Ritratti di scrittori: Alberto Moravia, chi era? Scoprilo in 5 parole
Il tempo per vivere fu in lui “tempo per scrivere” (‹‹Sono impegnato anzitutto con me stesso ogni mattina alla mia scrivania››). Parliamo di Alberto Moravia, pseudonimo di Alberto Pincherle: senza dubbio uno degli scrittori più grandi del secolo scorso. Nasce e muore a Roma (28 Novembre 1907 – 26 Settembre 1990), ma la sua vita sarà costellata di numerosissimi viaggi intercontinentali e profonde esplorazioni interiori. Così, per lasciarvi cogliere, almeno in parte, le dimensioni complessive di un artista tanto articolato – fu, infatti, scrittore, giornalista, saggista e drammaturgo – , abbiamo deciso di tracciarvi il sentiero a seguire.
Alberto Moravia: chi era lo scrittore in 5 parole
Eros
Chiunque abbia letto solo anche qualche frammento di una delle sue opere non si sorprenderà del perché si associ al nome di Alberto Moravia l’espressione ossessione erotica. Ebbe tre grandi amori: Elsa Morante, sposata nel 1941 e con la quale visse 26 anni di tormentato matrimonio; Dacia Maraini, che fu con lui fino al 1976; e poi Carmen Llera, giovane donna spagnola spostata nel 1986. A dividerli ben 44 anni di età. L’erotismo e la sessualizzazione furono, per Moravia, strumenti conoscitivi della realtà: sosteneva che il sesso poteva essere trattato da uno scrittore come argomento in maniera ben riuscita solo qualora egli lo avesse affrontato senza alcun tabù. A render tutto più chiaro sull’argomento, vi riportiamo qui una sua dichiarazione tratta da un’intervista: ‹‹A proposito dell’insistenza di questo tema nei miei libri, io potrei rispondere capovolgendo l’argomento del Manzoni. Quando gli chiedevano perché nella sua opera non ci fosse alcuna attenzione ai problemi del sesso, Manzoni si scherniva dicendo: “Forse perché di sesso ce n’è fin troppo nella vita.” Io farei l’osservazione opposta: proprio perché nella vita c’è molto sesso io, essendo uno scrittore realista, non posso esimermi dal parlarne.››
Psicologia
Tra Moravia e Freud ci fu un rapporto inestricabilmente intrecciato. A tal proposito Michael David, in un suo studio sulla Psicoanalisi nella cultura italiana, ha individuato il limite dell’approccio di Moravia alla psicanalisi freudiana nel suo esser quasi unicamente mezzo di indagine sulla vita e i rapporti umani. Si può spiegare, a questo punto, anche questa dichiarazione che Moravia fece nel 1946: ‹‹Io conoscevo Freud, o per lo meno ero freudiano senza saperlo, prima ancora di averlo letto: attraverso esperienze che mi avevano convinto della grande importanza, nell’arte, del fatto sessuale.›› Quanto appena detto è evidente in tutte (ma proprio tutte) le psicologie dei personaggi moraviani (in particolar modo quelli femminili, ai quali lo scrittore si avvicinò cogliendone l’essenza, persino più che a quelli maschili) e nel celebre racconto della borghesia messa a nudo nelle sue contraddizioni e ipocrisie della prima produzione.
Viaggio
Viaggiare fu per Moravia prima di tutto guardare, godersi l’esperienza della vista prima di quella della comprensione. Lo scrittore visitò, nel corso della sua vita, innumerevoli posti: diversi paesi in Africa, la Bolivia, il Giappone, il Guatemala, il Vietnam, il Libano, la Siria, la Palestina, il Pakistan, l’Unione Sovietica, la Mongolia, Israele. Tutte furono esperienze uniche, avventure che consentirono allo scrittore di incontrare grandi personalità politiche, e che gli permisero di scrivere saggi, articoli, interviste e libri. Ciò che contraddistinse i racconti di viaggio di Moravia fu il suo punto di vista: lo scrittore ebbe sempre e ovunque l’atteggiamento di uomo di parole e turista insieme, in grado di fornire anche più informazioni di quanto non facessero esperti che usavano cifre e indagini. Mentre viaggiava, teneva un diario in cui raccontava le esperienze delle singole giornate e leggeva le opere degli scrittori più illustri del paese che stava visitando.
In Moravia ci fu una netta separazione tra letteratura narrativa e la scrittura di viaggio: esse scorrono parallele senza mescolare le loro acque, da un lato, una materia romana intimamente appartenente al narratore, dall’altro una vasta e variegata esperienza del mondo (che pochi altri scrittori del tempo avrebbero potuto vantare), riservata a uso personale e agli articoli dei reportage. Moravia non solo non ambientò mai le sue storie nei luoghi stranieri ed esotici che visitò, ma neppure si preoccupò di raccogliere in volume i suoi reportage, che lasciò senza rimpianti alle pagine di cronaca dei quotidiani o al lavoro postumo dei curatori della sua opera. Per giustificare un libro di articoli era necessario che dai testi emergesse qualcosa come un’idea, come una riflessione culturale, che li elevasse al piano della produzione d’autore come i romanzi e i racconti. Stando alle pubblicazioni, questo avviene sei volte nella carriera di Moravia: la prima volta col libro sull’Unione Sovietica (1958), una seconda con quello sull’India (1962), poi sulla Cina della Rivoluzione Culturale (1969), e ben tre volte per l’Africa (1971, 1982, 1987).
Impegno sociale
Alberto Moravia si negò sempre alla politica attiva. Non richiese mai tessere di partito e le rifiutò ogni volta che gli vennero offerte. Da qualcuno fu giudicato in modo polemico “compagno di strada della sinistra e dei comunisti”, ma è un’immagine distorta di quello che fu l’impegno di Moravia nella politica di sinistra. Certo è che mai scese a compromessi sulla libertà necessaria all’esistere della letteratura e della vita civile. In Diario Europeo così scrive: “Credo che preferirei una situazione nella quale libertà e giustizia fossero mischiate in parti uguali, cioè nelle quali la natura che non è giusta ma libera stia in buon accordo con la società che non può non aspirare alla giustizia e non può non limitare la libertà.” Moravia prese parte alla rivolta studentesca nel corso degli anni ’60, instaurando coi giovani un dialogo proattivo fatto di numerosi incontri pubblici, e si batté per la liberazione di Régis Debray, intellettuale francese imprigionato in Bolivia con l’accusa d’esser stato tra i responsabili della morte di Che Guevara. Per ogni angolo di mondo esplorato da viaggiatore, lo scrittore prese parte, con scrittura e ars oratoria come armi uniche, a piccole battaglie sociali, avvertite quasi come doveri, con mitezza, fermezza e umanità memorabili.
Vita
Moravia fu sempre prigioniero di una disperazione profonda, che si incarnava nel suo apparente cinismo e nella cruda analisi delle relazioni umane. Ciò che tuttavia fu in grado di salvarlo fu il suo sovrumano attaccamento alla vita (motivo del suo secondo matrimonio con la giovane Carmen Llera, definito in un’autobiografia della scrittrice come “enorme atto di coraggio”). Il suo inestinguibile brio vitale gli permise di convivere coi suoi demoni e, in qualche maniera, di sconfiggerli, vittoria celebrata ogni giorno davanti alla scrivania fino a quello prima della sua scomparsa. Insomma, se il Moravia uomo può aver conosciuto attimi di sconfitta, certo è che quello scrittore non fu mai prigioniero dell’indifferenza alla vita.
Alberto Moravia: i libri da leggere per approcciare a questo scrittore
- Gli indifferenti, E.P.Dutton, 1929
- La Noia, Bompiani, 1960
- Il Paradiso, Bompiani, 1970
- Passeggiate africane, Bompiani, 1987
a cura di Annarita Chieffo