“Invernale? Un atto di celebrazione e ringraziamento di mio padre, di ciò che è stato e ancora è per me”. Intervista a Dario Voltolini

 “Invernale? Un atto di celebrazione e ringraziamento di mio padre, di ciò che è stato e ancora è per me”. Intervista a Dario Voltolini

In Invernale (La nave di Teseo, 2024) Dario Voltolini – finalista del premio Strega 2024 – racconta la vicenda personale di suo padre mancato anni fa a causa di un linfosarcoma, e instaura con la figura paterna un dialogo che trascende le dimensioni che li separano. Abbiamo posto alcune domande all’autore di Invernale ed è nata un’interessante conversazione che ruota intorno al ruolo della scrittura nel definire la realtà, non solo tangibile, dei rapporti e dell’esistenza umana.

Cosa significa per lei aver finalmente dato forma tramite la scrittura a questa sua vicenda personale?

Significa molto, su due livelli. Il primo, intimo, personale e emotivo; il secondo poetico e professionale. Per me intimamente è stato un atto di celebrazione e ringraziamento di mio padre, di ciò che è stato e ancora è per me. Una questione tra me e lui, come un patto che si rafforza. Poeticamente e professionalmente è stato una specie di messa a frutto di tutto quello che ho imparato in anni di scrittura. Mi sono fidato della mia capacità di gestire il mio strumento, che è la scrittura, in modo da permettermi di scrivere di getto e senza costruzioni preparatorie questo libro, che nel giro di meno di due mesi era finito e che sostanzialmente è rimasto così come l’ho scritto, cioè «buona la prima». Negli anni passati non credo che sarei riuscito a scriverlo così.

Nello scrivere del proprio padre, si è confrontato – per contrasto o per analogia – anche con la scrittura di altri autori che hanno altresì raccontato della propria figura paterna? Se sì, quali?

Francamente devo rispondere di no. Sono entrato in una specie di dimensione separata, una sorta di bolla, dove mi sono confrontato con i miei ricordi di lui e di quegli anni con il solo aiuto della mia scrittura. Però devo riconoscere che senza il continuo confronto con un gruppetto di scrittori che stimo e con cui ho una profonda amicizia, questa fiducia nei miei mezzi non credo che l’avrei avuta.

Sin dall’inizio la sua scrittura insiste in modo particolare sulla materialità della carne, su ciò che è tangibile, eppure alla fine viene fuori anche una parte intangibile, l’ignoto. Quale ruolo ha la letteratura in questa dicotomia tra ciò che è reale e vivo e ciò che ci è oscuro?

Credo che la letteratura viva esattamente dentro questa dicotomia, cresca tra questi due poli. Non solo la letteratura, naturalmente. Anzi, siamo proprio noi umani che viviamo dentro quella dicotomia. La letteratura però ha questa caratteristica meravigliosa che le altre arti forse non hanno, cioè che il suo strumento è il linguaggio e il linguaggio, senza umani, non ci sarebbe (forse anche la danza è così). «Chi scrive usa uno strumento intangibile che per sua natura può avere a che fare in modo vitale con la vita e con la morte, con la luce e con il buio» (per dirla con l’autore che più amo, Antonio Moresco).

Crede che scrivendo Invernale sia giunto a una sorta di risoluzione di questa storia che riguarda suo padre così come anche lei stesso?

È stato un momento fondamentale, ma non credo risolutivo. Mi spiego, tutto il libro converge su una cosa abbastanza misteriosa, e cioè sulla possibilità che un rapporto continui a sussistere anche quando uno dei due poli non c’è più. In questo senso, l’ultima cosa che mi auguro è di aver risolto qualcosa nel senso di poterci non pensare più, di chiudere una questione. Voglio che il rapporto tra noi resti ancora aperto.

Consegnando la storia di Invernale ai lettori, cosa si augura che essi trovino leggendola?

Ho conosciuto molti lettori di Invernale, molti di più di quanti avessi conosciuto finora. Mi ha sorpreso e radicalmente commosso che per molti la lettura del libro, benché parlasse di esperienze dolorose vissute anche da loro (o anzi proprio per questo), sia stata di conforto e di vicinanza. Io credo che un’opera creativa proprio per il fatto di essere stata creata sia un incremento di vita, a prescindere da ciò di cui parla. Se così è stato, sono molto felice. Mi auguro quindi che questo trovino nel libro i lettori.

Cosa ha significato per la sua carriera letteraria essere stato uno dei finalisti del premio Strega? Lo considera un punto di forza o di debolezza?

Di forza. Anche solo partecipare alla finale lo è stato.

 

A cura di Vincenza Lucà

Blam

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