vicini, così curato e rigoglioso, c’era il sole che bagnava i palazzi di luce calda, facendoli sembrare quasi dorati, c’era la musica di un pianoforte, qualcuno che si esercitava con la finestra aperta. Il mondo non mi era mai sembrato così accogliente e confortevole, pensai che dopotutto fosse un buon posto in cui invecchiare. Quella sera decisi di andare a cena fuori, nella nostra trattoria preferita – mia e di mia moglie, ci andavamo sempre quando era ancora viva. La cameriera mi accolse con un sorriso sincero, mi fece accomodare al solito tavolo e mi elencò i piatti del giorno. Mentre aspettavo l’ordinazione mi resi conto che stavo bene, non avevo provato, entrando, quel senso di nostalgia e rimpianto che mi aveva accompagnato nell’ultimo anno, ogni volta che varcavo la soglia di un luogo che avevo frequentato con mia moglie, e in cui ora mi ritrovavo da solo. Stavo bene, mi stavo godendo la serata e quel poco di gioia che la vita aveva ancora da offrirmi.
Dopo cena passai un’ora a leggere sulla mia poltrona, poi mi spalmai la pomata e dormii come un bambino.
Man mano che i giorni passavano, continuando a usare la pomata mattina e sera, mi resi conto che le cose che prima mi facevano soffrire ora non mi toccavano più di tanto: potevo passeggiare per la città senza che nessun luogo suscitasse in me brutti ricordi, potevo guardare le fotografie di mia moglie ricordando quanto era bella senza che mi venissero le lacrime agli occhi, potevo telefonare a mio figlio e chiedere come stesse senza rimproverargli il fatto che non venisse mai a trovarmi – ero semplicemente felice per lui. Riuscii addirittura a riprendere i contatti con un vecchio amico, col quale avevo litigato da così tanto tempo che non ne ricordavo più il motivo, e ogni pomeriggio ci trovavamo a casa sua per giocare a carte. Ero un uomo nuovo, e ormai ero abbastanza certo che il merito fosse in gran parte della pomata: c’era scritto che avrebbe guarito QUALSIASI ferita, e così era stato.
Consumai tutto il vasetto, e quando finì corsi a comprarne uno nuovo. Il commesso era diverso questa volta, aveva la pelle scura e parlava benissimo in italiano. Gli dissi che la pomata funzionava a meraviglia e lui ne fu felice.
«Stia attento agli effetti collaterali» mi avvisò, mentre uscivo.
«Quali effetti?» chiesi, voltandomi.
Lui sorrise e pensai che avesse voluto fare una battuta.
Una volta arrivato a casa lessi di nuovo tutte le scritte sull’etichetta e non trovai nessun riferimento a possibili effetti collaterali. Continuai a spalmarmela regolarmente ma, un paio di giorni più tardi, capitando nei pressi del negozio, decisi di tornare a fare qualche domanda. C’era di nuovo il commesso col turbante. Gli mostrai il vasetto e gli chiesi degli effetti collaterali. Lui scosse la testa e fece un cenno con la mano, come per scacciare una mosca.
Quella sera lessi un libro, ma non ne fui soddisfatto; accesi la televisione, ma i programmi mi annoiavano. Alla fine, me ne andai a letto e dormii senza sognare.
Nei giorni successivi decisi di liberarmi di tutte le cose di mia moglie, cose che non avevo più avuto il coraggio di toccare. Aprii gli armadi, tirai fuori i suoi vestiti, e riempii una serie di scatoloni. Un tempo questa operazione sarebbe stata molto dolorosa, mi avrebbe costretto a rievocare tutti i momenti più significativi della nostra vita insieme, invece ora la mia mente era una pagina bianca – piegavo quei vestiti come se appartenessero a una persona sconosciuta. Pensai soltanto che stavo facendo del bene, perché avrei dato tutto in beneficenza, aiutando qualcuno che ne aveva davvero bisogno. Poi chiamai mio figlio e gli dissi che se voleva, poteva venire a prendere le cose di quando era bambino, altrimenti avrei dato via anche quelle. Lui parve turbato.
«Sei sicuro che vuoi dare via tutto, papà? Non ti…dispiace?»
«No, anzi, in questo modo non avrò più brutti ricordi» gli spiegai.
«Questo perché non avrai più nessun ricordo.»
Io non aggiunsi altro, lui promise di passare.
Lasciai i suoi scatoloni in garage – sapevo che non sarebbe mai venuto, e non mi importava.
Quella sera, dopo essermi spalmato la pomata per il cuore, mi accorsi che sul comodino tenevo ancora delle foto ingiallite di mia moglie – una volta le guardavo per ore, quando non riuscivo a dormire. Le osservai e non provai assolutamente nulla. Nessun senso di perdita, nessun rimpianto, nessun desiderio di raggiungerla, ovunque fosse ora. Mi sentivo bene.
Mentre mi addormentavo mi ripromisi di gettare quelle vecchie foto nella spazzatura: erano tutte sbiadite e consumate, e tanto, prima o dopo, l’immagine si sarebbe comunque cancellata del tutto.
Marianna Vitale