Lasciare la Terra e andare a vivere su Marte: E noi, cosa porteremo? è il racconto di Sabrina Sciabica
Igloo costruito da un robot per le colonie su Marte.
La radio del taxi trasmette questa notizia. E continua parlando di una possibile vita extraterrestre, mentre da fuori l’abitacolo arrivano i clacson e le bestemmie di un ragazzo in scooter che cerca di destreggiarsi tra le macchine.
È una giornata piovosa nella Capitale.
Il tassista, un sessantenne sdraiato sul sedile, tiene il braccio fuori dal finestrino incurante della pioggia e dei rumori assordanti.
«Dove la porto signori’?» chiede.
Mi porti su Marte, che non c’è tutto sto casino, vorrebbe rispondere la passeggera, una donna raffinata che ha lavorato fino a tarda sera e stamattina è già stanca.
Invece risponde: «Palazzo Altieri, piazza del Gesù».
Lui ribatte: «Va a qualche conferenza? Là se parla de’ finanza, si nun me sbaglio. Ché, lavori in banca?». I marziani sarebbero meno invadenti, vorrebbe rispondere lei. E invece dice: «Sì».
La «Piattaforma di costruzione digitale» è una vera e propria impresa edile robotica che, essendo mobile, può costruire un edificio di qualsiasi dimensione direttamente sul posto. Il robot ha costruito un igloo del diametro di 15 metri e altezza di 3.
Continua la radio.
«Deve esse un ambiente molto maschilista quello, ve’? Me sembri coraggiosa tu!»
Ride il tassista e le fa l’occhiolino guardandola dallo specchietto.
Probabilmente un marziano mi darebbe del lei, non come te, brutto cafone, pensa lei.
«E chissà come saremmo noi co’ le donne al potere! Chissà se ce sarebbero meno poracci pe’ strada… anche si nun è detto, non siete mica così bone voi! Forse in passato sì» continua lui sornione.
«Mettiamoci un marziano e vediamo!» sbotta lei.
«Come dice?» chiede lui.
«Dico: speriamo che arriviamo!»
«Tutto sta a supera’ sto delirio de piazza Repubblica, poi vado de preferenziata e te faccio arriva’, bellezza» continua l’uomo.
Lei sospira e chiede: «E lei lo farebbe un viaggio su Marte?».
«Come dice? Che me farebbe le carte?» fa lui.
Ah, pure sordo oltre che impiccione, pensa lei. E invece continua: «Niente, parlavo tra me e me».
Poi mette gli auricolari del cellulare facendo finta di cominciare una telefonata.
Fuori dai finestrini la pioggia aumenta.
Potrebbe utilizzare materiali come sabbia o ghiaccio quindi potrebbe essere usato per costruire case con i materiali locali nei Paesi in via di sviluppo o in Antartide. Un sistema simile potrebbe essere inviato nello spazio per costruire colonie sulla Luna e su Marte per far rinascere la vita.
«Guarda che luna, guarda che mare» canticchia lui e riprende, «famo le vie laterali così evitamo la coda de via Nazionale.»
Ma dopo la curva inchioda.
«Che succede?» urla lei, mentre il tassista risolleva il busto. Preso dallo spavento spegne la radio, si accosta e scende dall’auto, sotto la pioggia scrosciante.
«Signori’ venite a vede’!»
Anche lei scende ma subito sbotta: «No! Le mie Louboutin nella pozzanghera! Non vede che è morto! Andiamo!».
Lui incredulo: «È un fenicottero!».
«Macché! Quelli sono in via d’estinzione! E poi sono rosa!»
«Da piccoli so’ grigi. Diventano rosa perché magnano molluschi e gamberetti. So’ andato in ferie allo Stagnone di Marsala! Là li studiano» dice lui sorpreso davanti alla creatura piumata.
«Senta, io tra mezz’ora devo parlare dell’aumento dei tassi di interesse e soprattutto…» adesso è arrabbiatissima «i fenicotteri non stanno in città!»
«Lei è giovane, ma me creda, cinquant’anni fa i gabbiani stavano ar mare! Poi a forza de giacimenti de spazzatura sti poracci so’ arrivati in città! Signori’ qua è tutto sconvolto! La natura ce lancia un grido d’allarme!»
«Ma è morto! Gabbiano o fenicottero, è morto!» infastidita si infila dentro l’auto.
Lui la segue e con tono mite le parla mentre cerca qualcosa nel cassetto del cruscotto.
«La morte nun esiste! Nulla se crea e nulla se distrugge.» E continuando, come se le stesse rivelando un segreto, dice: «Signori’, ma come, lei che è esperta di economia non lo sa? La vita nun more mai, la vita si trasforma. La morte nun esiste».
«Ma proprio io lo dovevo incontrare, il tassista new age?» dice lei infuriata. «Chiuda lo sportello, mi sta bagnando! Così macchio la giacca di seta!» E piagnucola: «Andiamo!».
Lui tira fuori un bigliettino, legge e lo posa. Di scatto scende e rientra portando in braccio un fagottino di piume colanti di acqua da cui pende una zampetta, mentre l’altra è correttamente piegata. Lo posa sul sedile accanto alla guida, chiude lo sportello e riparte.
«Ma che sta facendo?» chiede la passeggera isterica.
Lui continua a guidare come se lei non ci fosse.
«C’hai la zampetta rotta, ecco perché te sei fermato. Poi è arrivato il diluvio e t’hanno lasciato solo. Tranquillo, ti porto alla Lipu, sta qua dietro. Meno male che il mio collega m’aveva dato il bigliettino co’ l’indirizzo. Tranquillo, piccole’. Ce penso io!»
«Ma che fa? Io devo andare al lavoro!» grida lei fuori controllo.
Intanto l’autista schiva le macchine e sfiora un autobus per sorpassarlo.
«Attento!» grida lei portandosi istintivamente le mani sul volto.
«Ho un’idea, resisti piccolo!» dice mentre estrae dal cassetto del cruscotto un fazzoletto bianco e comincia ad agitarlo alla sua sinistra, dopo aver aperto il finestrino.
Lei si sposta per non bagnarsi e furibonda continua: «Questo è pazzo! Aiutatemi!».
Il tassista suona come se portasse un malato, mano destra al volante e mano sinistra a svolazzare il panno bianco.
«Resisti piccoli’. Sei fortunato, è qui vicino. Tu resisti!» continua voltandosi a destra per controllare lo stato del pennuto che, intanto, muove in aria il piccolo becco nero.
Magicamente le auto si accostano e come Mosè tra le acque il taxi prosegue la sua corsa, mentre l’espressione della donna passa dall’agitato all’incredulo.
Dopo qualche minuto, l’autista frena di botto.
«Palazzo Altieri» dice senza neanche guardarla.
Lei allibita scende.
«Signorina, le posso fa ’na domanda? Lei su Marte cosa porterà?»
Ma sfreccia via senza neanche aspettare la risposta, lasciando schizzi di fango sui pantaloni di seta della donna.
L’arcobaleno segna la fine della pioggia.
Sabrina Sciabica