Il racconto della domenica: Disco Angel di Federico Piacentini
Quella roba era proprio buona.
Riemergo dalla nebbia all’improvviso. Mi gira la testa, sudo, il mio corpo segue il ritmo alienante di qualche canzone che chissà per quale motivo mi piace, ma che non ricorderò. Scatti, lampi di luce e facce contorte mi compaiono intorno. C’è questo grassone che continua a sbattermi contro. Lo spingo via due o tre volte, mi osserva e ride con quella faccia da maiale, colando grasso da tutti i pori. Gli vorrei spaccare la faccia al grassone.
Inizio a farmi strada nella calca con poca gentilezza, è una guerra quella della notte. Io la voglio vincere.
Il posto è scuro, velato di una luce rosa artificiale quasi da dar noia. Barcollo, sbatto contro tutti, spingo e vengo spinto, e ho caldo, e mi gira la testa.
Quella roba era proprio buona.
Riesco a intravedere la porta di uscita. La vescica mi scoppia, urla al corpo che non può essere trattata così. Spingo il maniglione e sono fuori. L’aria fresca è uno schiaffo vitale. Giro intorno all’edificio e trovo un cortile di erbacce e ghiaia. Mi fermo nell’ombra e finalmente mi libero. Un gruppo di ragazzi non lontano beve, ride e si fa. Forse coca, forse ketamina. Li guardo combattuto tra l’invidia e il disgusto per la dipendenza dalla felicità.
Mentre credo che tutto faccia pena la vedo. Un angelo. Deve esserlo, tanto è aggraziata e luminosa la figura che mi passa accanto e che scappa, come un lampo sfumato. Mi diverte la proprietà d’immaginazione della mia mente sotto effetto di droghe, sorrido al muro pieno di piscio e chiudo la zip.
È proprio mentre penso “quella roba era proprio buona” che l’angelo ricompare, come sospeso da terra, si immerge nella società accalcata del sabato sera. Non era un sogno, devo assolutamente raggiungerla e toccarla, la mia visione. Mi tuffo nella calca, già ripreso, con un obiettivo, certo a breve termine, ma chi se ne frega almeno ce l’ho, un obiettivo. Appena dentro, il petto vibra per i bassi, la puzza d’alcol stordisce e facce orribili mi scrutano. Li ignoro e mi dirigo verso le scale con quel senso di paura tipico di chi sa di aver perso una cosa così vicina un attimo prima e così lontana e introvabile un secondo dopo.
Ma ecco l’angelo! La vedo, in cima alle scale. Mi fiondo, faccio incazzare qualcuno probabilmente per aver versato i suoi sette testoni di alcol in terra, ma continuo a salire, sguscio tra maglie larghe e sigarette. La vedo, è al bancone. Mi avvicino, rapido ma non troppo, un po’ splendido un po’ inebetito.
«Ciao.»
Mi guarda, il mondo si ferma come in quei filmati slow motion, tutto intorno continua a girare ma molto molto lento, solo il battito del cuore mi ricorda che sono vivo. Gli occhi negli occhi, il respiro è fermo, la gola asciutta, suoni distorti.
«Ciao.» Dice lei.
Ogni suo lineamento è ecstasy, ma non droga, più reale, meno sintetica.
«Sei stupenda.» Urlo. «Non lo dico a tutte. So che pensi che dica a tutte che non lo dico a tutte ma…»
Mi chiude la bocca con la mano.
«Baciami.» Mi dice.
La bacio e la sua fragranza mi avvolge, mi affoga. Sono vivo. Mai stato così vivo. Mi stacco e la guardo.
«Sai, sei molto carino, se vuoi stasera posso essere il tuo disco angel.»
«Ma sei reale?»
Lei si mette a ridere ed è un sorriso mai visto, perfetto e predatore. Io sono la sua preda e sono contento di esserlo.
«Ti posso offrire da bere?»
«Non c’è tempo.» Mi afferra la mano guidandomi attraverso la pista. Con una veemenza inaspettata l’angelo crea un varco nel mare di persone che ondeggia al vento dei bassi. Davanti a una porta. La apre, non curandosi del tipo grosso come un armadio con un auricolare che ci guarda in maniera stranamente normale. Siamo dentro un cesso. Superiamo il lavandino dove ci sono due tizi piegati a tirare. Non mi turba, perché io sono più fortunato, ho trovato l’amore stasera. Entriamo in un bagno, ci baciamo, ci scateniamo, ci strapazziamo e in un attimo sono dentro di lei. La roba mi aiuta in questo, sono carico e felice, ritardo di molto la fine del gioco amoroso.
Quella roba era proprio buona.
Mi agito, gli dico parole d’amore nell’orecchio, lei mi segue e mi accarezza dolcemente. Dice che sono buono. Finisco in paradiso. Siamo sudati e uniti, ognuno respira l’anima dell’altro, la amo, credo.
«Ti amo, credo.»
Lei mi guarda e sorride. Mi liscia la testa ancora una volta e poi: «Sono cinquanta bellino».
«Cosa?»
Si alza e si sistema quegli splendidi capelli: «Se vuoi puoi darli anche a Rocco, i soldi, è quel tipo fuori della porta».
Mi strizza l’occhio, un bacio in fronte e svanisce, così com’era apparsa, in un lampo.
Il momento in cui ti si spezza il cuore a volte è molto più lucido di quanto le persone possano credere.
Metto a fuoco tutto, la discoteca, il grassone, la roba, la musica, il bancone del bar, i ragazzi che si fanno e ridono, l’armadio Rocco, me, l’angelo.
Quella roba era proprio buona.
Federico Piacentini