Il quarto cigno: un racconto di Elisabetta Tocchetti

 Il quarto cigno: un racconto di Elisabetta Tocchetti

Illustrazione di Luca Grassi

Dalle finestre, i tetti sono superfici scomposte e irregolari, i comignoli esalano fumo denso. Fuori, negozi ancora chiusi, pochi passanti frettolosi, qualcuno aspetta alla fermata del tram. Dentro, una sala vuota, gli specchi, la sbarra, il pianoforte in un angolo. Cammino su un pavimento abituato a scarpette da punta di raso, alle mezze punte; io sono qui solo per pulire, prima che cominci la lezione delle nove. E

se chiudo gli occhi

Tutte in fila, dice Madame. Tu, un passo avanti. Sì, tu. Io. Guardo lo specchio, guardo le altre bambine, in fila davanti a me. Quelle dietro mi stanno fissando, non le vedo, ma sento i loro occhi conficcati nella schiena. Un passo avanti. Sotto la calzamaglia, le gambe tremano, ho i brividi, la bocca secca e le orecchie bollenti. Questa non va bene, dice Madame, deve perdere peso. Quanti anni hai? Otto. Ci rivediamo l’anno prossimo. Devo aspettare ancora un anno. No, mamma, niente pane con burro e zucchero. Niente merenda, non ho fame. Ma poi

apro gli occhi

Nella sala vuota c’è la mia immagine riflessa nello specchio. Ho la tuta da lavoro azzurra; il logo dell’impresa di pulizie è un cerchio rosso con una scritta blu. Lascio il carrello con il secchio al centro della stanza, immergo lo spazzolone nell’acqua che, per ora, profuma di detersivo industriale. Non è ancora diventata nera, questa è la prima sala che pulisco. Parto sempre da qui, è la mia routine del mattino. Disciplina, sempre. Potrei

richiudere gli occhi

La disciplina, prima di tutto, dice Madame. Si arriva in orario, niente anelli, bracciali, orecchini, i capelli nella retina. Chi arriva in ritardo resta fuori. Sì, Madame. Seconda posizione, testa alta, braccia morbide, sono appoggiate su due palloncini. No, non così, guardate Francesca, guardate come fa lei. La guardo. È la più brava, diventerà prima ballerina. Io no, ma non importa. Sono qui. Ho perso peso, ce l’ho fatta. Sono entrata nella scuola di ballo. Posso

riaprire gli occhi

Passo lo spazzolone sul pavimento, mentre lo specchio riflette me e le finestre. Sono vetrate rotonde, grandi oblò in fila che, nelle giornate di sole, proiettano fasci di luce sul linoleum color legno chiaro. Non il mattino presto, non quando ci sono io. A quest’ora il sole non c’è, entra solo il grigio lattiginoso dell’alba. Ci sarà una luce diversa quando arriveranno le bambine del primo corso, con i tutù rosa, le mezze punte, le retine sui capelli, pronte per preparare il saggio di fine anno. Le vedo, se

chiudo gli occhi

Non avrai mai la parte di Odette, dice Francesca, ci vuole talento, eleganza e coordinazione. Tu non sei brava come me. È già un miracolo se ti hanno presa alla scuola di danza. Potresti fare il quarto cigno, dice Madame. Non Odette, quella parte è di Francesca, ma per i quattro cigni potresti andare bene. Te la senti? È una responsabilità, non sarai solo un cigno della fila. Va bene, impegnati e potrai fare il quarto cigno al saggio di fine anno. Mi impegnerò, sarò brava, sarò il quarto cigno. Testa alta, braccia morbide, seconda posizione e tengo gli

occhi aperti

Uno schianto alle mie spalle. Mi volto.

Su un vetro, una ragnatela di crepe. Mi avvicino. Fuori, sul cornicione, c’è una palla scura e arruffata, qualche penna grigia e nera svolazza ancora. Un piccione è andato a sbattere contro la vetrata. Immobile, sembra morto, ma potrebbe essere solo stordito dal colpo. Forse tra poco si riprenderà e volerà via. Oppure no. Non si muove. Se non è già morto, morirà presto. La mia vista si appanna, le lacrime spingono per uscire dagli occhi, scivolano sulle guance, le sento in bocca, salate e calde. Devo

chiudere gli occhi

C’è quella poesia, parla di una rondine che muore senza poter tornare al suo nido, dove l’aspettano inutilmente. Piango, mentre la recito davanti a tutta la classe. Non si piange, smettila. Smetti di piangere, ricomincia da capo. È X agosto di Pascoli, è una poesia bellissima, parla della morte del padre. No, parla di una rondine che muore. Smettila di piangere e recita la poesia. L’hai studiata o no? Non farai il saggio di danza se non impari la poesia. Raddrizza la schiena, alza la testa e

apri gli occhi

Il pavimento è bagnato, adesso devo aprire le finestre per farlo asciugare più in fretta e cambiare l’aria al salone. Sul cornicione, il batuffolo di piume contorte non si muove. Muoviti, forza, muoviti. Se sei vivo, muoviti. Non ti guarderò, terrò

gli occhi chiusi

Muoviti, dice Madame il giorno del saggio di fine anno. Muoviti. Tra poco tocca a me. Francesca è Odette, io sono solo il quarto cigno, ma la mamma è orgogliosa e l’ha detto alle sue amiche, sono venute tutte in teatro a vedermi.

Muoviti, tocca a te, tocca ai quattro cigni. Muoviti. Muoviti.

Non si muove. Perché non ti muovi?

Paralizzata. Non riesco a salire su quel palco, cammino all’indietro, le punte nuove, di raso bianco, con i nastri appena cuciti, mi sembrano le pinne di un sub. Pesanti, ingombranti, mi trascinano giù. Non vedo più i piedi, si stanno incastrando nelle assi del pavimento, ingoiati da una voragine che si apre sotto di me. Annaspo in cerca d’aria, non riesco a respirare. Sto affogando. Muoviti, che fai? Muoviti. Non posso. Serve una sostituta per il quarto cigno. Questa non ce la fa. Non stare qui a intralciare, vai a casa.

Apro gli occhi

Il cornicione è vuoto.

 

Elisabetta Tocchetti

Blam

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