Il racconto della domenica: Al panificio di Gianmarco Perale

 Il racconto della domenica: Al panificio di Gianmarco Perale

Illustrazione di Pietro Nicolaucich

Ho chiuso la porta d’ingresso e ho lasciato cadere lo zaino. Dalla cucina Marta ha detto: «Dov’eri?»
L’ho raggiunta. Ho appoggiato la borsa dell’Esselunga sul tavolo e ho tirato fuori un pacco di biscotti, un cartone di latte, un barattolino di pesto alla genovese e la carta igienica.

«All’Esselunga, e mi sono scordato le uova.»

«Tanta gente?»

«No. Perché?»

«A che ora hai finito palestra?»

Ho messo il sacchetto vuoto sotto il lavello.

«Alle sei. Perché?»

Si è sistemata i capelli dietro le orecchie e si è girata. Con tono serio ha detto: «Così. Com’è andata in palestra?»

«Bene. Ma non sento le gambe.»

Ha aperto il frigo e ha messo dentro il latte.

«Cosa mangiamo?» ho detto.

«Non so. Cosa vuoi mangiare?»

«Ho preso il pesto, se vuoi. Una pasta?»

Ha fatto sì con la testa, ma non mi guardava. C’è stato qualche secondo di silenzio, poi ho chiesto:«È successo qualcosa?»

«No. Perché?»

«Non so. Mi sembri che hai qualcosa.»

Con la spugna puliva il ripiano della cucina.

«Tipo?» ha detto.

«Bo’. Ti sto chiedendo.»

«Non ho niente.»

«Sicura?»

«Sì. Solo che pensavo tornassi prima.»

«Prima di cosa?»

«Prima. Dopo palestra.»

Non sapevo cosa rispondere. Ci siamo guardati per qualche secondo. Ha sorriso, ma non era un bel sorriso. Si è girata, ha allungato il braccio e da sopra il frigo ha preso la pentola grande. Si è spostata al lavandino e l’ha riempita d’acqua. Poi ha acceso il fuoco e ha messo il coperchio.

«Ero all’Esselunga.»

«Me l’hai detto.»

«Perché mi rispondi così?»

Era zitta. Ho preso lo scontrino e gliel’ho sventolato in faccia. Pensavo si mettesse a ridere.

«Se ti mostro una cosa, prometti che sei sincero?» ha detto.

C’è stato un attimo di silenzio.

«Certo, sì.»

Marta è andata in camera e sono rimasto col rumore del fuoco. Mi sono avvicinato un attimo al termosifone per vedere se era acceso. Quando è tornata, ha detto: «Me lo prometti?»

«Che sono sincero?»

«Che sei sincero e che mi dici la verità.»

«Certo. Sì, ti ho detto. Ovvio.»

Mi ha messo davanti la mano e l’ha aperta. Era una bustina di plastica, trasparente, vuota, piccolissima.

«Cosa sarebbe?» ho domandato.

«Guardala.»

«La sto guardando.»

«Guardala bene.»

L’ho presa e l’ho alzata verso il lampadario. Dentro c’era qualcosa. Marta ha detto: «Aprila».

L’ho aperta e ho tirato fuori un capello e un brillantino piccolissimo. Glieli ho messi davanti e ho detto: «Cosa sarebbero?»

«Che cosa sono, secondo te?»

«Questo è un capello. Ma quest’altro?»

«È il pezzo di un orecchino, o di un anello.»

«E quindi?»

«Vorrei saperlo da te.»

Il capello era corto, più o meno sei centimetri, nero.

«Cosa dovrei dirti?» ho detto.

«Non so. Io e te siamo biondi. Giusto?»

«Ma cosa vuol dire?»

Silenzio. Si è seduta, e io ero ancora in piedi.

«Sai dov’era?»

Non ho risposto.

«Sul tuo maglione giallo. Quello di lana grossa.»

«E quindi?»

Ha fatto una risata.

«E quindi?» ho incalzato.

«E quindi io e te siamo biondi. Devo continuare?»

Mi sono seduto al tavolo anche io. L’ho guardata bene e ho detto: «Stai scherzando?»

«No. E il brillante?»

Lo avevo ancora in mano. L’ho guardato: «Sembra un pezzo di vetro».

«No. È il pezzo di un orecchino. O di un anello.»

«Pensi che ti tradisca?»

«Non so. Mi tradisci?»

«No. Ti ho mai tradita, scusa?»

Non ha risposto.

«Non ti fidi?»

«Non lo so.»

Mi sono massaggiato la fronte. Poi l’ho guardata: «A parte che no, non ti tradisco. Mai fatto. Ma poi, è un capello corto. Credo sia di Claudio».

Il capello era sul tavolo, tra me e lei.

«Claudio l’hai visto martedì. Giusto?»

Ci ho pensato un attimo. Poi ho detto: «Sì. Martedì, a calcetto».

«E avevi questo maglione?»

«Non mi ricordo.»

«Te lo dico io. Sì, lo avevi.»

«Ecco. Appunto.»

«Ma poi l’ho lavato. Asciugato. L’ho messo in armadio. E l’hai rimesso giovedì.»

«E quindi?»

«Il capello l’ho trovato giovedì. Quindi non è di Carlo. Perché Carlo non l’hai visto, giovedì.»

Silenzio.

«Non so cosa dire. Di sicuro non ti tradisco.»

Non ha risposto.

«E il brillante?» ho detto.

«Allora vedi, che è un brillante?»

«Dico brillante perché tu lo chiami così. Non so cosa sia.»

«Sicuro?»

«Sì. Dove l’hai trovato?»

«Perché me lo chiedi?»

«Non so. Stiamo parlando di questo. Cosa ti devo chiedere?»

«L’ho trovato in un posto curioso.»

Ci guardavamo e non dicevamo niente. Con la mano si massaggiava il collo.

«Dove?»

«Su questo pianerottolo, l’ho trovato. Sulle scale.»

«Cioè?»

«Noi siamo al terzo piano. Concordi?»

«Sì. Quindi?»

«Sopra di noi non c’è nessuno. È l’ultimo piano.»

«Sì.»

«I Faraci abitano davanti a noi, ma sono via da più di un mese. Perciò di certo non è della moglie.»

Non sapevo cosa rispondere.

«E se i Faraci non ci sono, non può essere loro. Giusto?»

Silenzio.

«E se sopra di noi non abita nessuno, significa che gli unici a fare le scale fino al nostro pianerottolo siamo io e te. E quel brillante non è né tuo e né mio. Sbaglio?»

«No. Non sbagli.»

«Bene.»

Si sentivano le voci dei bambini al piano di sotto. Mi sono alzato e mi sono versato un bicchiere d’acqua.

«Ma la cosa più importante è il capello. Non credi?» ha detto.

«Non so di chi sia. E mi sto un po’ stancando.»

«Non conosci nessuna donna coi capelli corti, giusto?»

«Bo’. Non so. No.»

«Non sai o no

«No. Non mi pare.»

Marta ha sorriso e si è alzata. Ci siamo guardati un attimo, poi ho guardato la pentola sul fuoco. Lei è andata di nuovo in camera. Dalla cucina ho detto: «Possiamo smetterla?»

Non ha risposto. Due minuti dopo è tornata e mi ha messo davanti il telefono.

«Chi è?» ho detto.

Era uno screenshot. Cercavo di capire chi era.

«Questa è una certa Lillipuz, che ti segue su Instagram».

Guardavo la foto e non dicevo niente.

«La conosci?» ha detto.

«No. Chi è?»

«Sicuro, che non la conosci?»

«Zero. Non mi pare.»

«Non ti pare

«No. Ma io mica la seguo. Chi è?»

«Non so. Ma ha i capelli corti.»

Si è girata col telefono in mano e ha tirato su il capello dal tavolo: «Tipo questo».

Silenzio.

«Ti segue da dodici giorni, almeno. Perché questo screen l’ho fatto un lunedì, ma mi sono accorta tardi.»

«Non ho visto che mi aveva seguito.»

«Sicuro?»

«Sì. Ma chi è?»

«Credo stia in Porta Venezia.»

Silenzio ancora.

«Le foto in casa sono taggate in Porta Venezia.»

«Okay. E quindi?»

«E quindi niente. Spesso non vai in quel panificio, dove si fa aperitivo?»

«Sì. Con Claudio.»

«Non sono mai venuta. E non mi hai mai chiesto di venire.»

«Cosa c’entra?»

Non ha risposto.

«Ci puoi venire quando vuoi.»

Silenzio.

«Non ti ho mai detto nulla perché ci vado con Claudio. Per fare due chiacchiere. Vuoi venire?»

Marta si è girata ed è andata a controllare la pentola. Ha messo il coperchio nel lavello e ha tirato fuori la pasta dalla credenza: «Quanta ne vuoi?»

Non ho risposto subito. Poi ho detto: «Non so. Normale».

«Cento grammi?»

«Fai centoventi.»

La vedevo di schiena davanti ai fornelli. Ha buttato la pasta e ha tolto la mano di scatto.

«Ti sei scottata?»

Ha messo due pugnetti di sale e si è girata.

«Questa Lillipuz segue anche Claudio. Lo sapevi?» ha detto.

«No. Non so chi sia, e non mi frega.»

«A me sì, che mi frega.»

«Ma a me no. Non so chi sia, e non mi importa.»

«E io come faccio a crederti?»

«Ti ho mai tradita?»

«Che domanda è?»

«È una domanda.»

«Se tu lo avessi fatto e io lo sapessi, saremmo qui?»

Non ho risposto.

«Sto cercando di capirlo. Capisci?» ha detto.

«Capisco. Ma è un capello finito su un maglione. Un capello corto. Non so perché era lì.»

«E il brillante?»

Ho fatto un respiro profondo e mi sono alzato. Sono andato verso di lei e ho allargato le braccia. Lei si è spostata e si è seduta al tavolo.

«Mostrami il telefono.»

Non ho risposto. Ci siamo guardati per qualche secondo. Da fuori qualcuno ha suonato un clacson.

Gianmarco Perale

 

Blam

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