Il racconto del mercoledì: Luna di Giuseppe Tursi

 Il racconto del mercoledì: Luna di Giuseppe Tursi

Illustrazione di Sharon De Pasquale

Da dietro la finestra della mia cameretta osservavo Luna che, come ogni mattina, era al parco prima degli altri. Era seduta sull’altalena e si dondolava sempre più in alto. Pensavo che se avesse continuato così, prima o poi, avrebbe spiccato il volo.

Mia madre parlava spesso di Luna, quando si incontrava con le altre mamme del quartiere. «Quella ragazzina è strana», dicevano, «è sempre sola». Altre volte Simona, la migliore amica di mia madre, diceva, «mi sembra una zingara», e tutte ridevano. Io non capivo il perché.

Io e gli altri bambini andavamo al parco alle undici. Luna, quando ci vedeva, saltava con un balzo giù dall’altalena e con un sorriso sdentato ci veniva incontro. Il nostro gioco preferito era nascondino. Lei era la più brava a nascondersi. Era impossibile trovarla, conosceva a memoria ogni singolo angolo del parco. Era come un gatto, riusciva ad arrampicarsi sugli alberi senza fatica. Mentre Luigi contava, Luna mi prese per mano e mi trascinò verso il suo nascondiglio che, detto da lei, era introvabile. Arrivati davanti a una siepe, si intrufolò al suo interno. Io la seguii. Ci fermammo in un punto dove i rami erano spezzati e a terra c’era una coperta rossa. Sopra di noi un ammasso intrecciato di rami e foglie faceva penetrare appena la luce del sole.

«Come hai fatto a trovare questo posto?» chiesi.
«L’ho costruito io», rispose.
«Perché sei sempre al parco da sola?»
«Mia madre non mi vuole in casa, dice che è più sicuro stare fuori.»
I miei occhi ricadevano sulla cicatrice che le divideva in due il sopracciglio.
«Dai usciamo», disse, «e mi raccomando, non dire a nessuno di questo posto, è il nostro segreto.»

Il giorno seguente, a causa di un acquazzone, non andai al parco. Rimasi tutto il giorno incollato alla finestra a osservare l’altalena vuota, chiedendomi se Luna fosse rimasta a casa o se invece era nel suo nascondiglio. Mi venne in mente di farle un regalo. Volevo darle alcuni dei miei fumetti da tenere nel suo rifugio, così, magari, si sarebbe sentita meno sola.

Quella stessa notte in casa mia ci fu un gran trambusto. Il telefono squillò diverse volte. Sentii mia madre piangere, e mio padre, invece, sussurrava parole sommesse che non riuscii a distinguere. Poi ci fu silenzio.

La mattina mi svegliai quando il sole era già alto. Presi dei Topolino e guardai fuori, verso il parco. Per fortuna Luna doveva ancora arrivare. Quindi, dato che i miei genitori dormivano, senza far rumore, uscii di casa. Entrai nella siepe, lasciai il mio regalo sulla coperta, e tornai indietro. Rimasi a guardare l’altalena che stranamente era ancora vuota. Mi sentii afferrare per le spalle. Fui avvolto dal calore di mia madre che, in pigiama, mi stringeva forte a lei.

«Luna non verrà più al parco» disse, «Adesso è lassù» e indicò il cielo.
Riguardai l’altalena. Luna ce l’aveva fatta a spiccare il volo.

Giuseppe Tursi

Blam

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