Umiliati di Roberto Vetrugno: un romanzo sulle dinamiche coniugali fuori dagli schemi di genere. Intervista
La lettura di Umiliati (Vallecchi, 2021), il romanzo che Roberto Vetrugno dedica agli uomini che hanno sofferto le conseguenze più estreme dell’amore coniugale, ha sollevato all’interno della redazione di «Rivista Blam» più di un interrogativo. È per questo abbiamo deciso di rivolgerci direttamente all’autore per tentare di comprendere più a fondo le intenzioni che hanno dato vita al suo romanzo. Ci sembrava giusto che quest’intervista uscisse proprio oggi, in occasione della Giornata internazionale della donna perché la chiacchierata con Vetrugno sul suo romanzo potrebbe offrire spunti interessanti per ragionare sul tema dell’uguaglianza di genere.
Nel suo libro, gli umiliati sono tutti gli uomini che si sono trovati, per ragioni diverse, a soffrire per colpa delle donne che amano. Da cosa nasce l’idea di dare voce proprio a loro?
L’idea nasce da un’esperienza personale: durante il logoramento della mia relazione mi sono accorto che ero caduto in uno stato di sconforto, debolezza, impotenza, incapacità di comunicare con mia moglie (ora post-moglie): ho percepito la fine di un’intimità, di una vicinanza e le parole tra noi erano dure, taglienti. Spesso umilianti. Ho capito che stavo rischiando di umiliare me stesso e di umiliare anche lei. Ho deciso in poco tempo di separarmi per evitare il peggio e mantenere un rapporto con lei, cui è dedicato il libro, amichevole e forte (anche per nostra figlia) e ci sono riuscito. Da quel momento ho indagato raccogliendo, insieme a tre amici, storie di uomini in difficoltà, reclusi in lunghe relazioni che non riescono a interrompere, legati a donne che non sono ma sono diventate feroci perché senza amore. Bisogna dirlo chiaramente: l’umiliato è un auto-umiliato, è un essere in una condizione di debolezza, è un incapace di amore ed è capace di soccombere. E non è solo del maschio, è anche della donna, l’umiliazione può travolgere le coppie quando scoppiano, quando per varie ragioni non abbiamo la forza di vivere soli. Io ho raccontato il punto di vista maschile, quello peggiore, minore, meschino, più stupido.
Come in una sorta di setta segreta, gli uomini umiliati si ritrovano a casa del professore per confidarsi. Ogni capitolo ripercorre in breve la parabola tragicomica di un protagonista: c’è chi si trova costretto dalla moglie a partecipare a festini di scambio coppia, chi non trova pace dalle furiose litigate della compagna nemmeno in terapia intensiva durante una grave malattia o chi si vede sottrarre le figlie dopo un’ingiusta separazione. Storie che si spingono al limite della realtà: si tratta di una finzione o si è ispirato a fatti realmente accaduti?
Il professore e i suoi due amici, che si ritengono immuni dall’umiliazione, vogliono che il protagonista non venga umiliato e che non si umili da solo, gli consigliano così di separarsi: per convincerlo gli raccontano le disavventure realmente accadute o verosimili di uomini umiliati. Le definirei storie probabili, in termini quantistici, sono accadute e possono accadere nelle relazioni quando muoiono. Non possiamo prevederlo: non possiamo perché l’amore è imprevedibile ed è un sentimento potentissimo, ci rende creature quasi divine e immaginarie (diventiamo sirene, draghi, mostri incantevoli), ci porta in dimensioni altre in cui viviamo sensazioni estreme, di gioia radicale, di unione totale, simbiosi, appagamento. Ma tutto ciò poi si può trasformare nel suo contrario, la crisi, chiamiamola crisi di coppia, inizia a trasformarci ulteriormente, può devastarci, tutta la materia positiva del sentimento diventa antimateria, oscura, ci deforma, ci riduce al peggio di noi stessi, esseri umani. Questa mutazione genetica sentimentale è imprevedibile, sia l’uomo che la donna, l’uoma e la donno, eliminando le distinzioni morfologiche e anatomiche, diventano piccoli esseri malefici, perfezionisti, diciamo cose orribili, ripicche, offese, silenzi aggressivi, ricatti, in alcuni casi diventiamo anche violenti, assassini di noi stessi e delle persone che amiamo (ho raccontato anche questo, il maschiomostro). Nella maggior parte delle volte diventiamo odiosi, insofferenti, un disagio che diventa «odio naturale», l’odio di chi si sente solo e non più amato, senza corpo né sessualità. Io ho deciso di raccontare questo odio anche al femminile perché non possiamo continuare a osservare e raccontare solo l’odio e la violenza maschili, questo non fa altro che rimarcare le differenze di genere che sono anche semplici parvenze.
Parliamo poi delle figure femminili che abitano il romanzo. Le donne – compagne, amanti o mogli – sono incapaci di provare affetto e tenerezza verso il loro uomo. Aguzzine spietate che pungolano gli umiliati nei gesti o nelle parole, schernendoli di fronte alle amiche, restituendo odio ai gesti di amore offerti. Come mai non ha raccontato nel suo libro un personaggio femminile positivo, anche uno solo, che fosse in grado di riscattare tutte le altre donne?
Credo di aver raccontato un aspetto della femminilità che è una forma di forza, anche di violenza ma è una premessa della liberazione dal ruolo di donna eternamente innamorata e dedita, capace di perdonare, di accettare, di essere prevalentemente madre e moglie, protettrice del focolare domestico. La donna è, deve essere, sempre buona e succube. Invece no! La donna per fortuna può ribellarsi anche con l’odio, il disprezzo, la noia, la voglia anche maniacale: liberarsi significa anche conoscere sé stessi nei punti più oscuri e così ci si libera dalle convenzioni, la donna è ancora rappresentata in maniera convenzionale e sarà libera se accetterà di essere reale e quindi anche offensiva. La letteratura non può raccontare l’uomo e la donna nei loro aspetti positivi ma può, ed è la letteratura che preferisco, narrare i punti oscuri, beceri e vitali degli esseri umani, anche divertendo. Le nostre meschinità, le nostre debolezze, la nostra disposizione a far soffrire, a essere egoisti. Questo accade invece sempre per i cattivi della storia e delle storie ma abbiamo tutti noi maschifemmine un cattivo dentro che è parte di noi, siamo ambigui, inetti, deboli, ci piace a volte schiacciare ed essere schiacciati. La consapevolezza delle nostre parti più oscure è una opportunità di liberazione, è una crisi dentro noi stessi che rigenera. Non esiste alcuna integrità, non esiste nessuna certezza nel misurare l’uomo, le sue proporzioni affettive: no, siamo tutti in grado di fare del male, almeno dal punto di vista probabilistico. Questo male d’amore, questo male nell’amore agonizzante è una forma di cattiveria nascosta, vicina al nostro cuore, ci fa paura, ma non possiamo liberarcene. Anche lei avrà almeno una volta dato sfogo al suo odio naturale, all’amore quando si fa mortifero. Sensazioni funeste avranno attraversato anche lei, anche lei potrebbe aver umiliato e forse è stata umiliata. Se è così sarà stata una opportunità di crescita, di emancipazione.
Ci sono poi due personaggi femminili positivi, un po’ nascosti: è un preludio al libro che sto scrivendo dedicato alle donne, alle donne libere, emancipate, le amazzoni che vivono tra noi. Così potenti che non hanno più conflitti con gli uomini, non hanno bisogno di umiliarli, di guardarli con sospetto: non solo più solo dedite alla famiglia, al partner ma sono dedite all’umanità, si alleano con gli uomini, eliminando le differenze anatomiche (le amazzoni si tagliavano il seno) per fare il bene e aiutare gli altri, che ne hanno un gran bisogno. Ci dobbiamo liberare dai conflitti tra nazioni, ci dobbiamo liberare dai conflitti di genere per salvare questa terra dalla stupidità di noi stessi. La Scizia, la regione in cui vivevano le amazzoni, corrisponde all’attuale Ucraina: ora stanno danzando, è una danza di guerra, vogliono difendere la loro libertà e sono invincibili. Ecco il mio libro sarà dedicato alle amazzoni e alla ricerca della loro figlia, Wonder Woman, perché ho una domanda urgente: che fine ha fatto Wonder Woman?
Al termine della lettura si ha l’impressione che il testo abbia un esplicito intento provocatorio: quello di porre il lettore di fronte a un punto di vista nuovo, completamente maschile. Aggiungo: completamente maschile e rivolto agli uomini. C’è il rischio che il suo testo non venga considerato come inclusivo del genere femminile e quindi compreso e apprezzato dalle lettrici?
Questa sua considerazione mi interessa molto: la letteratura è provocazione di uno stato di cose permanente, ragionevole. Serve ad annientare e a commuovere ciò che è certo, lineare e aggiungo anche noioso. Scrivere per far bene, per farsi apprezzare, per compiacere e adagiare il lettore in un piacere galleggiante non è per me scrivere: se hai uno stile semplice puoi condurre il lettore verso un viaggio meraviglioso e terribile dentro l’essere umano. Lo devi mettere alla prova. Ciò che è bello è terribile, ci può terrorizzare. Il libro non è rivolto ai maschi, anzi; tra le lettrici ho avuto due effetti diversi: alcune l’hanno definito doloroso, a loro avviso va troppo a fondo nella meschinità e nella degenerazione della coppia, un senso di morte dell’amore che disturba. Altre hanno apprezzato molto la descrizione delle donne esasperate e violente, le donne che non amano e si difendono umiliando. Ma non hanno bisogno di umiliare, devono liberarsi dai ruoli. Nessuna ha accusato il libro di maschilismo e mi sarei sorpreso perché è un libro antimaschilista. Molte hanno goduto dell’aspetto umoristico, quanto diventiamo ridicoli e ridicole quando non amiamo più, quanto siamo comici e patetici quando soffriamo per amore e in fondo ci piace. Dobbiamo sdrammatizzare, ridere di noi stessi, fare l’amore consapevoli che è un gioco, pericoloso.
Spesso le storie degli umiliati di cui racconti agiscono non lasciando spazio a una morale positiva sull’amore coniugale. Siamo di fronte a una provocazione o secondo lei la sfiducia nei rapporti coniugali è davvero così diffusa al giorno d’oggi?
La maggior parte delle persone che conosco dopo dieci anni di relazione vanno in crisi, alcuni si separano, alcuni rimangono insieme e si rassegnano. Smettono di fare sesso, pensano al cibo, al lavoro e al cane. Molti miei coetanei mi hanno detto che avrebbero voluto che i loro genitori si fossero separati e hanno passato anni infernali a causa dei litigi e dei silenzi di mamma e babbo. Il tema è molto attuale e credo che la nostra generazione possa liberarsi dall’idea patriarcale dell’amore eterno, sistemico, organico e senza fine: la coppia e la «famigghia» come contratto sociale. Può esistere l’amore eterno, certo, ma non è un programma, non è un’assicurazione sulla vita. Siamo spaventati dalla solitudine, dal mondo che ci aspetta fuori della porta. Quel mondo è libertà e abbiamo paura di non gestirla. L’amore coniugale è un’etichetta, le persone si incontrano e si amano in una dimensione erotica imprevedibile, in uno spazio-tempo non lineare. La nascita dei figli unisce e al contempo divide, ci dà sensazioni uniche ma ci trasforma anche in macchine familiari, che avanzano tra mille difficoltà; la genitorialità ci stressa, riduce i nostri orizzonti, il nostro corpo. Ne vale la pena ma fino a un certo punto: nel libro parlo anche di figli ingrati, stronzetti. Poi rapporto di coppia e ruolo genitoriale si mischiano e possono creare una miscela esplosiva o uno stato di coma emotivo. Abituarsi a un amore tanto da ritenerlo indispensabile può succedere, è probabile ma non è una soluzione alla nostra paura. Nell’età adulta si può amare senza annullarsi nell’altro, sappiamo rispettare noi stessi, siamo più definiti, siamo più forti e abbiamo opportunità di amare nuovamente, di incontrare altre persone, e possiamo stare anche da soli, a giusta distanza dagli altri. L’amicizia nelle sue varie forme è un sentimento importantissimo, diffonde il nostro amore non solo nell’«altro» ma negli altri (e la componente sessuale non è più dominante come durante la giovinezza… è giocosa): dà alle relazioni un valore inclusivo e non esclusivo, crea rete, umana, sociale, affettiva e spesso può farci sentire più liberi e più utili di quanto faccia il sentimento nella coppia e quello strettamente familiare.
a cura di Silvia Ognibene
@silviabookolica