Emicrania: un racconto di Federica Bertagnolli
«Vi dico che non è tornata a casa ieri sera.»
Nel vapore emanato dalla pentola, Alice si strofina gli occhi. Le parole di Emma la raggiungono sfilacciate, spezzettate, tagliuzzate: le si incollano tutte qui, dalla fronte fin dietro alla nuca, a formare una biglia di cartapesta.
Emicrania. La terza, questa settimana. Il mondo corroso da un bagliore caustico, i bordi liquefatti delle cose.
«Magari ha dormito qui e poi è uscita presto per andare a lezione o in biblioteca.» Sara, appollaiata sulla sedia a capotavola, si stringe nella coperta di lana con aria spaurita. «Possono esserci mille spiegazioni.»
«No, non mi convince. L’avremmo sentita aprire il portone, sia stamattina che ieri notte. Fa sempre un casino bestiale.» Emma, in piedi davanti alla credenza che straborda di padelle e pacchetti di biscotti, incrocia le braccia sul petto. «È davvero strano.»
«Ma no, dai. Sono sicura che tornerà da un momento all’altro, lo sa che a quest’ora di solito è pronta la cena.»
Alice rimesta la zuppa, il cucchiaio di legno a disegnare rotazioni ipnotiche lungo il perimetro della pentola tra cubetti di carote e sedano e zucchine. È sempre stato così, le piace nutrirsi di ciò che crescendo al sole s’innerva di vita, e da due anni a questa parte si preoccupa dell’alimentazione delle sue coinquiline. Fin dal primo giorno si è detta: ci penserò io, sarò io il motivo per cui rimarranno belle e in salute.
È un atto d’amore, la cucina, il più dolce di tutti.
Prende un sorso di brodo che le scotta la lingua. Dal mondo imbottito in cui il mal di testa l’ha relegata distingue gli squilli del telefono in vivavoce, lo sbuffo frustrato di Emma quando interrompe la chiamata.
«Niente, non risponde. Avrò provato almeno cento volte.»
Sara si mordicchia le unghie. «Può darsi che abbia il cellulare scarico. Se è stata fuori tutto il giorno…»
«Ti dico che è strano, maledizione! Forse dovremmo avvisare i suoi genitori.»
Alice annuisce senza smettere di rimestare. Si è svegliata con un brutto presentimento che si è subito rivelato legittimo: Amelia sparita nel nulla, il suo letto intonso, le chiamate a vuoto. Se lo sentiva, in qualche modo, anche se le altre non hanno voluto crederle. La accusano spesso di cercare collegamenti che non esistono – come fanno i bambini, le ha detto Emma, quelli con troppa fantasia.
L’ennesima fitta di dolore le crepa le tempie. Ha fatto un sogno, stanotte. Un sogno che sta tornando a galla a poco a poco, assieme alle bolle d’acqua che scoppiano in pentola. Nel cuore della notte si è ritrovata giù in cantina, nell’aria umida e odorosa di muffa, solo che la stanza era più grande, in qualche modo meno solida, e l’oscurità sibilava.
Insieme a lei una creatura, un corpo sudato che irradiando calore la fissava dal buio. Alice quello sguardo se l’è sentito addosso, l’ha riconosciuto.
Sogna mostri fin da quand’era bambina.
Emma si batte le mani sulle cosce. «Okay, basta. Provo a richiamare Davide.» Resta in attesa tormentandosi una ciocca di capelli, uno squillo dopo l’altro, poi esclama: «Ehi, ciao, sono Emma! Per caso Amelia ha dormito da te? Eravate insieme ieri notte?».
Ascolta, si morde il labbro. Tutto a un tratto avvampa, una venuzza a pulsare sulla fronte. «È la tua ragazza, a chi dovrei chiedere?»
Il brusio della voce di Davide si mescola al sibilo delle fiammelle a gas. Quando arriva il suo turno di ribattere, Emma ha le lacrime agli occhi: «Te lo giuro» dice. «Ti giuro che se le hai fatto del male ti ammazzo.»
Alice ha qualcosa sotto le unghie, una sporcizia rossastra. Si lava le mani sotto l’acqua del rubinetto, sfregando forte, le maniche del vestito tirate su fino ai gomiti. Sul braccio destro ha un livido verdognolo in via di guarigione. Glielo ha fatto lui, proprio Davide, che ora sbraita al telefono cose come ma che cazzo dici, sei pazza, per chi mi hai preso? È l’impronta inequivocabile della sua stretta, un segreto sigillato nel silenzio più assoluto. Segni come quello rendono reali i loro incontri, ricordano ad Alice che si sono verificati davvero. L’ultima volta lui l’ha strattonata con violenza, ansimante, e gravandole addosso le ha chiesto se così le piaceva. Lei ha risposto di sì, e Davide a quel punto ha sorriso, un lampo nella penombra, l’unica luce per cui valeva la pena tenere gli occhi aperti. Sei fantastica, ha detto, con Amelia queste cose non posso farle, ad Amelia non piace il dolore.
Alice smorza un sorriso. Negli ultimi giorni si è accarezzata spesso il braccio, ha passato i polpastrelli sui capillari rotti standosene distesa languidamente a letto, tra le lenzuola un profumo che non era il suo. Il fatto però è che adesso accanto a quel livido ce ne sono altri, di provenienza sconosciuta. Freschi, rosso profondo, pulsano come cuori in miniatura sotto un reticolo di graffi, alcuni dei quali stillano gocce di sangue.
Sbatte le palpebre. Nel sogno la creatura l’ha attaccata urlando e lei ha risposto con prontezza, un colpo pulito di coltello. A seguire dei rantoli, un tonfo, poi più nulla.
«Calmati. Sul serio, Emma, stammi a sentire.» La voce tremante di Sara la riporta al mondo reale. «Lascia perdere Davide, è un cretino. Sto richiamando Amelia. Il telefono squilla, perciò dovrà rispondere prima o poi. Credo che…»
Emma la zittisce: «Shhh, ascolta!».
Un motivetto metallico dalle profondità della terra, giù tra le fondamenta della casa: «Sembra la sua suoneria, la sentite?».
La sedia di Sara stride contro il pavimento. «Viene da fuori. Dal cortile, forse, oppure…»
In cantina, l’oscurità gorgoglia.
Mentre le altre si precipitano in corridoio e poi giù per le scale del condominio, Alice strofina le mani sul grembiule per asciugarle. A fior di labbra fa da eco alla suoneria che si ripete ancora e ancora, uno scampanellio stridulo da carillon. Mette in tavola un piatto anche per Amelia, per quando tornerà, e in bagno butta giù una pillola che stanotte, con un pizzico di magia, l’aiuterà a dormire meglio.
Fa sempre brutti sogni quando ha mal di testa.
Federica Bertagnolli