Il racconto del mercoledì: Diciotto di Veronica Nucci
La sensazione di una cella. Ecco quello che sento. Mi ripiego su me stesso e abbraccio le mie ginocchia. Sono solo e mi sento soffocare. 1000 euro mi hanno chiesto, maledetta inflazione parigina.
I numeri sono questi: 15, numero civico, 1, le opzioni di appartamenti che mi avrebbero permesso di visitare al mio arrivo, 0, il numero di garanti francesi a mia disposizione – fondamentali per trovare una sistemazione a Parigi –, 18, i metri quadrati calpestabili dell’appartamento che alla fine, non si sa come, ero riuscito a farmi affittare.
Mi volto, l’armadio scricchiola, penso che a breve imploderà. Penso anche che al mio arrivo le valigie erano leggere, piene soltanto di maglioni invernali. Ma quelli, si sa, prendono sempre troppo spazio. Leggeri e ingombranti: proprio come i miei pensieri. L’armadio ha la capacità di un comò. Per dormire devo accontentarmi di un divano letto che sono obbligato a richiudere tutte le mattine, se intendo camminare in casa. Cigola e scricchiola anche lui in risposta all’armadio. Sulla parete opposta al divano, c’è un tavolino bianco laccato, di quelli da campeggio, con macchie di vernice grattate via qua e là; nessuna traccia di un comodino ma una torretta di libri che ho impilato vicino al letto, Germinal piazzato a chiusura di quest’arredo improvvisato. Dannati libri serviti a niente. 18 metri quadrati, 18, come il voto minimo di un esame all’università, io, che avevo la media del 30 e ho preso 110 al voto di laurea. Per fortuna si sono risparmiati la lode, ché la delusione sarebbe stata ancor più bruciante.
Ancora numeri, la mia vita è cadenzata da numeri, li scanso e loro tornano prepotenti. Sogno quaderni a righe. In cucina 0 finestre, 2 piastre per cucinare della stessa misura, 1 pentolino e 1 padella grandi, molto più grandi dei fornelli. C’è puzza di straccio vecchio, passato e ripassato per anni senza mai essere sostituito. Nel bagno la doccia non ha il bordo, ho scoperto che qui la chiamano la douche à l’italienne e anche che fa chic. Questa però ha una tendina ingrigita di plastica.
Pensavo, dopo essermi trasferito, di sentirmi come Hemingway “pronto a bere fino a morire”; di andare in giro per ruelles e bistrot animati da altri reduci di nostalgia come me, con le toppe ai maglioni e l’aria da dandy. E invece mi sento stremato, disilluso.
Non è la prima volta che affronto viaggi che la mia anima non può permettersi.
Le città nelle quali scelgo di vivere sono il mio motore propulsore, una spinta a una nuova vita.
Chiedo di rinascere e ricominciare da un’altra parte. Poi, alla fine, mi rendo conto che il mondo non è una poesia di Rimbaud, ma un posto molto più terreno e pieno di grane.
Colpa mia e delle mie aspettative da coglione. L’inflazione non c’entra niente.
Veronica Nucci