Bocche di mare e squame di rumore: un racconto di Ilaria Pamio

 Bocche di mare e squame di rumore: un racconto di Ilaria Pamio

Illustrazione di Federica Pamio

«Come sta Silvia?» fu la prima cosa che domandò, quando riprese conoscenza.

L’ago della flebo infilato nel braccio sinistro. Avrebbe voluto le asciugassero i capelli, le cambiassero il costume, le dessero una coperta di lana anziché il telo verde con stampata la scritta bianca «Ospedale di Lavagna».

«Come ti senti, piccola?» le domandò l’infermiera.

Anna cercò di alzarsi piantando i gomiti nel materasso della barella.

«Ho solo tanto freddo.»

L’infermiera le mise una mano sulla spalla, la fece distendere di nuovo, delicatamente.

«Adesso devi riposare.»

«Chi mi ha tirata fuori?»

«Un ragazzo. Poco più grande di te.»

 

Aveva preso due pastiglie di Xanax, poi era passata al bar della spiaggia e aveva chiesto un vodka lemon. Alle quattro del pomeriggio. Solo dopo aveva raggiunto sua sorella Silvia e il fidanzato in spiaggia.

C’era poca gente in acqua. Due ragazzi ridevano con una ragazza bionda. Anna era a riva. Fissava l’acqua fresca che le spazzava via la sabbia dalle dita dei piedi. Quella era la spiaggia in cui lei e Silvia erano cresciute. L’altalena di legno ciondolava sotto al bar. Beppe era sceso dalla torretta, raggiunta l’asticella di legno aveva fatto scorrere la corda e la bandierina rossa era salita verso il cielo.

«Noi andiamo a farci la doccia» disse Silvia, allontanandosi con Giulio.

Anna fece di sì con la testa, e intanto si bagnava a poco a poco, le gambe e poi la pancia. Avrebbe voluto gridare. Perché ho sempre questa voce nella testa?

 

…mi ha sollevato la gonna di tulle

Mi ha accarezzata

E ha iniziato a baciarmi

Lungo le gambe,

l’inguine. Ha riso.

 

Lo stomaco iniziò a bruciare. Le immagini, i ricordi di quella serata in piscina erano lì: un rumore di fondo, un bisbiglio insistente che Anna non riusciva a silenziare. Immerse il viso le orecchie in acqua, per non sentire più niente.

 

La voce di lui.

La porta che si chiude piano.

Il profumo del legno;

le voci dei ragazzi in piscina;

quella di Silvia

che ripete in loop

 

In acqua tutto svaniva. Tutto si allontanava.

Il mare era mosso. Entrò piano, sollevando a fatica le gambe. Le onde aumentavano. Il suo corpo era sempre più debole; più rilassato. C’erano solo lei e quei tre ragazzi in acqua. La sua testa era leggera. Si voltò: Beppe non era più in postazione. Si rigirò. Poche bracciate e un’onda la travolse. Il mare era un’enorme bocca e la stava inghiottendo. Aria. Non sentiva più aria. Annaspava, tra l’acqua e l’aria. Si guardò le mani: le erano apparse delle piccolissime squame. Non era come lo aveva immaginato: non c’era pace; c’era solo paura. Si mise a gridare, rivolta alla ragazza bionda.

«Aiutami! Ti prego aiutami!»

Le squame salivano lungo le braccia, il corpo; aveva gli occhi a palla, fissi, e le labbra rotonde.

La ragazza la guardava terrorizzata. E restava immobile.

Anna non aveva più aria.

Le sue braccia-pinne si dimenavano forsennate.

«Aiutami! Sto andando sotto! Aiutami!»

Il mare-bocca la risucchiava e la risputava.

La testa iniziò a girare, girare e le forze vennero meno.

 

stai bene?

Cos’hai Anna?

 

Giulio era accanto alla doccia e frizionava i capelli con il piccolo asciugamano che avrebbe poi legato in vita. Il cielo stava diventando grigio scuro; iniziava a fare un po’ freddo. Era ormai il venti settembre e Silvia, occhi chiusi sotto la doccia, si sentì d’improvviso strana. La colse un caldo fortissimo, sul punto di farla svenire. Spalancò gli occhi e pensò immediatamente alla gemella: «Giulio! Dev’essere accaduto qualcosa ad Anna. Corri».

 

La paura di pochi minuti prima d’improvviso svanì. Non c’era nessuna voce. Nessuno che parlava. Che rideva.

Si lasciò trascinare giù, nella cavità del mare.

Una luce bianca abbacinante. Due corridoi di fiori bianchi all’esterno; lei diciassettenne che ci cammina nel mezzo. Eccole, lei e Silvia, da piccole, in spiaggia con i foularini in testa, le palette e il secchiello. Mamma e papà così giovani, di quindici anni prima. E poi, le suore dell’asilo e il frullato pastoso di cachi al sapore di cioccolato. Loro bambine che giocano sull’altalena del Beppe, senza nessun bambino che faccia piangere Silvia. C’è il silenzio; una pace mai provata. Anna avrebbe voluto rimanere lì.

 

E poi improvvisa l’erba fredda sotto le spalle. Il bikini azzurro a fiori e gli occhi aperti solo per pochi secondi. La mano di Anna in quella di Silvia. Giulio vicino a lei. La gente a cerchio attorno sul cemento, all’ombra della palma, appena fuori la spiaggia.

Scusami, Silvia. Perdonami.

Non ricordava altro. Né l’ambulanza, né la giornata trascorsa all’ospedale di Lavagna.

Giulio stavolta l’aveva salvata.

 

Ilaria Pamio

Blam

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