Il racconto della domenica: Il colore dell’insonnia è verde acido di Camilla Longo Giordani

 Il racconto della domenica: Il colore dell’insonnia è verde acido di Camilla Longo Giordani

Illustrazione di Sonia De Nardo

Alle ventuno e trenta c’è l’obbligo di ritirarsi nelle camere, serrare le imposte fino all’ultima fessura. Neanche i raggi della luna sono ammessi alla costruzione del buio assoluto. Il treno fischia ancora fuori – ogni fischio è un possibile schianto, l’ipotesi di tumefazione umana – insieme al lamento pungente delle ambulanze. Solo loro potranno cantilenare per tutte le strade della notte, fino all’alba. Ci sono ancora cinquantadue minuti di tempo per tenere la luce accesa e goderne. Le attività possibili in cinquantadue minuti in una stanza sono infinite, ma Quella non conosce libertà e si ritrova immersa nelle solite due o tre cose. Poiché si dice che cucire distenda le meningi e i nervi, l’ago e filo è l’attività prediletta, accompagnata dallo sfiatamento del termosifone e l’ascolto dell’acqua che scorre nelle tubature. L’ago è stretto e ha la qualità di pungere e graffiare molte superfici. Quella teme di addormentarsi dimenticando l’ago tra le coperte.

Il tempo si assottiglia e alle ventidue e ventidue bisogna spegnere la luce e qualsiasi dispositivo elettronico luminoso. Secondo uno studio consultato da Quella sul suo portale di salute più fidato, l’unica cura all’insonnia che non dà dipendenza – in realtà era pubblicizzata come “non dà abitudine” – è il buio assoluto. Una macchia nera pesante deve invadere la stanza, avvolgere il dormiente, cullarlo e farlo sprofondare nelle maree del sonno. Solo dal nero l’inconscio può ripartire a dare colore ai sogni, così si diceva nello studio pubblicato sul portale di salute di fiducia. L’orario palindromico è stato un vezzo ingenuo di Quella, che da bambina quando trovava quell’ora stampata in rosso sulla radiosveglia esprimeva con forza un desiderio, strizzando mani e ciglia fino a far male; soltanto poi si poteva dormire.

La tavolozza dell’inconscio ha scelto il verde acido per il cielo e il celeste per le piante, le nuvole invece hanno il primato del bianco, così anche la ruggine e la schiuma sulla sabbia. Se si spia all’interno del cunicolo auricolare si può vedere Quella che vola come un gabbiano, non ancora libero dalle vertigini, nonostante la natura precisa. Ma l’instabile delicatezza è la prerogativa del sogno, e così le nuvole si sgonfiano, il cielo si crepa e un soffio impercettibile nel retroscena porta la caduta a terra della tavolozza, mescolandone i colori che vengono subito dissolti dal buio assoluto. È l’anticamera della veglia. La mente di Quella si riaccende, in riemersione, più impaurita che ristorata, con un respiro che le striscia nelle orecchie; «Non è ancora giorno, non è ancora tempo per svegliarsi» ne è convinta, nonostante l’assenza di apparecchi elettronici che le possano testimoniare l’ora. Il buio assoluto sembra aver fallito, dopo mesi di efficacia. Nonostante la veglia, il respiro rimane, la chiama e le dimostra di non essere uno strascico onirico, residuo non raro, poiché ogni tanto i sogni più coraggiosi rimangono appiccicati come stracci bagnati e cercano di farsi largo nel mondo della luce. Sono i figli più dispettosi e prepotenti dell’inconscio, che trovano la morte come Icari infelici bruciati dalla vicinanza del giorno.

Quella si alza, tendendo l’udito, seguendo il soffio, che pare affaticato e sempre più flebile. «Ago e filo, ago e filo, ago e filo» ritma il pensiero di Quella, fino a trovarsi nel mezzo della stanza, al centro del pavimento, sdraiata completamente sulla gelida superficie ad ascoltare. Il respiro è lì, è la mattonella centrale, quella la cui superficie si era scalfita durante un brusco spostamento del divano. Il pavimento si inarca, palpita al tatto della mano di Quella. «Sei un dondolio rasserenante, spero tu non sia una ferita del pavimento, ma in fondo non mi importa, perché di notte non trovo spazio per la pietà e ora voglio che tu mi lasci dormire, qui al tuo fianco». Ago e filo, ago e filo e Quella si sovrappone alla cadenza del respiro, si impregna e si discioglie nello stesso ritmo. Domani scriverà sul portale di salute fidato che ha scoperto una nuova cura per l’insonnia.

Sono le sei e cinquanta, la sveglia silenziosa e invisibile suona. Quella si alza dal pavimento e scruta i palmi delle mani, sono intatti e rosei. La mattonella non ha smesso di palpitare, il cui battito è un’agonia silenziosa e sottopelle. Con la luce del giorno è arrivata anche la pietà, e quando Quella ricorda il ritornello notturno, prende l’ago, toglie il filo, e lo infilza nella mattonella. Gli aghi hanno la qualità di pungere e graffiare molte superfici.

Camilla Longo Giordani

Blam

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