Il racconto del mercoledì: Il giuramento di ipocrita di Gino Ciaglia
MAMMA E PAPÀ NON RISPONDONO AL TELEFONO, SONO PREOCCUPATO.
Questo è il WhatsApp che quel giorno ricevetti da mio fratello Kevin.
Kevin, Kevin, Kevin…
I miei, sull’impeto adrenalinico di aver avuto un figlio quando ormai ci avevano rinunciato, si fecero trasportare dall’onda dell’ultima esotica moda: «E poi c’era San Kevin e il merlo». Avevo provato a farli desistere, ma il mio discernimento orale non attecchì. E in una famiglia con nonno Giuppino, nonna Catena, papà Pierino e mamma Genoveffa, ecco Kevin Spagarino.
MAMMA E PAPÀ NON RISPONDONO AL TELEFONO, SONO PREOCCUPATO.
Il pannolino, gli cambiavo! Era il mio Cicciobello. L’ho tenuto per mano nei suoi primi passi, consolato quando piangeva, preparato la merenda quando aveva fame e cullato per addormentarlo.
MAMMA E PAPÀ NON RISPONDONO AL TELEFONO, SONO PREOCCUPATO.
Quel giorno continuai a chiamarli sul cellulare.
Irraggiungibili.
No che non accadesse spesso, amavano la montagna e ci si rifugiavano ogni qualvolta lo desideravano, ma il messaggio di Kevin mi aveva trasmesso ansia, e proprio in quell’istante non potevo permettermi nessuna distrazione, visto che mezz’ora dopo dovevo rientrare in sala operatoria per un’altra tiroidectomia.
Ora: «Il Santo è in ginocchio dentro la sua cella a braccia tese ma la cella è stretta».
Sei giorni dopo ha confessato: li ha uccisi lui; e come due sacchi della mondezza buttati nel Bormida.
Dall’arresto non l’ho visto.
Martedì mattina è venuto lui a trovare me. Ma non era cosciente. Meglio per lui. In fondo, però, avrei voluto che lo fosse. Desideravo guardarlo negli occhi.
Quando l’ambulanza della polizia penitenziaria è arrivata, io ero al pronto soccorso, in pausa; stavo parlando con un collega.
«Una coltellata!» ho sentito gridare.
Il mio collega mi ha invitato a seguirlo.
Sul lettino c’era Kevin; la gamba sinistra sembrava stata azzannata da un cane.
«In sala operatoria» ho urlato. «Subito!»
Gino Ciaglia