Il racconto della domenica: Dialogo tra un ricoverato impostore e un impostore ricoverato di Filippo Nencioni
«A me hanno detto: la scommessa la vinci se sali sulla cima del ligustro e ti butti di sotto.»
«E tu?»
«E io che dovevo fare? Salire non è stato difficile, e scendere ancora meno, perché il ligustro è un siepone che fuori sembra compatto e dentro invece è tutto passaggi stretti mai stricati da nessuno.»
«E quindi? Com’è andata?»
«Eh, mi sono sbrindellato le gambe.»
«Cioè?»
«Cioè me le sono smandrappate.»
«Ovvero?»
«Ovvero, me le sono scalcinate.»
«Te le sei?»
«Me le sono linciate, me le sono triturate, e ora me le devono ricucire, e poi me le devono rabberciare, e poi le devono…»
«Ho capito, ho capito.»
«E tu?»
«Io ho saltato da sopra un camion in corsa.»
«Ahia.»
«Ma quale ahia? Non mi sono fatto niente.»
«Ma come? Il camion in corsa… sei saltato giù…»
«Io ero in corsa, il camion era fermo.»
«E che ci facevi sopra un camion fermo?»
«Masticavo uno stecco di liquirizia e leggevo un giornaletto.»
«Bizzarro! Che giornaletto?»
«Malattia e Devozione di Harganin il viandante creolo e di suo fratello Horganin che fischiettava e basta.»
«Ma quanti anni hai?»
«Quarantasette.»
«E la storia del camion quand’è successa?»
«Avevo dieci anni.»
«E non ti facesti nulla?»
«Qualche sgraffio.»
«E dopo tutto questo tempo, per qualche sgraffio, sei sempre qui ricoverato?»
«Sarei da dimettere, ma da trentasette anni ogni giorno ne combino una, così mi ricoverano di nuovo e via.»
«E via cosa?»
«E via a letto, sdraiato a leggere giornaletti.»
«Astuto! Che giornaletto stai leggendo ora?»
«Giancarlo Pini piastrellista stanco.».
«Dal titolo sembrerebbe meno avvincente del viandante creolo.»
«Può essere, anzi, può sembrare, ma senz’altro il tempo cambia tutto, anche i titoli dei giornaletti, e questo Giancarlo Pini è uno con le palle quadre, guarda qua, toh!, guarda che bagni che fa!»
«Prezioso! E che dice qua? Che c’è scritto nelle nuvolette?»
«Ah, dimenticavo, Giancarlo Pini è chiamato “piastrellista stanco” perché stanco di parlare una lingua nella quale si rispecchia sempre meno e quindi si è inventato un pidgin tutto suo.»
«Ma qui parla da solo?»
«No, sta parlando alle piastrelle. In pratica il suo pidgin lo utilizza soltanto quando non c’è nessuno nei dintorni, lo conoscono soltanto le piastrelle, per questo i bagni vengono così belli.»
«Geniale! Quindi è come se le piastrelle lo stessero ad ascoltare e si ordinassero secondo il disegno che lui comanda in un linguaggio noto solo a loro.»
«Esatto, si svolge tutto in estrema segretezza, Pini Giancarlo non può permettere che la copertura salti. Perché lui in realtà non è un gretto piastrellista, ma un luminare della linguistica!»
«E di quale copertura parli?»
«Come quale copertura? Quella del gretto piastrellista silenzioso.»
«E che gli vale?»
«Bah… non capisci. Gli vale eccome! Pini è un luminare della linguistica e ha trovato la chiave per far muovere oggetti inanimati tramite un linguaggio inventato, ti pare una questione d’aria fritta?»
«No assolutamente, non intendevo dire questo, però… a che gli vale tenere nascosto questo suo potere?»
«Innanzitutto non è un potere, non gli è stato donato dal cielo per l’arbitrio di una natura o di uno o più dei benevoli; è una scoperta, alla quale è giunto dopo anni di bagni piastrellati. E poi immagina: quanti intellettuali, quanti giornalisti, quanti uomini di potere gli rivolgerebbero domande, lo inviterebbero, lo tirerebbero per la manica della giacca, chiedendogli questa e quest’altra spiegazione?»
«Potrebbe farci un sacco di soldi però.»
«Eccone un altro che ciancia di soldi! Soldi sì, ma a quale prezzo?»
«Io fossi in lui me ne fregherei delle conseguenze e insegnerei la tecnica al mondo intero.»
«Già, disse quello che per scommessa si è sbucciato le tibie in una siepe.»
«Caustico! Può succedere. E l’altro giornaletto invece, quello del viandante creolo, di che parla?»
«E chi se lo ricorda, è stato tempo fa.»
«Peccato.»
«Però, se può interessarti, di quel giorno conservo ancora lo stecco di liquirizia.»
«Che schifo.»
«Questo lo dici tu, guarda qua che roba.»
«Ma è sotto spirito?»
«E certo, altrimenti come si conserva?»
«Curioso!»
«Ce n’è di roba sotto questo letto dopo trentasette anni!»
«Quanta?»
«Quanto è estesa la tua scienza del dettaglio.»
«Ironico! Ma con le gambe architravate, immobile nel letto, qualcosa dovrò pur dire?»
«Architravate? Ma che ti sei fatto?»
«Mi sono arrampicato in cima a una siepe di ligustro e poi ci sono sprofondato dentro.»
«E poi?»
«E poi mi sono risvegliato qua.»
«Mmh. Dev’esserci un errore, aspetta che comunico con la Direzione.»
«Sei anche un segretario del reparto?»
«Uno non sta trentasette anni in un ospedale senza fare un minimo di carriera.»
«Giusto.»
«Pronto Direzione, chiamo dal Reparto Grandi Saltati, qua ci avete messo uno che non è saltato da nessuna parte. Questo è solo sprofondato dentro una siepe dopo essercisi salito sopra, che è ben diverso, venite a prenderlo.»
«Ma che significa?»
«Significa che nel Reparto Grandi Saltati ci stanno solo quelli che si sono infortunati mentre si trovavano nell’azione di saltare.»
«Beh, io non avrò saltato spontaneamente, ma il movimento è stato pressappoco quello.»
«Eh no, ti sbagli, non è la stessa cosa.»
«E poi sono io quello della “scienza del dettaglio”!»
«Chi ti credi di essere, scusa? Pensi di arrivare così, coi tuoi aggettivi naif e le gambe un po’ sgraffiate e metterti al pari di uno che è qui da trentasette anni?»
«Ma io in realtà non volevo…»
«Non volevi, non volevi, nessuno ammette mai di volere rubarmi il posto, tutti per caso, tutti con qualche livido da farsi curare, tutti con qualche punticino sul menisco. Che pensate, che mi sia buttato dal letto ogni giorno per divertimento? Io sono rispettato qui, io sono un’istituzione e non permetterò al primo coglione con le gambe “architravate” né di rubarmi il posto, né di mettersi alla mia pari.»
«Ma le mie gambe sono davvero architravate, aspetta che sposto il lenzuolo. Non vedi? Sono letteralmente sorrette da un architrave di metallo e sono veramente scorticate e infilzate da legnetti appuntiti.»
«Allora proprio non capisci! Qui devono starci solo coloro che si sono infortunati saltando!»
«E chi è che controlla le dinamiche degli infortuni?»
«Questo non mi compete, io ho soltanto il dovere di denunciare le incongruenze presenti nel sistema, e tu sei una di queste.»
«Bilioso! E tu allora che non hai ferite, che ci stai a fare qua da trentasette anni?»
«Ti ho detto: io compio ogni giorno, o quando è necessario, un salto da questo materasso sul quale mi vedi sdraiato, mi slogo qualcosa, mi taglio qualcos’altro, ed ecco il nuovo referto che mi dà modo di restare.»
«Ma io ti vedo in ottima forma, non mi pare che tu abbia niente per cui rimanere in ricovero.»
«E va bene ti accontento subito.»
Barnabas B. Scrapes si lanciò giù dal letto con l’intenzione di lussarsi un dito, tuttavia, come per un colpo bislacco, il lenzuolo gli scivolò da sotto i piedi facendolo intraversare di testa su un barattolo contenente uno stecco di liquirizia poggiato sul comodino. Deceduto sul colpo, Barnabas fu portato via in un sacco chiuso con una cerniera e nessuno indagò sulla morte, poiché era noto che da trentasette anni si autoinfliggesse ferite di lieve entità per avere un sicuro ricovero nel letto del Reparto Grandi Saltati.
Quello che nessuno seppe mai è che Barnabas B. Scrapes in persona era l’autore degli stessi giornaletti che amava leggere e tra i quali ricordiamo titoli come Malattia e Devozione di Harganin il viandante creolo e di suo fratello Horganin che fischiettava e basta, Come bollire la pioggia e farla risalire al cielo e Le saghe di Giancarlo Pini, piastrellista stanco.
La notizia non venne e non verrà mai rivelata, poiché il compagno di stanza dello Scrapes si impossessò dell’inedito patrimonio librario che giaceva sotto il letto e lo pubblicò con l’astruso pseudonimo di Filippo Nencioni, divenendo scrittore di giornaletti di successo.
Filippo Nencioni