Ritratti di scrittori: Ottessa Moshfegh, chi è? Scoprilo in 5 parole
«La crudeltà, così deplorevole nella vita, è in uno scrittore una virtù seriamente sottovalutata», The New Yorker. Niente di più calzante poteva essere attribuito alla penna di Ottessa Moshfegh (Bostoni, 1981) , i cui libri trasportano a un livello visibile – quello della lettura – le piccole meschinità, le minuzie ributtanti e scomode che coltiviamo privatamente ogni giorno.
Dopo aver esordito in Italia con Eilenn (Mondadori, 2017), nell’agosto 2020 è apparso per Feltrinelli, nella traduzione di Gioia Guerzoni, il suo ultimo romanzo, La morte in mano.
Nei suoi libri Moshfegh costruisce con una scrittura pungente, a tratti iperrealistica nel riportare la trascurabilità dei dettagli, un’orbita di personaggi dal timbro preciso e intenso che con i loro monologhi di costante e velata ironia portano in sovraimpressione su ogni pagina il fascino sporco di ogni vita ordinaria.
Ottesa Moshfegh: chi è la scrittrice in 5 parole
Junk food
Bastoncini di formaggio confezionato, donut, pagnotte unte surgelate, cheese-cake, ali di pollo: Ottessa Moshfegh ci offre – non senza una certa compiaciuta piacevolezza – un inventario particolareggiato di ogni tipo di pietanza ricca di grassi saturi, conservanti, zuccheri raffinati. Tutto ciò che il rispolverato mantra mens sana in corpore sano vieta in quanto peccato morale (e mortale) tra i più terribili. Dire che i personaggi di Moshfegh mangino o, ancor più sviante, si nutrano, sarebbe un’illazione bella e buona. Il cibo viene consumato, triturato, immesso nel corpo al pari di qualsiasi altra sostanza ingeribile, perché il cibo è tossico e avvelena, non meno di una bottiglia di vino e/o di un cocktail a base di Ambien e Nembutal.
Caffè
“Beberoni”, la cui stazza potrebbe essere comparata ai bicchieri large size, anche quelli onnipresenti, di Diet Coke, i caffè, rigorosamente americani, vengono trangugiati dai personaggi in diversi e casuali momenti della giornata. Nei libri di Moshfegh bere il caffè è tutt’altro che simile al nostro rito italiano che impone un’orgasmica e contemplativa degustazione di espressi, e si avvicina piuttosto a un atto nevrotico-disperato di attaccamento alla realtà. Immaginate questi personaggi che il più delle volte riemergono sconvolti e vacillanti dagli abissi onirici delle proprie case arredati da alcolici, benzodiazepine, barbiturici e si aggrappano con tutte le loro forze ai bordi di un bicchierone di caffè per essere riportati in superficie. A riprova del fatto, la protagonista di Il mio anno di riposo e oblio a qualsiasi ora si svegli, giorno o notte che sia, prende «due bicchieroni di caffè con panna e sei dosi di zucchero ciascuno», o il protagonista di Malibu (Nostalgia di un altro mondo) che dichiara una vera e propria «mania per il caffè», fino a bere nell’arco della giornata solo ed esclusivamente «caffè e ginger ale dietetica».
Vomitare
L’emissione di materiale gastrointestinale è prassi non rara nei libri di Moshfegh. Se mangiare è un’azione meschina e velenosa, vomitare diventa un atto di liberazione e salvezza: un rigurgito sadico che libera dai peccati del mondo. Si vomita tanto e per diversi e opposti motivi: abuso di alcool, abuso di caffè, abuso di farmaci, abuso di junk food, abuso di «euforia». E carenza di attenzione; come Takashi in La stanza chiusa, che «a volte vomitava in pubblico giusto per farsi notare», o l’insegnante di Tentativi per migliorarsi, solita passare le prime ore della mattina a scuola nel bagno delle suore, perché spesso ubriaca dalla sera prima.
Insomma, la veglia non è altro che un susseguirsi alternato di immissione tossica ed emissione vivifica, in cui tutto il resto è oblio.
Metanfetamine
Negli ultimi anni in America imperversa come sostanza sovrana la metanfetamina, o meglio conosciuta, grazie alla serie Breaking Bad, come crystal meth, al punto da riuscire a rubare il podio agli oppioidi e alla sua regina. Non c’è quindi da stupirsi se tra le droghe che fanno da sfondo ai racconti di Nostalgia di un altro mondo, la più frequente, la più consumata è proprio la crystal meth. La potenza dei cristalli sta tutta nella duplicità di significato: minerali preziosi e magici che conferiscono poteri sovrannaturali a chi li possiede: «Me li mostrò tenendoli sul palmo della mano come una veggente o un croupier». Di cristalli si fanno gli zombie che popolano La casa di villeggiatura, entità ricche di fascino misterioso che nascondono nel loro incedere affrettato un «prodigio sovrannaturale». Lo squallore si mischia al fatato e le sostanze sono «goiellini», «pepite» nelle mani di fantasmi nascosti «sotto il cappuccio della felpa lercia», agli angoli delle città.
Morte
A preannunciare la morte come uno dei temi caratterizzanti la produzione di Ottessa Moshfegh ci pensano già la maggioranza dei suoi titoli: Nostalgia di un altro mondo, Il mio anno di riposo e oblio, La morte in mano.
In questi libri pensare alla morte è spaventoso e sollevante: distende le pieghe del mondo e azzera i battiti cerebrali. Nel racconto Un posto migliore la protagonista condivide con il fratello gemello Waldemar la nostalgia di un altro mondo. Come l’età dell’oro, anche l’altrove dei due fratelli è collocato prima, in un pre – o extra – tempore mitico, raggiungibile solo con lo sbarazzo della vita «su questa Terra piena di cose stupide». E quando il mondo è il posto sbagliato, per sopravvivere alla sgradevolezza dei giorni servono un coltello, un barattolo di marmellata e qualcuno, forse se stessi, da uccidere.
Ottessa Moshfegh: i libri da leggere per approcciare a questa scrittrice
- Eileen (2015, Mondadori)
- Nostalgia di un altro mondo (Feltrinelli, 2017)
- Il mio anno di riposo e oblio (2018, Feltrinelli)
- La morte in mano (Feltrinell, 2020)
a cura di Camilla Longo Giordani