Non siamo mai stati sulla terra: il primo libro scritto da un umano e un’Ai. L’intervista a Rocco Tanica
Nell’era degli algoritmi pare ormai pratica usuale affidarsi a marchingegni che ci guidano se vogliamo raggiungere un posto sperduto, mettere un timer per cuocere la pasta, avere il caffè pronto quando suona la sveglia e far arrivare a casa quel che ci manca in dispensa cliccando su un pulsante.
Mancava poco, lo avvertivamo, era nell’aria: sarebbe arrivato qualcuno o qualcosa di evoluto a sostituirci (forse) anche nella stesura di testi e nella produzione di immagini. Ed ecco che le intelligenze artificiali – Ai per abbreviare – ci hanno portato in un mondo parallelo e inesistente nella realtà concreta, in cui anche il Papa può vestirsi con un piumino trendy nel tempo di un clic.
Ma quando si parla di scrittura, come agisce un’intelligenza artificiale?
In Italia è stato pubblicato Non siamo mai stati sulla terra (il Saggiatore, 2022), il primo libro mai scritto a due cervelli: quello umano di Rocco Tanica e quello artificiale di OutOmat-B13. L’opera è un botta e risposta tra gli autori, in cui si disquisisce di svariati temi: si va dalle ricette (come quella del pane azzimo) sino al modo per intervistare Dio, passando per argomenti culturali e storici come le piramidi egizie e le origini delle città. Gpt-3 è il nome del software usato dall’autore per la scrittura: è in grado di riconoscere un testo e rielaborare o integrare quello esistente.
Ma come è avvenuta la stesura, come si è evoluta la trama e come si è comportata l’intelligenza artificiale? L’abbiamo chiesto all’autore (uno degli autori!) del libro, Rocco Tanica, che ci ha raccontato tutti i retroscena in questa intervista.
Com’è nata l’idea di scrivere un libro a due «intelligenze», la tua e quella artificiale?
Era l’epoca del primo lockdown, nel 2020. Venni a sapere di uno dei primi siti web a occuparsi di intelligenza artificiale applicata alla stesura di testi, shortlyai.com. Una piattaforma quasi «primordiale» rispetto all’attuale, moderno (noioso, prevedibile) ChatGpt. Consumata la consueta prova gratuita di una ventina di botte e risposte decisi che la cosa era matta e sconclusionata nella migliore delle accezioni, insomma faceva per me. La sera stessa decisi che avrei scritto il primo libro mai pubblicato con questo sistema.
Raccontaci nella pratica com’è avvenuta la stesura.
Le prime settimane sono consistite nel prendere le misure, comprendere il grado d’interazione possibile. Una volta compresi i confini, gli schemi, le reiterazioni e le lacune della programmazione ho cominciato a lavorare sul serio. Avevo in mente brevi racconti, saggi, sciocchezze assortite, pezzi «giornalistici». Semplicemente scrivevo uno, due periodi, poi premevo il tasto Enter e lasciavo che la macchina macinasse ed elaborasse un seguito, un ragionamento correlato, una partenza per la tangente. I risultati erano imprevedibili, a volte frutto apparente di una «intesa» fra la capoccia umana e il microchip, altre una sequenza di pure assurdità. Ma perlopiù tutto aveva senso, con in più il vantaggio di poter buttare via tutto e rifare un numero infinito di volte ottenendo un risultato sempre diverso e sorprendente. Alla fine si è trattato di fare selezione.
Parliamo dei tempi. Quello che mi stai dicendo mi fa pensare che la stesura di un libro in questa maniera richieda molto meno tempo di quanto si possa fare – passami il termine – naturalmente. È così?
In realtà richiede lo stesso tempo se non di più. Scrivendo da solo sei responsabile del frutto delle tue sole stramberie; scrivendo a quattro mani – almeno io mi sentivo così – diventi una sorta di tutore, senti di avere diritto e dovere di intervenire sul risultato complessivo.
Perché hai deciso di realizzare questo progetto?
Per provare stupore. Per vedere come la disciplina si era evoluta dai primi, timidi tentativi in tal senso; ho fatto in tempo a conoscere Eliza, un vecchio software per Mac che simulava l’intelligenza artificiale – cioè simulava un’intelligenza simulata! – rispondendo apparentemente a tono a domande varie, ma in realtà facendo ruotare una serie di risposte generiche random.
Quando la stesura si è conclusa, qual è stata la prima cosa che hai pensato?
Durante tutta la stesura, e in particolare quando il libro era già in stampa, ero terrorizzato all’idea che qualcuno potesse pubblicare qualcosa di simile, ma di bassa qualità, prima di me. Ero convinto dei miei contenuti, credo tuttora di avere messo insieme del buon materiale, vario, convincente; l’idea che uno sforzo del genere potesse essere surclassato da un prodotto dozzinale mi faceva perdere il sonno. Per fortuna le cose sono andate come speravo.
Ho provato a fare anche io un esperimento, ma il risultato che mi è parso di avere è stato: risposte ripetitive, lacune su alcuni argomenti d’attualità, aggiornamento dell’Ai inesistente. Confermi?
Come ripeto, ChatGpt – per l’uso saltuario che ne ho fatto e ne faccio – mi ricorda il compagno di scuola secchione, perbenino, che non vuole offendere nessuno. I limiti posti dalla censura alla base della stesura del programma tengono lontane profanità, humour non politicamente corretto, guizzi di fantasia. Al contrario Shortlyai.com permette di spaziare e ottenere risultati inaspettati, talvolta grotteschi, talvolta ineccepibili, comunque sorprendenti. Il linguaggio di programmazione è lo stesso, Gpt3, ma sicuramente sussistono molti meno vincoli. Una specie di genitore permissivo. Tirando le somme ho il sospetto che tu abbia adoperato perlopiù ChatGpt e potresti cambiare idea, e divertirti di più, su altre piattaforme.
Confermo!
Quindi l’Ai è così intelligente che non c’è stato nemmeno bisogno di editing e correzione bozze per le sue parti?
All’epoca della scrittura, Shortlyai era l’unica piattaforma a restituire un output accettabile in italiano. Ho praticamente sempre lasciati intatti i risultati, tranne nel corso di qualche momentaneo «impazzimento» del sistema che dava tra i risultati parole inventate (che ho spesso utilizzato), verbi coniugati in modo avventuroso, qualche confusione tra singolare e plurale. Quindi certo, ho fatto correzioni ma solo per l’indispensabile, ma ho anche fatto tesoro della possibilità di ricorrere alla funzione «write again», scrivi di nuovo, per affinare il tutto e ottenere, ad esempio, un paragrafo di dieci righe che fosse un simpatico Frankenstein tra la farina del mio sacco e il greatest hits degli spunti forniti dall’Ai.
Parlami della trama. È stato un divenire? Sapevi come iniziava, ma non come sarebbe andata a finire o avevi già la struttura chiara?
Non sapevo come sarebbe andata a finire, mai. Ci sono capitoli – cito Tentati suicidi e Un anno da oggi – in cui un suggerimento dell’Ai, un colpo di coda, una vampata di imprevedibilità mi hanno messo in grado di ribaltare la trama, aggiungere personaggi in extremis eccetera. Trattandosi di macrocapitoli indipendenti tra loro (viaggi, cucina, invenzioni, musica, poesia, fiabe, interviste, varie ed eventuali) ho seguito il consiglio del mio primo editor, Damiano Scaramella, che ha insistito perché ci fosse un filo comune a unire i mondi diversi che componevano il libro: il dialogo tra uno scrittore misantropo e un non meglio identificato «marchingegno» che lo assiste durante la stesura di una serie di articoli in un hotel abbandonato ma diciamo popolato di memorie, figure più o meno inquietanti e/o spiritose, misteri che puoi anche non risolvere e non ti si guasta la vita. Damiano ha portato un esempio «altissimo», al quale non avrei mai saputo accostarmi ma che mi è servito per dare corpo alla narrazione: il dialogo tra Marco Polo e Kublai Kahn in Le città invisibili di Calvino.
Con le immagini com’è andata, invece?
Quando ho un hobby, l’oggetto dell’hobby diventa una fissazione. Nello stesso periodo in cui si cominciava a parlare di Ai in grado di produrre testo, sono rimasto intrappolato nello stesso meccanismo legato alle immagini: partire dalla descrizione di una persona, un oggetto, un paesaggio e tradurla in pixel fino a ottenere una foto, la replica di un dipinto, uno scarabocchio «a matita». Ho cominciato con Hypnogram per poi passare a Dall-E e infine approdare a Midjourney, uno dei miracoli tecnologici più sorprendenti di cui sia stato testimone nella mia vita. Spesso utilizzo questi programmi associati tra loro, per aumentare le possibilità.
Ti ritieni una persona controllata dagli algoritmi? O ti senti padrone della tua vita?
Sono schiavo delle cattive abitudini ma le seleziono con cura, e in autonomia.
C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che volevi dirmi?
Sì, non mi hai chiesto se ritengo questo mio modesto libro fra i capolavori più meritevoli d’acquisto nelle librerie nazionali. Fingendo che tu me lo chieda rispondo: sì, è davvero un ottimo investimento per la persona attenta e quella disattenta, la raffinata e la zuccona, la ricca e la povera (costa poco, diciamo il giusto). A pari merito c’è Maurizio Milani con il suo romanzo Il bambino che faceva digerire gli orsi (Solferino, 2022 [N.d.R.]).
A cura di Antonella Dilorenzo
Foto credits Mauro Negri