Il libro degli abbracci di Eduardo Galeano raccontato in 10 punti dal suo traduttore Fabrizio Gabrielli
Il libro degli abbracci (Sur, 2024; Traduzione di Fabrizio Gabrielli) di Eduardo Galeano non è un romanzo. Non è un saggio. Non è un almanacco – non fino in fondo –, non è una raccolta di racconti e non è un memoir. Se in linea di massima definire qualcosa per sottrazione, per scarnificazione, attraverso una sterminata lista di cosa-non-è finisce per dimostrarsi un esercizio sterile, ecco: con Galeano un vuoto in qualche modo serve, perché è funzionale a essere riempito con due parole, che sono Eduardo e Galeano. Il libro degli abbracci è un oggetto (anche e soprattutto narrativo) galeanico: centonovantuno pretesti per fermarsi a riflettere, sorridere, ricordare, per amareggiarsi e illudersi, per provare a dimenticare e scrollare dalla testa i pensieri negativi con il potere magico che hanno i baci sulle palpebre dati da chi ci vuol bene. O il calore di un abbraccio.
Il libro degli abbracci di Eduardo Galeano
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Tutte le strade portano a un abbraccio (suggerimenti di approccio).
Se idealmente leggessimo Il libro degli abbracci con regolarità, un frammento al giorno, passeremmo in compagnia del libro un semestre, e poco più. Attraverseremmo due stagioni, accompagnati da un ideale calendario dell’Avvento che non celebra nessuna rincorsa, ma in cui la ricompensa è tutta – in fondo come in ogni calendario dell’Avvento – nel valore stesso dell’attesa, nella piccola dolce quotidiana mercede. Il libro degli abbracci può spiazzare, può stupire, oppure può semplicemente dare all’esperienza Galeano una compiutezza.
Se avete amato l’iconoclastia verso il turbocapitalismo dell’Occidente di Le vene aperte dell’America Latina, in Il libro degli abbracci troverete la stessa condanna ferma, ironica ma non per questo meno agguerrita. Se avete conosciuto Galeano attraverso la sua passione futbolera, in Il libro degli abbracci troverete la stessa gioia ragazzina ed ecumenica per un gol segnato, per il ricordo di una giocata strepitosa, e la stessa delusione distruttiva per un tunnel subito. Nel Galeano di Il libro degli abbracci c’è tutto questo, più l’esplicitazione di un sentimento che nelle altre sue opere più famose è solo implicito e latente: l’amore.
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L’esergo
«RICORDARE: Dal latino re-cordis, tornare a passare dalle parti del cuore».
Come scrive Maurizio De Giovanni nella prefazione: «Galeano intinge la penna nel cuore, e non potrebbe fare diversamente. Lui così cardiaco, accorato, profondamente partecipato e assolutamente emozionato, commosso, capace quindi di emozionare e commuovere». Ogni abbraccio di Galeano è un arpeggio alle corde del cuore, perché cristallizza il momento di estrema emozione in cui ci si ritrova o ci si lascia per sempre, in cui ci si sente parte di un Tutt’Uno, in cui si disegna la continuità ritmica, cardiaca, dello stare al mondo.
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La copertina
Le copertine di Il libro degli abbracci sono sempre state, nelle sue edizioni originali tanto quanto nelle precedenti traduzioni italiane, piuttosto austere, minimali, impreziosite da un pittogramma galeanico – tradizionalmente quello della tuba da cui fuoriesce una mano.
Nell’edizione di Sur, invece, flamboyante straborda un’effusione policromatica, il tratto distintivo dell’arte di Coco Cano, che di Galeano è stato amico e che restituisce appieno il senso di opulenza emozionale che si dipana da ogni abbraccio, e che a ogni abbraccio conduce (qua c’è una bellissima intervista a Coco Cano, di Rocío Ciraldo).
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I titoli, che sono i temi, che sono i pretesti
C’è la funzione dell’arte e la passione di dire; la celebrazione della voce umana e la burocrazia. Sogni, molti sogni: quelli di Helena, quelli dimenticati, quelli a cui si dice addio. Ci sono muri che parlano – e che dicono tutta la verità –, c’è la memoria e la dismemoria, la paura, la cultura del terrore. La celebrazione della soggettività – perché non c’è niente di peggiore degli idioti dell’oggettività – e quella del silenzio. Ci sono Onetti, Arguedas, Neruda, Cortázar, Allende. C’è una casa, e poi di colpo l’esilio, che quella casa te la fa perdere, o te ne fa trovare di altre. C’è l’amicizia, e poi il coraggio. Che a volte è solo il coraggio di avercelo, del coraggio.
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I disegnetti
Surreali, mistici, a tratti weird, in Il libro degli abbracci ci sono tutta una serie di disegnetti, incisioni, pittogrammi tanto distanti dalla didascalicità quanto la dimensione onirica lo è dalla realtà. Molti sono opera dello stesso Galeano, che in fin dei conti ha esordito nell’editoria proprio da illustratore – si firmava Gius, che era la trasposizione fonetica del cognome del padre, Hughes. Molti non sanno, però, che alcune delle incisioni sono invece opera di José Guadalupe Posada, messicano famoso soprattutto per le sue rappresentazioni di calaveras, teschi con i quali rappresentava satirizzandola la borghesia di inizio Novecento (pensate all’immagine più famosa della calavera de la Catrina: ecco, è di Posada). Ottime idee per tatuaggi strambi (il mio preferito è lo scolaretto con la testa da polpo che accompagna i brani della serie La cultura del terrore). https://www.instagram.com/p/DD63wnXoaTH/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA==
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I reportage
Santiago del Cile, L’Avana, Quito, Caracas e Rio. New York, Buenos Aires, Bogotà, Città del Messico, Managua e ovviamente Montevideo: ogni città, per Galeano, non è solo il teatro in cui va in scena l’ennesima replica delle storture dell’America Latina, ma anche il palcoscenico su cui si muove un’umanità viva, pulsante, che balla la cumbia della vita cercando di dimenticare per un momento – o trascinando dietro di sé – l’ingombrante bagaglio dei ricordi, delle eredità, dei sogni.
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L’importanza della voce
Il libro degli abbracci, se lo leggi a voce alta, senti risuonartelo dentro. Mentre lo traducevo mi sono dapprima imposto, poi serendipicamente trovato a non poterne fare a meno, di ascoltare la voce di Eduardo mentre lo leggeva. Nella cadenza, nelle pause, si amplifica l’importanza della parola cristallizzata nell’inchiostro, il potere evocativo, quello che nella Bibbia si chiama davar: il potere taumaturgico della parola.
https://open.spotify.com/intl-it/album/07gzoe1OUJWiRX79QRkG1w
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Galeano duro e puro
La condanna del sistema, la voce restituita ai reietti, ai senzaniente, ai nessuno: Galeano è stato il megafono di voci represse, flebili, ammutolite. Dei nessuno:
«Le pulci sognano di comprarsi un cane, e i nessuno di scappare dalla miseria: sognano che un magico giorno, all’improvviso, piova loro in testa la fortuna, che piova a catinelle. Ma la fortuna non è piovuta, né piove, né pioverà mai, neppure a goccioline cade mai la fortuna, per quanto i nessuno la invochino, neppure se gli pizzichino la mano sinistra o si alzano dal letto col piede giusto, o iniziano l’anno nuovo cambiando la scopa.
I nessuno: i figli di nessuno, i padroni di niente.
I nessuno: i senzaniente, i reietti, quelli messi alle strette, quelli che gli muore la vita, fottuti, strafottuti:
Che ci sono senza esserci.
Che non parlano lingue, ma dialetti.
Che non professano religioni, ma superstizioni.
Che non fanno arte, ma artigianato.
Che non hanno la cultura, ma il folklore.
Che non sono esseri umani, ma risorse umane.
Che sono braccia senza un volto.
Che sono numeri, e non hanno nome.
Che non figurano nella Storia universale, ma solo nella cronaca nera della stampa locale.
I nessuno, che costano meno della pallottola che li uccide».
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Scioglievolezza galeanica
Nell’epoca della riproducibilità tecnica delle emozioni, lo stupore è un sentimento che abbiamo imparato a disimparare. Ma nel figlio di Santiago Kovadloff che vede per la prima volta il mare, beh, ci verrà facile immedesimarci. Il frammento che lo narra si chiama La funzione dell’arte/1, ma visto che per fortuna non è necessaria la consequenzialità di lettura suggerisco di tenerlo per un momento successivo, magari uno in cui ci si sente davvero pronti a versare una catinellata di lacrime.
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La citazione da tatuarsi (o da mettere su una tote bag)
In una delle vite che ho vissuto, mentre dirigevo alberghi e ristoranti, scelsi come esergo per la carta dei vini questa frase: «Siamo tutti mortali fino al primo bacio, e al secondo bicchiere, e questo lo sa chiunque, per quanto poco sappiamo del mondo». Oggi me la tatuerei. Per chi non si sente pronto a un passo così bold, comunque, Sur ne ha fatto delle tote bag clamorose, per dire.
A cura di Fabrizio Gabrielli