Jennifer Guerra: dal “corpo elettrico” al femminismo. Intervista alla scrittrice

 Jennifer Guerra: dal “corpo elettrico” al femminismo. Intervista alla scrittrice

Jennifer Guerra è una giornalista specializzata in tematiche relative ai femminismi, ai diritti LGBTQ+, alle questioni di genere e ai diritti riproduttivi delle donne. Prima articolista (dal 2018), ora anche redattrice di The Vision, ha scritto per Soft Zine Revolution e Forbes. Di recente è stata citata dalla stampa nazionale e internazionale per via della sua inchiesta sui cimiteri dei feti presenti nel territorio italiano. A giugno di quest’anno Guerra ha pubblicato il suo primo libro, intitolato Il Corpo Elettrico: il desiderio nel femminismo che verrà per Edizioni Tlon. Al centro della discussione della giornalista c’è il corpo “ribelle e desiderante, il soggetto da cui dovremmo ripartire, l’unico bene che nessuno può toglierci”. Noi l’abbiamo intervistata.

 

Com’è nata l’idea di scrivere Il Corpo Elettrico?

È nata nel 2018, osservando quello che stava capitando alla politica nazionale e internazionale: c’era sempre più intolleranza, sempre più odio nei confronti delle minoranze. Per la prima volta mi sono sentita vulnerabile, ho sentito i miei diritti di donna in pericolo e ho riflettuto anche sul mio privilegio: nella mia vita sono dovuta arrivare a più di 20 anni, prima di sentire sulla mia pelle il sopruso. Quante persone lo vivono quotidianamente ogni giorno della loro vita?

Cosa intendi quando scrivi che la pratica femminista deve ripartire dal desiderio?

Il desiderio per me è la potenza che il femminismo ha sempre portato all’interno della società, una potenza che spesso parte dalle esperienze, dai vissuti e dalla volontà delle donne che lo mettono in pratica. Rosi Braidotti dice che il femminismo ha a che fare con la potenza e mai con il potere: il desiderio è una forza trasformativa che scardina i paradigmi dell’esistente, che propone un’alternativa.

All’interno del libro parli della differenza – dei corpi e delle persone – come di un concetto che non deve avere necessariamente un’accezione negativa o escludente, anzi. In che modo parlare e sottolineare le differenze può diventare spunto di riflessione per una pratica politica più inclusiva?

Quando diciamo che “siamo tutti uguali” esercitiamo il privilegio di chi può permettersi di non considerare la propria diversità rispetto alla norma come un ostacolo. Esistono tanti assi di oppressione, tante condizioni e storie diverse che pretenderle di amalgamarle in un’unica forma è impossibile, se non sbagliato. Non esiste una normalità in cui tutti possano riconoscersi e che tutti desiderano. Il valore positivo della differenza sta tutto qui.

Il mio avvicinamento al femminismo è avvenuto qualche anno fa all’università, a un corso di Dottrine Politiche tenuto dalla filosofa Adriana Cavarero. Tu invece come ti sei avvicinata ai movimenti femministi? È stato grazie agli ambienti di studio, letture particolari, incontri che hanno lasciato il segno?

La mia adesione al femminismo è stata molto spontanea: da adolescente passavo le mie giornate su Tumblr e lì lessi le prime cose sul femminismo, senza capirci molto. Vengo da un contesto molto provinciale dove la realtà militante non esiste: internet è stata la mia salvezza. Ero affascinata da quel discorso di autodeterminazione, anche perché lo incontrai dopo la fine di una relazione in cui mi ero molto annullata come persona. Poi tutto il resto è stato un percorso di studio e approfondimento individuale, che va avanti ancora oggi.

Partire dal corpo significa anche fare una riflessione su come, e soprattutto da chi, esso sia percepito, giudicato e visto all’interno della società. Nel libro insisti, in particolare, sulla necessità di smarcarsi da una concezione superata, principalmente “estetica”, di corpo femminista: l’autodeterminazione, vale a dire la possibilità di fare del e con il corpo “ciò che più mi aggrada”, passa anche da qui e non sminuisce il valore del mio attivismo, della mia militanza, della mia pratica politica.  Mi stai dicendo che posso essere femminista e depilarmi le gambe allo stesso tempo?

Esattamente. Aggiungerei anche che siamo tutte umane, che viviamo in una società che ci condiziona e ci influenza più di quanto ci piaccia ammettere. Il femminismo non ha delle tavole della legge, a volte bisogna fare dei compromessi. Per questo provo sempre un po’ di sospetto verso chi considera il femminismo una gara di purezza.

Nel terzo capitolo del Corpo elettrico affronti concetti molto importanti e complessi come il non binarismo, l’intersessualità e la transessualità, che però forse rimarrebbero chiusi all’interno di specifiche “bolle” (sociali e non) di discussione se non fosse per la visibilità che viene loro data dalla cultura pop e mainstream: penso a film e serie televisive, pagine Facebook e Instagram o a personalità note che prendono parte attivamente al dibattito. Credi anche tu che la risonanza data da questi strumenti e persone possa influire sul discorso pubblico intorno a questi temi? Come per dire, una parte per il tutto.

Senz’altro, anche perché il rischio è che questi temi siano percepiti solo come dei dibattiti teorici, quando in realtà riguardano delle persone in carne ed ossa. Vederle, sentire le loro storie, scoprire la loro “normalità” è fondamentale per capire che le persone queer sono innanzitutto persone, che vivono sul nostro stesso pianeta, frequentano i nostri stessi ambienti.

Parlando di uno dei tanti modi in cui è possibile agire nel mondo e rivendicare i propri diritti, dici: “al modello della forza preferisco quello della rabbia”. Perché questa scelta?

È una scelta di carattere: sono una persona con un temperamento molto mite, la forza non mi appartiene. Ma è anche una questione più ampia: la nostra società ha una componente molto performativa, bisogna dimostrare in continuazione di valere abbastanza e la vulnerabilità e la debolezza sono molto biasimate. La rabbia, invece, scaturisce dall’oppressione, dalla marginalità, e si può esprimere in molti modi. Inoltre sulla rabbia c’è anche una storia secolare di stigma: la donna arrabbiata è pazza, è isterica, è mestruata. E bisogna rivendicare il diritto a esserlo.

Spesso e volentieri si prova disorientamento e confusione quando, a digiuno completo di studi di genere o letture femministe, si decide di avvicinarsi a questi temi. Da chi o cosa dovrebbe iniziare chi si trova a fare i primi passi in questi terreni complicati? Ci sono libri, serie tv, documentari, podcast, profili social che consiglieresti?

Senza dubbio la mole di contributi femministi è molto ampia. Io come primo approccio al femminismo consiglio, per chi è proprio a digiuno, Manuale per ragazze rivoluzionarie di Giulia Blasi. Mentre per chi è interessata a capire la storia e ad avvicinarsi alla teoria femminista, un testo molto utile è Le filosofie femministe di Adriana Cavarero e Franco Restaino. Un’altra fonte interessante è il documentario She’s Beautiful When She’s Angry di Mary Dore.

a cura di Alessia Cito

 

Alessia Cito

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