Valerio Callieri: una chiacchierata tra libri, musica e curiosità. E non toccategli la Roma! Intervista
Valerio Callieri è nato a Roma nel 1980. Ha scritto e diretto il documentario I nomi del padre. Feltrinelli ha pubblicato Teorema dell’incompletezza (2017), vincitore del Premio Italo Calvino, Le Furie e È così che ci appare il mondo.
E tra un caffè amaro, mille risate e un commento sportivo è nata questa intervista.
Il 29 aprile è uscito Le furie edito da Feltrinelli, nel quale racconti una storia che parla di violenza sulle donne. Come è stato affrontare, da uomo, questo tema?
Ho scritto questo romanzo per comprendere meglio quello che ho visto accadere a una donna. E poi, nel tempo, l’ho visto accadere nuovamente ad altre donne – amiche, perlopiù, con cui avevo un rapporto piuttosto blando –, troppe volte. “Troppe” è ovviamente l’aggettivo ingenuo di un uomo che non immaginava la quantità di violenza subita dalle donne. Ho cercato di osservare la storia da diversi punti di vista, quello della donna ovviamente, ma anche quello dell’uomo, del “carnefice”. Per me a tratti è stato inquietante, ma alla fine credo serva un po’ a questo, scrivere intendo, indossare panni e stringere la mano a persone con cui difficilmente prenderesti un caffè. O almeno, questo è quello che apprezzo di più quando lo faccio e quando leggo.
Quando scrivi, fai leggere le tue cose agli amici?
Sono per lo più amici che scrivono già o sono grandi lettori. Comunque, per quanto possibile, chiedo loro di non essere miei amici nel momento in cui leggono. Se non sono spietati, serve a poco.
A luglio è stato pubblicato È così che ci appartiene il mondo, la tua testimonianza sui fatti del G8. Ripensando a quel momento, qual è la prima parola che ti viene in mente?
Sono due: tremore e retorica.
Nei tuoi libri, un tema importante è la vendetta. Che cosa rappresenta per te questo sentimento?
Credo di averlo capito con Le furie: una forma di giustizia ancestrale che è sempre presente dentro di noi e a cui dobbiamo prestare attenzione. Non dare per scontato che come civiltà siamo passati al Tribunale e quindi la vendetta non esista più. C’è il passaggio finale dell’Orestea di Eschilo in cui le divinità della Vendetta (le Erinni greche, le Furie romane) vengono sconfitte e non vengono cacciate dalla città, ma fatte accomodare nelle grotte sotto Atene e riverite, che secondo me rappresenta molto bene questa ambivalenza umana.
Nei tuoi romanzi si parla di ferite emotive e di fatti politici. Anche nel tuo primo libro, Il teorema dell’incompletezza. C’è sempre un intreccio tra la storia del singolo e tra la Storia. Da dove nasce questa esigenza?
Credo che la Storia sia il nostro fato. Qualcosa di imprevedibile che intralcia i piani delle nostre storie. Un attentato, un rovesciamento politico, una pandemia determinano le nostre esistenze individuali in maniera profonda.
Chi sono i tuoi scrittori di riferimento?
Tutto David Foster Wallace, il primo Houellebecq, Donatella Di Pietrantonio, Elizabeth Strout, quasi tutto Vasilij Grossman, il 64% di Elena Ferrante, George Saunders.
L’ultimo libro che hai letto?
Vergogna e necessità di Bernard Williams, un saggio sulla responsabilità dei Greci, in cui l’autore cerca di smontare le tesi fin qui prevalenti che in Omero e nelle tragedie non ci fossero concetti come colpa, responsabilità, vergogna, ma fossero per lo più principalmente eterodiretti dagli dei, in pratica dei bambini di cui noi siamo l’evoluzione.
Libro preferito?
Infinite Jest di David Foster Wallace.
Hai un rituale prima di scrivere?
No.
Disco del cuore?
Forse il vecchio e caro Wish you were here.
Cosa non faresti neanche per 1 milione di euro?
Boh, tipo cospargermi di glassa e passare la notte in una giungla piena di animali feroci e golosi e molto sensibili all’odore della glassa e scoprire, mentre vago nel buio, che su alcuni rami sono montati degli altoparlanti che diffondono l’inno della Lazio alternato alle risate di Barbara D’Urso, tipo…
Hai mai fatto a botte?
Non dopo i 13 anni.
Qual è la cosa che più ti fa arrabbiare?
La gente che accelera per arrivare in prima fila davanti al semaforo quando è rosso.
Scrittore, sceneggiatore, padre, tifoso della Roma. Quale di queste definizioni, senti più vera?
Adesso padre.
Film preferito?
Domanda crudele, forse sono una cinquantina a pari merito da cui estraggo The eternal sunshine of the spotless mind (Se mi lasci ti cancello).
Preferisci scrivere sceneggiature o romanzi?
Romanzi.
Hai mai pensato di scrivere una sceneggiatura tratta da uno dei tuoi romanzi?
Sì, però diciamo che non è così semplice. I produttori cinematografici devono avere una base di moltissime copie vendute perché decidano di investire su un libro.
Ultima cosa. Scudetto alla Roma o Premio Strega. Cosa scegli?
Domanda cattiverrima. Premio Strega, perché probabilmente mi consentirebbe di vivere di scrittura per un po’. Ovviamente, prima che tu possa trascrivere questa risposta stipuleremo un contratto blindato in cui stabiliremo che le persone della mia chat romanista non leggeranno mai questa risposta e qualora dovessero leggerla concorderemmo nell’affermazione che Essa è solo l’opinione espunta con metodi discutibili, probabilmente non democratici, sicuramente ricattatori, e che probabilmente rappresenta solo il tentativo dell’autore di blandire la società delle Lettere e che poi mai e poi mai et caetera et caetera.
a cura di Claudia Borzi
libraia Mondadori Eur di Roma