Una giornata qualsiasi a osservare il mondo: «Dal balcone» è il racconto di Andrea Consonni

 Una giornata qualsiasi a osservare il mondo: «Dal balcone» è il racconto di Andrea Consonni

Illustrazione di Francesca Vitolo

Le auto dormono per strada. Quanti fiori sono cresciuti dentro ai copertoni dall’ultima volta che sono uscito. Spuntano ovunque. Arrivano da ogni parte del pianeta. Sbocciano e muoiono in meno di due minuti. I bambini nei cortili dei palazzi giocano a fucilare le loro maestre. Mia madre sta alla finestra della cucina. Ha una padella in mano e canta una canzone di Mina. Sta rovesciando le cosce di pollo con funghi e peperoni sull’acero canadese come disinfettante da tutti i possibili parassiti che secondo lei arriveranno appena il tempo cambierà. Mio padre ha un’altra delle sue giornate no e ha indossato il suo completo di nozze per uscirne vivo. Gli sta ancora da Dio. Vai a sapere come ci riesce a mantenersi in forma. Io invece sto fumando una sigaretta dietro l’altra e intanto misuro la lunghezza delle piastrelle del balcone.

Ho venti franchi in tasca. Zero soldi sul conto. Zio Giulio è passato stamattina con altri due pappagalli. Azzurra e Verde. Devo tenerli in vita almeno fino a Pasqua perché quel giorno dovrebbe arrivare in paese il signor Minna col suo circo e magari riesco a mostrargli quello di cui sono capace e guadagnarci qualche soldo. È da stamattina che mio padre urla al telefono che i soldi che aspettava da Manila non sono ancora arrivati sul conto e che non ce la fa proprio a pagare il cambio della frizione e che ha bisogno di almeno altre tre settimane prima di saldare il resto degli arretrati. Ieri erano le spese dell’idraulico. L’altro giorno erano i miei denti. Domani saranno l’insalata e le patate al mercato. In uno dei suoi deliri mistico-religiosi a botte di chetamina e Thomas Pynchon mia sorella da Londra ha scritto che lassù i topi si sono finalmente convertiti alla parola del Signore e recitano ogni sera i Salmi fuori dalla Tower e che dalla fontana di Piccadilly Circus i V2 che ho sparato ieri dal tetto del palazzo non si vedono ancora sfrecciare lassù nel cielo londinese. Io guardo Azzurra e Verde. A una manca la zampa destra mentre all’altra l’occhio destro.

La birra sa di coniglio arrostito. L’unica cosa di cui sono ormai capace è di offrire una possibilità ai pappagalli che escono vivi dai combattimenti clandestini. Giorgio si fa vedere in cortile e accende una dopo l’altra tutte le auto appoggiando un accendino sopra ai cofani. I pensionati applaudono. Gli lanciano monetine che al circolo Giorgio userà per pagarsi il vino e la possibilità di seguire una partita di calcio. Sono due anni che va avanti così ma nessuno sembra mai stancarsi. Anche io sto bevendo da anni senza quasi accorgermi dei tremori.

Ho un fegato che mi è costato almeno tremila franchi di birra quest’anno. Trascorro i pomeriggi a bere birre, ascoltare nelle cuffie Bach, rileggere Moby Dick e pulire le gabbie che sono ormai tutte vuote tranne quelle di Cipria e Arcadia. Cipria ripete il nome di mia madre ogni mattina per svegliarmi. Ha le piume come un’alba prima del temporale. Arcadia respinge tutti gli assalti dei piccioni e dei corvi con le sue unghie d’acciaio. Non so come andrà con Azzurra e Verde. Mia madre si è appena seduta sul davanzale del bagno e si è spogliata di tutto quello che indossava. Riesco a vedere le cicatrici che dai polsi le risalgono fino alla guance. Le scritte in latino che si è fatta sul seno con la punta di un temperino. Quelle sul collo. Quelle sulla pancia. Quelle sulle ossa che sono diventate il suo respiro. Mia sorella mi ha scritto che prima o poi dovrò cominciare a contare al contrario. Partire da cento e arrivare a zero. E poi tapparmi le orecchie per non sentire il botto che farà nostra madre. Lei sa sempre come vanno le cose. Io invece guardo l’acero che sta lì da sempre in cortile. E apro un’altra birra. Penso alle tasse che mi tocca pagare. A quante birre si possono comprare con venti franchi. E guardo mia madre che canta e si scrive sulle cosce regalando il suo sangue alle formiche che le vivono sempre a fianco.

Andrea Consonni

Blam

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