Il racconto del mercoledì: Stagioni di Manuel Crispo
«Vediamoci alle autunno e un quarto» aveva detto lei, e lui aveva urlato dalla gioia. Da settimane cercava di convincere Lara a uscire. Per giorni aveva spiato il profilo della compagna a tre banchi di distanza dal suo e la speranza di un suo sì l’aveva sostenuto come la forza elettrica che muove i muscoli delle rane anche dopo che sono morte.
L’inverno era al proprio culmine e Mino accese il riscaldamento al massimo e s’infilò in bagno per una doccia bollente. Pensava a Lara, alla sua pelle candida e a come si scottava quando si dimenticava di mettere la protezione solare di metà giornata. L’inverno scivolò lentamente nella primavera. Uscì dalla doccia e corse nudo a spegnere il riscaldamento mentre sul suo corpo l’acqua si mescolava in fretta al sudore. Una passata di profumo per-tutte-le-stagioni, due cambi d’abito nello zainetto, un ombrello richiudibile e via.
A mano a mano che la primavera maturava come un frutto su un ramo dorato la città si colmava dei pollini delle ginestre, tanto che Mino poteva indovinare l’ora aguzzando la vista o annusando l’aria, quel suo speciale miscuglio di smog e aromi.
Era in anticipo. Le temperature salivano e i pigolii degli uccelli si facevano più flebili. Mino si levò la giacca e la felpa. Giunse l’ora della sete, l’ora in cui i cani escono dall’ombra delle auto per andare alla ricerca di qualche pozzanghera creata dalle capricciose piogge notturne. L’odore della strada cambiò d’un tratto arricchendosi del lezzo di catrame bruciato, l’atmosfera si fece tremolante e Mino desiderò essere in casa sotto il flusso del condizionatore, oppure al Lido per l’ora quotidiana di mare.
La via cedeva ai miraggi del caldo, ma già si preparava oltre la cima dei monti l’acquazzone che avrebbe spazzato via l’afa e così fu, senza altro preavviso se non un impercettibile mutamento nei colori, nei profumi. La pioggia sferzò la strada e un vento improvvisamente gelido si portò via quei profumi di ginestra che ancora ristagnavano tardivi come sacche freatiche di primavera.
Come tutti anche Mino aveva una doppia immagine del tempo: c’era il tempo vero, quello che smuove il sole e muta la posizione delle stelle nel cielo e riempie di macchie le mani e di rughe la pelle là dove le linee di tensione elastica si incontrano come punti di fuga; e poi il tempo personale, quello che fa scorrere in fretta un pomeriggio e che rallenta quasi fino a fermarsi quando trattieni il respiro. Sarebbe bello se la primavera potesse durare giorni e giorni, pensò, imbiancare di polline la cima dei palazzi. Che mondo sarebbe quello si disse con un brivido, un mondo di piogge infinite e di siccità e di foglie gialle lungo strade umide. L’autunno era cominciato da poco quando vide emergere Lara da un viottolo, con uno zainetto impermeabile sulle spalle dolci, un ombrello richiudibile e una massa ondeggiante di capelli color dell’estate.
«È molto che aspetti?» gli chiese con un sorriso.
«No», disse lui, «Solo un paio di stagioni».
Manuel Crispo