Lorenzo Marone: tra libri e ipocondria. Intervista allo scrittore di “Inventario di un cuore in allarme”

 Lorenzo Marone: tra libri e ipocondria. Intervista allo scrittore di “Inventario di un cuore in allarme”

Foto Riccardo Piccirillo

Per un ipocondriaco, la scommessa più grande è quella di smettere di aver paura. Non solo della morte (o della malattia), ma anche della vita. E allora, come mettere a tacere queste ossessioni? Come fare a non “rompere i coglioni a chi ci è accanto?”. Qualche mese fa, in pieno lockdown, abbiamo intervistato Lorenzo Marone. Tra citazioni filosofiche, racconti divertenti e inventari di tutte le paure esistenti, ci ha raccontato un po’ di se e del suo ultimo libro “Inventario di un cuore in allarme”, edito da Einaudi. Buona lettura!

 

Intanto, come stai? Si può chiedere come stai a un ipocondriaco?

Diciamo che cerco di restare in equilibrio e mi sono accorto di essere più in equilibrio di altri (ride).

Parliamo del tuo ultimo romanzo “Inventario di un cuore in allarme”. Perché questo titolo?

Inizialmente si chiamava “Inventario di un allarmista”. Poi, però, con l’editore ci era sorto il dubbio che potesse far pensare a questioni climatiche e quindi abbiamo deciso per “Inventario di un uomo in allarme”. Una sera, chiacchierando con Rossella Postorino (editor di Einaudi, ndr), ci siamo accorti che questo titolo ricordava “cuore in allarme” di una canzone di Dalla. Ascoltammo la canzone e decidemmo per “Inventario di un cuore in allarme”.

Nel tuo romanzo, racconti le tue fragilità, le tue paure, la tua ipocondria. Come mai hai deciso di scrivere un libro autobiografico?

Sentivo l’esigenza di uscire dalla mia zona di comfort. Sono anche uno a cui piace cambiare. Amo poter parlare di tante cose diverse. E poiché credo che la scrittura sia anche qualcosa di terapeutico, ho pensato di utilizzarla per parlare di un mio disagio. Parlo di me, per parlare di tante cose.

In questo libro, dedichi un intero capitolo all’empatia. Quanto è importante l’empatia per te?

È una delle parole mancanti negli ultimi anni. È una delle parole che abbiamo perso. Abbiamo difficoltà a empatizzare, a vestire, cioè, i panni degli altri. E questa, è la cosa che provoca le brutture e le ingiustizie nel mondo. Ultimamente abbiamo costruito la nostra società sulla cultura dell’odio, sull’egoismo. Basterebbe solo capire cosa prova l’altro. Mettersi in ascolto. Ma mettersi in ascolto vuol dire anche fermarsi. Far pace con le proprie paure, frustrazioni, rimpianti.

L’empatia, però, è vero che ti fa vivere in modo più profondo, ma ti provoca anche quel malessere che a Napoli viene definito “appocundria”. Quindi, non è facile.

Sei un uomo curioso?

Sì, sono un uomo curioso che si pone tante domande. E quando inizi una ricerca, le domande alimentano altre domande.
Nel mio romanzo parto dall’ipocondria, che è la cosa contro la quale combatto tutti i giorni, ma lo faccio usando lo sguardo dei miei personaggi, che sono un po’ me. Ma poi, spazio. Parlo di matematica, di scienza, di fede, di filosofia. Parlo delle paure di tutti.

Qual è l’ipocondriaco, tra i personaggi famosi, che più ammiri?

Woody Allen! Lui ha la consapevolezza della morte, che non è da tutti.Avere ben chiara la nostra insignificanza nel tutto, il nostro essere fragili, dovrebbe aiutarci a dare valore al tempo. A rendere la nostra vita degna. A fare in modo di lasciare qualcosa.
Inoltre, amo la sua capacità di affrontare la vita con l’ironia, che diventa strumento necessario a parare le botte, diciamo. Nella scrittura ancora di più perché ti permette di parlare di cose importanti, come certi disagi, ma di farlo con un tono lieve.

Tu riesci a scrivere in momenti di difficoltà?

Io sono sempre in difficoltà! (ride). Se dovessi aspettare il momento tranquillo, pubblicherei un romanzo ogni 10 anni. Invece, sono abituato a fare nonostante questa persistente “nebbiolina”, come la definisco nel mio romanzo. Ecco, uno dei temi che affronto da sempre, già da La tentazione di essere felici, è quello di fare nonostante le difficoltà, gli imprevisti. Solo così, possiamo lasciare un segno nel nostro passaggio terreno.

 Cos’è l’ipocondria? Paura di morire?

L’ipocondria non è paura di morire, ma è paura di vivere, di essere felici, che la felicità ti possa essere sottratta; è anche richiesta di attenzione. Bufalino diceva: “Capita a volte di sentirsi per un minuto felici. Non fatevi cogliere dal panico: è questione di un attimo e passa”.

Nei tuoi romanzi si parla spesso di famiglia.

Sì, perché tutto quello che siamo nella vita, ciò che saremo, lo si stabilisce nei primi 6/7 anni. Per raccontare un personaggio, per far capire bene come vive, come si muove, è necessario che io parli anche del suo passato, è importante risalire alla sua infanzia. Per questo, nei miei romanzi, c’è sempre tanta memoria, tanti flashback, attraverso i quali spiego il vissuto dei personaggi. Ma dico anche che tutto è recuperabile perché esiste sempre la responsabilità soggettiva. Bisogna affrontare il proprio passato, per andare avanti.

Nel mio nuovo romanzo, in uscita a novembre, però, ho voluto fare un cambiamento. C’è pochissimo passato. C’è molto presente. Mi sono quasi dovuto violentare.

Qual è il tuo rapporto con i social?

Questa pandemia ha modificato decisamente il mio sguardo. Utilizzo molto i social per rimanere in contatto con i miei lettori. Per sentirmi amato. In fondo, ho bisogno di attenzioni, sono un ipocondriaco! (ride). Questi mezzi ci consentono di continuare a parlare di libri, di confrontarci, di continuare a fare anche in momenti di difficoltà, come questo.

E il tuo rapporto con i farmaci?

Ne ho moltissimi. Un intero armadio! (ride). Ma non credo nelle benzodiazepine o in certi rimedi da santone, diciamo.

Che cosa è per te la felicità?

Per me, la felicità è associata alle cose banali. Credo sia necessario avere lo sguardo giusto per scorgere quei piccoli momenti di poesia, nel quotidiano. Purtroppo, spesso, siamo alla ricerca della grande felicità e ci perdiamo questi piccoli lampi

Grazie per il tempo che ci hai dedicato. Hai qualcosa da aggiungere?

Amo citare alcuni filosofi. Tra questi, mio nonno. E mio nonno diceva : ‘a capa è ‘na sfoglia ‘e cipolla. Ecco, non dimentichiamolo.

a cura di Claudia Borzi
libraia Mondadori Bookstore Eur di Roma

Foto di copertina Riccardo Piccirillo

Blam

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