Al completo: un racconto di Edoardo Poeta
Lei era bionda. Di un biondo esagerato. Con una capigliatura che arrivava fino alle spalle abbronzate. Era bionda come le signore bene che incontri per la città. Quelle dell’aperitivo alle sette, del nail bar e delle vendite private nelle boutique del centro. Era entrata nella pizzeria su un paio di sandali con perline, neanche fosse a Positano, insieme a un calvo dalla barba brizzolata. Lei profumava di violette. Lui di spezie.
«Avete prenotato?» domandò il cameriere appena giunsero nel cortile.
«Certo: Disei. Avvocato Disei» scandì il calvo.
Lei si guardava attorno, come a chiedersi a cosa fosse servito aver riservato un posto. Sotto la veranda, infatti, tutti i tavoli erano vuoti. Solo una coppia a un tavolinetto fuori dalla copertura stava spizzicando in silenzio il pane dal cestino.
«Il vostro tavolo è il 15» disse il cameriere accompagnandoli.
Raggiunto il posto, lei poggiò la pochette su una seggiola ed entrambi si accomodarono. Il cameriere rimosse dalla tovaglia a quadrettoni un foglietto con scritto in stampatello DISEI. «Siamo al completo stasera» sorrise.
Lei lo guardò interrogativa. Attorno a sé non vedeva nessuno, tranne laggiù, appunto, fuori dalla veranda, quel tipo dalle braccia magrissime e la commensale tutta in jeans, che ora sorseggiava annoiata una coca-cola.
«Che strano questo luogo.»
«Perché?»
«Capisco che per darsi un tono anche le pizzerie di campagna pretendano la prenotazione, ma se fossimo arrivati qua senza telefonare, scommetto che avremmo trovato posto lo stesso.»
Nel frattempo il cameriere aveva poggiato accanto a loro un foglio con il menù: una sequela di pizze con lardo di Colonnata, pistacchio di Bronte, cipolle di Tropea, olive di Gaeta e alici di Cetara.
Lei sorrise a mezza bocca: «Una delle tue solite scelte azzeccate».
«Ti assicuro che ha un punteggio altissimo su TripAdvisor e recensioni molto positive su Google. Qua non prende il cellulare, altrimenti te le farei leggere. Me l’ha consigliata pure il cancelliere.»
«Sarà» replicò lei. «Tra l’altro, visto che non c’è nessun cliente, perché ci hanno messo di lato, addosso alla siepe? Non era meglio quel tavolino al centro?» Tacque. Poi all’improvviso andò a sedersi proprio a quel tavolo e fece cenno al calvo di seguirla. Era apparecchiato per tre, con GASPARI scritto a penna su un cartellino. Non se ne curarono: occuparono le due sedie, una di fronte all’altra.
«Fa caldo qui» si lamentò poco dopo lei. «Se usciamo da sotto al tendone, come quei due, stiamo meglio.»
Raggiunsero il tavolo sul lato opposto a quello degli altri due unici avventori, che intanto si stavano dividendo un piatto di salumi. Anche stavolta trovarono sulla tovaglia un cartellino, ma con scritto DE CESARIS. Lei lo scansò con il dorso della mano, fino a farlo cadere a terra.
Dalla loro nuova collocazione si vedeva l’orizzonte, con nubi e bagliori nel cielo serale. Si udiva pure tuonare da lontano.
«Al mare fa brutto tempo» osservò lei.
«Non ho connessione. Ma stamane ho letto che qui non è previsto nessun temporale prima di domattina».
«Avete cambiato posto?» il cameriere apparve seccato, ma si ricompose subito. «Cosa vi porto da bere?»
Il calvo chiese una pils.
«Per me acqua. Leggermente effervescente» disse la bionda, per poi richiamare il cameriere mentre si dirigeva verso la cucina. «Qua c’è troppa umidità e sotto la veranda fa caldo. Non è che avreste una sala con aria condizionata?»
«Siamo al completo anche all’interno, mi spiace signora.»
Per quanto si sforzasse, la bionda non riusciva a individuare la presenza di clienti in quella pizzeria. Nel mentre il cameriere era apparso e scomparso – dopo aver lasciato le bevande sul tavolo – senza che i due se ne accorgessero.
«Qui non viene nessuno, dai retta a me: è una pizzeria fantasma» disse la bionda al calvo, il quale finse di non averla sentita. «È tutta una messinscena, altro che locale rinomato. Salvo che il navigatore non ti abbia portato in un luogo invece di un altro, hai scelto male pure stavolta.» Prese quindi la bottiglia di acqua minerale, la borsetta e si andò a sistemare di nuovo al tavolo al centro. Il calvo rimase seduto per un po’, poi anche lui raccolse le proprie cose e tornò sotto la veranda, accanto a lei.
Il cameriere, di ritorno dalla consegna delle margherite agli altri due clienti, non riuscì a nascondere il disappunto: «Signori, questo tavolo è riservato a Gaspari».
Finsero di non averlo sentito. E così il cameriere – forse nella speranza di ridurre la permanenza della coppia – iniziò a prendere le ordinazioni, seppur scuotendo la testa.
Il calvo chiese una tempura di verdure per antipasto e una capricciosa con uova d’oca e tartufo. La bionda, invece, si soffermò su una riga del menù: «Vorrei una “pizza a piacere”. Me la può far fare con la coppa?». La bionda cercò gli occhi del compagno per sfidarlo, ma lui evitò il confronto simulando interesse per il cellulare che non aveva campo.
«Signora, posso fargliela preparare con prosciutto di Praga, speck del Tirolo oppure, volendo, soppressata di Calabria. Ma con la coppa di testa non è possibile, mi spiace.»
«E perché mai? Sul menù avete scritto “pizza a piacere” e a me piacerebbe con la coppa. Avete terminato pure quella perché siete “al completo”?»
«Non abbiamo mai servito pizza con la coppa di testa. E, comunque sia, temo che si scioglierebbe con il calore: le resterebbero solo le frattaglie di maiale.»
La bionda stava per ribattere, quando la sua attenzione fu richiamata dall’altra coppia che aveva lasciato a metà le pizze e si stava dirigendo a passo rapido verso la cassa. Un bagliore illuminò il cortile. I ticchettii delle gocce sul telo della veranda risuonarono leggeri, per poi trasformarsi in un violento scroscio di pioggia.
«Le porti una margherita con la bufala di Battipaglia» intervenne il calvo. «Mi creda, a lei piacerà: conosco i suoi gusti. D’altronde, è evidente che la pizza con la coppa stasera non si può avere.»
Il cameriere si era già dileguato quando la bionda accennò a una protesta che il calvo zittì subito, poggiandole delicatamente l’indice sulle labbra: «Cerchiamo di concludere la serata nel migliore dei modi». Quindi aggiunse: «Anche perché ho da darti una cosa».
Gli occhi di lei scomparvero tra le ciglia di mascara, e non appena aveva chiesto «cosa?», il cameriere era riapparso, ma pareva esitare.
I due lo fissavano perplessi.
«Signori, purtroppo il locale deve chiudere. Dovreste lasciare il tavolo, per gentilezza.»
«Sta scherzando?» reagì il calvo che adesso stringeva tra le mani una scatolina infiocchettata.
«Abbiamo appena ricevuto una telefonata dai carabinieri. Ci hanno invitato a chiudere immediatamente il locale e a metterci al riparo: è in arrivo una tromba d’aria. Ha già scoperchiato tetti in città e interrotto strade.»
«Guardi, sa che le dico? Adesso basta» esplose il calvo. «In questa pizzeria dimenticata da Dio non viene nessuno. E avete deciso di cacciare gli unici clienti perché non vi conviene tenere aperto. No, non ce ne andiamo.»
La bionda annuiva vistosamente.
«Ci porti da mangiare. Poi, quando avremo finito, se non se ne sarà andato per sfuggire alla sua tempesta, la pagheremo.»
Il vento aveva cominciato ad aumentare di intensità: i lembi delle tovaglie sventolavano verso l’alto rovesciando piatti e calici a terra. Alcune sedie si ribaltarono. Un violentissimo acquazzone ebbe inizio. Il fischio delle folate, in breve tempo, si era trasformato in un lungo e cupo muggito.
Lui e lei erano rimasti immobili sulle loro sedie, con i gomiti poggiati saldamente sul tavolo. Il cameriere era scomparso di nuovo. E nel cortile svolazzavano i biglietti segnaposto dei tavoli prenotati, in un turbinare di cognomi scritti in stampatello.
Edoardo Poeta