Il racconto del mercoledì: Al Muro degli Uomini. Breve parabola kafkiana di Lorenzo Calvisi
Traversando un lungo deserto, schiarito da un cielo scuro e vacuo, un viandante giunse alle soglie del Muro degli Uomini.
Ai piedi della solenne costruzione, cui non riuscivasi a scorgere limite orizzontale, né verticale, costui s’avvide di un’apertura piccola e chiara, dalla quale un lume algido e glauco rifulgeva vigoroso. Era detto monumento protetto ai lati da due guardie marmoree, procere ai di lui occhi, ma infime a cospetto del Muro, le quali, ieratiche, fissavano ciascuna a un tempo la compagna, e lo sterminato vuoto che di fronte le si stagliava.
Amabili favelle levaronsi da al di là della soglia a chiamarlo, invitandolo a entrare, senza tuttavia che alcuna sagoma potesse distinguersi in quel bagliore infinito. Sebbene volesse assecondar la lusinga di quella ignota lingua, un che d’ineffabile lo rattenne appena sulla soglia, e inafferrabili sensazioni di malessere lo pervasero da capo a piedi.
Pregò dunque le guardie affinché gli concedessero un permesso, o che, perlomeno, lo illuminassero sulla sua condizione, e su quella del Muro, e sulle cagioni dell’impedimento suo… ma assoluta mutezza opposero costoro alle querele dello sventurato.
Camminando avanti e indietro, approssimandosi e allontanandosi dalla piccola apertura, inquieto ed errabondo, decise infine, spossato, d’assidersi su di una roccia a pochi passi di distanza dal Muro. Voci affabili accompagnate da risa seguitarono a chiamarlo, ma egli, dopo ogni tentativo di levarsi, finiva invariabilmente per assidersi ancora, ciascuna volta più grave della precedente.
Trascorso un qualche tempo, una grande prostrazione lo rapì, ed egli ne acconsentì, assopendosi sì profondamente che le voci, sempre più lievi, cessarono del tutto, e la porta, oramai ridottasi a poco più che uno spiraglio, si serrò per sempre.
Lorenzo Calvisi