Un cane che abbaia, un uomo che cade: «Anatomia di una caduta (remake)» è il racconto di Angelo Ramaglia

Illustrazione di Jacopo Ricci
La pioggia aveva smesso di cadere dopo ore. C e R erano nel piazzale antistante al ristomostro e parlavano con A. A era accompagnato da un cane pezzato grigio e nero con mezza coda. Il cane si chiamava, per un curioso caso del destino, anche lui A. Per distinguerlo dall’altro A lo chiameremo AM.
L’asfalto era lucido di pioggia, lurido come di consueto. Il cielo privo di stelle non lacrimava più. I brutti avventori del ristomostro andavano e venivano rumorosamente tra rombi di auto, risa sgangherate, parole troppo urlate.
AM pareva tranquillo. A lo teneva per il guinzaglio e intanto discorreva di teorie metafisiche, massimi sistemi, considerazioni euclidee con l’ingegner C e l’avvocato R. B intanto era in casa ignara di tutto a tener compagnia ad A. Un’altra A, per comodità la chiameremo «Sua meravigliosa grazia lady Amalia la gatta».
Un piccolo pakistano ignaro intanto lasciava il suo posto di lavoro nel ristomostro per recarsi con passo salterino all’esterno del locale. Non si sa se l’allegria ingiustificata fosse per la fine delle sue mansioni, per una condizione sua naturale o se per l’abuso di sostanze, pakistane anche queste. Quale che sia il motivo, il piccolo pakistano sorrideva felice e intanto saltava e ballava.
Da qui in avanti gli eventi si svolgono rapidi e implacabili, come un treno che non si ferma in stazione, come una stazione che vede il treno passare insensibile al suo desiderio di frenarlo.
AM scorge il piccolo pakistano. A non si rende conto di nulla, rapito com’è dai discorsi di R e C. Il piccolo pakistano si accorge di un cane pezzato grigio e nero con mezza coda, lui non sa che si chiama AM, ma sa che il cane lo ha visto e sta per assalirlo. AM non si sa se voglia assaggiare il pakistano umano o il pakistano vegetale. AM si libera del guinzaglio. Il pakistano salta all’indietro. AM balza in avanti. A sente uno strappo improvviso al braccio e, contemporaneamente, avverte che i piedi non fanno presa come dovrebbero. AM abbaia. Il piccolo pakistano ride nervosamente e saltella. AM tira ancora più forte e A decolla.
Un momento di buio. A si ritrova seduto sull’asfalto lucido di pioggia e lurido come di consueto. Il cane nero pezzato ancora legato al suo braccio si è calmato. Il piccolo pakistano è scomparso. Che sia stato ingoiato da AM? Che sia fuggito, decollato, vaporizzato? A ride per la posizione seduta. AM tira. A lo riporta a sé. Riappare il piccolo pakistano. A gli intima di sparire. Il piccolo pakistano ride ancora, ma intanto chiede scusa… ad AM. Dice, parole testuali: «Scusa cane». AM torna ad abbaiare impennandosi. A tiene AM e dice al piccolo pakistano di saltellare via.
R si preoccupa della situazione di A circa la caduta. C ride. A è zuppo d’acqua. Del sangue sgorga dal gomito sinistro, ma il problema è la dignità caduta, gettata senza contegno. AM scodinzola la sua mezza coda allegro di qualcosa, la lingua rosa ciondolante, le grosse orecchie sbatacchianti. Quel grigio tossico pezzato. Del piccolo pakistano non c’è più traccia. A saluta R e C e si allontana con AM per le vie lucide e luride della città intrisa di pioggia come il suo fondoschiena. AM saltella come a imitare il piccolo pakistano felice.
Angelo Ramaglia