Il racconto del mercoledì: La voce della piazza di Lorenzo Del Corso

 Il racconto del mercoledì: La voce della piazza di Lorenzo Del Corso

Illustrazione di Rachele Gianfaldoni

La prima volta che sentii l’urlo ero in piazza con alcuni amici, con le birre in mano e le sigarette, e parlavamo di nulla e della vita. In un momento di stanchezza il mio sguardo si annebbiò. Per pochi secondi mi concentrai sul fetore di urina e la puzza dolciastra di vino e frittura. C’era anche il rumore dei diversi locali affacciati sui portici, che si improvvisavano discoteche, e mettevano accanto all’ingresso casse e subwoofer. I vari ritmi si confondevano tra loro diventando il battito tribale della piazza, come un grande tempio della sbornia. Questo sottofondo era in parte coperto dal vociare della folla che si congestionava lungo l’asse nord della piazza, dove era impossibile passare senza strusciare i corpi, col rischio che qualcuno ti smozzicasse la cenere in testa, o ti rovesciasse il cocktail sulle scarpe.

Il centro della piazza era invaso di tavolini in plastica. Trovarne uno libero era impossibile, si era costretti a dividerlo con i misteriosi individui che abitavano la piazza fin dal mattino, a metà fra spacciatori e barboni, gli stessi che sorvegliavano le vie di fuga dei vicoli: stradine oscure e puzzolenti che casualmente conducevano sempre al retro di qualche locale, da attraversare con gli occhi a terra, per cercare di schivare le pozze di vomito rosso e le carcasse dei piccioni con le ali spezzate.

Fu in quel momento di veglia alcolica, che lo sentii: era un urlo di rabbia, o di paura. Qualcosa di animalesco. Aprii gli occhi, e vidi davanti a me i miei amici, con birre e sigarette, come tutti gli altri intorno a noi.

Illustrazione di Rachele Gianfaldoni
Illustrazione di Rachele Gianfaldoni

Continuammo a frequentare quella piazza per diversi mesi. Cominciai a fare attenzione al folle dell’urlo. Ogni volta mi pareva che dicesse qualcosa di diverso: «Andiamo via!… Senza soldi!… Brindiamo!… Ahahah!» Avevo cominciato a vagare per la piazza per cercare di capire chi fosse. Ero curioso di vederlo, quel vecchio sbronzo con la barba grigia e la chitarra scordata, i pantaloni militari, le infradito, e i capelli unti sopra le orecchie; gli incisivi scheggiati e gialli per via del tabacco; le unghie nere e la pancia da alcolizzato. Così me lo immaginavo e lo cercavo, senza mai vederlo nella folla di persone con le birre in mano e le sigarette.

Una volta arrivai in piazza, e come sempre, aspettai, ma l’urlo non arrivò. Venivamo sospinti sempre più verso il centro, lì dov’erano i tavoli coperti di bicchieri di plastica pieni di ghiaccio. La notte proseguiva fra musica e calca, ma il folle sembrava non volere urlare. Allora chiusi gli occhi e, con le labbra secche di vodka, lo chiamai: «Vieni fuori!»

Emisi un urlo rauco, sguaiato, come avrebbe fatto lui. Riaprii gli occhi per vedere la reazione dei miei amici, ma loro non ci avevano fatto caso: continuavano a parlare del nulla e della vita, con in mano le birre e le sigarette, come gli altri intorno a noi.

Rimanemmo ancora diverse ore, ma il folle non urlò.

Lorenzo Del Corso

Blam

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