“Molta follia è suprema saggezza per un occhio che capisce”, intervista impossibile a Emily Dickinson
Non sapendo quando l’alba possa venire
lascio aperta ogni porta,
che abbia ali come un uccello
oppure onde, come spiaggia.
Emily Dickinson, Non sapendo quando l’alba possa venire
Emily Dickinson è stata una delle più grandi poetesse di tutti i tempi. Ha avuto una vita priva di avvenimenti esterni, poiché dopo i trent’anni ha scelto di isolarsi nella casa paterna. Iniziò a scrivere negli anni Cinquanta del diciannovesimo secolo, quando nel New England si stava sviluppando un’intensa attività letteraria e la poesia diventava il genere più popolare. Dickinson ha avuto una personalità molto particolare. Si dice che vestisse esclusivamente di bianco, simbolo di purezza, e non uscì dalla sua stanza neanche quando i suoi genitori morirono. La solitudine favoriva l’immaginazione e veicolava la felicità. Tuttavia, ha mantenuto sempre una fervida corrispondenza con personalità da lei selezionate.
Abbiamo immaginato di bussare alla sua porta, rapirla dall’isolamento, per chiederle della vita e della letteratura. Questa è la nostra intervista, necessariamente fantastica!
Signora Dickinson, la ringrazio per aver deciso di prendere parte a quest’intervista. È considerata una delle poetesse più amate.
«È un pomeriggio glorioso il cielo è azzurro e caldo, il vento soffia giusto quel tanto che basta per tenere le nuvole in movimento, e la luce del sole. Oh che luce del sole, non come l’oro, perché l’oro è una pallida eco al confronto; non è come nulla di ciò che tu e io abbiamo mai visto! Essere ricordati è quasi come essere amati, ed essere amati è il paradiso».
Di lei non si sa molto, ma si dice che sia sempre stata una persona piuttosto chiusa nel suo mondo. Si è mai sentita «diversa»?
«La vita intera mi sembra diversa, e le facce dei miei simili non sono le stesse. Credo che il motivo sia questo: il mondo sembra guardarmi fisso, e mi accorgo di aver bisogno ancora di più di un velo. La strega fu impiccata, nella storia, / ma la storia e io / troviamo le arti magiche / di cui abbiamo bisogno, giorno dopo giorno».
Ha mai sofferto di solitudine?
«Sarei forse più sola senza la mia solitudine. Ci vuole poco a dire quanto si è soli – chiunque può farlo, ma portare la solitudine accanto al cuore per settimane, quando dormi, e quando sei sveglia, con sempre qualcosa che ti manca, questo, non tutti riescono a dirlo, e mi sconcerta. Ne dipingerei un ritratto che indurrebbe alle lacrime, se avessi la tela per farlo, e la scena sarebbe la solitudine, e le figure – solitudine – e le luci e le ombre, ciascuna una solitudine. Potrei riempire una stanza con paesaggi così solitari, la gente si fermerebbe là a piangere; poi andrebbe di fretta a casa, per ritrovare una persona amata».
L’isolamento le ha mai impedito di conoscere altre persone al di fuori della sua stanza?
«I miei amici sono il mio “patrimonio”. Mi perdoni quindi l’avidità con cui ne faccio incetta! Si dice che quelli che un giorno erano poveri, guardano all’oro con un punto di vista diverso. Non so come succede. Dio non è diffidente come noi, altrimenti non ci darebbe amici, per paura che ci si dimentichi di lui!».
I libri sono stati una compagnia utile?
«Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane. Sono lieta che ci siano i libri. Sono migliori del cielo perché quello è ineluttabile mentre di questi si può fare a meno».
Le sue poesie sono molto singolari, ci potrebbe svelare come nascono?
«Perché nasca una prateria, bastano un trifoglio, un’ape e un sogno. E se non ci sono le api e il trifoglio, può bastare anche il sogno. Per fare un prato bastano un trifoglio, un’ape, un trifoglio, un’ape e un sogno. Può bastare il sogno se le api sono poche».
Come ha vissuto il dolore?
«Parlando ci feriamo di meno l’uno con l’altro rispetto allo scrivere, perché in quel caso un accento tranquillo assiste le parole troppo dure. Il mio cuore sanguina così spesso che non farò caso all’emorragia, e aggiungerò solo un’altra agonia alle tante che l’hanno preceduta, e alla fine della giornata commenterò che è scoppiata una bolla di sapone».
Si dice che i migliori versi nascano dalla sofferenza, reputa questa frase vera?
«Dopo un grande dolore viene un senso solenne, i nervi stan composti, come tombe. Il cuore irrigidito chiede se proprio lui soffri tanto? Fu ieri o qualche secolo fa? I piedi vanno attorno come automi per un’arida via di terra o d’aria o di qualsiasi cosa, indifferenti ormai; una pace di quarzo come un sasso. Questa è l’ora di piombo e chi le sopravvive la ricorda come gli assiderati rammentano la neve; prima il freddo, poi lo stupore, infine l’inerzia. Lavoro per scacciare lo sgomento, eppure è lo sgomento a costringermi a lavorare».
Ho una piccola curiosità personale, lei ha mai pianto?
«Piangere è una piccola cosa / cosa tanto breve un sospiro. / Ma cose di tale grandezza / uccidono uomini e donne».
Si è mai reputata folle?
«Molta follia è suprema saggezza per un occhio che capisce. Molta saggezza, la più pura follia».
Cosa pensa della morte? Ne ha paura?
«Noi che abbiamo l’anima moriamo più spesso. L’anima per sé stessa è un’amica imperiale o la più angosciante spia che un nemico possa inviare. Cosa penso della morte? La morte è un dialogo fra lo spirito e la polvere. “Dissolviti” dice la morte, lo spirito “Mia Signora, io ho un’altra fede”».
E dell’amore?
«Che sia l’amore tutto ciò che esiste, è ciò che noi sappiamo dell’amore, e può bastare che il suo peso sia uguale al solco che lascia nel cuore».
Cosa direbbe alle nuove generazioni di oggi?
«Educa un cuore alla strada che dovrebbe fare e appena potrà devierà da essa».
Le citazioni contenute in questa intervista sono tratte da:
- Emily Dickinson, Poesie, Mondadori, 2023
- —, Lettere, Feltrinelli, 2018
A cura di Cristina Stabile