Chi siamo nei ricordi degli altri? Paolo Di Paolo ci racconta in 10 punti il suo libro “Romanzo senza umani”
Chi siamo nei ricordi degli altri? È questa la domanda centrale dell’ultimo libro di Paolo Di Paolo, Romanzo senza umani, edito da Feltrinelli. A porsela è Mauro, uno storico che ha dedicato tutta la sua vita a esaminare il lago di Costanza, in Germania. Una mattina si sveglia con un pensiero insolito: rispondere alle mail dimenticate da anni nella sua casella di posta elettronica. Vuole chiedere agli altri – uno studente incontrato per caso, l’amore di una vita, vecchi amici persi di vista – quale immagine di sé è conservata nel loro archivio personale. È una resa dei conti tardiva. Un tentativo di venire a patti con una vita composta da frammenti, per dare forma a qualcosa che resti.
Le domande, così, arrivano a moltiplicarsi: è possibile aggiustare un ricordo? Si può far coincidere la nostra visione dei fatti con quella degli altri? E in quale istantanea si nasconde, alla fine di tutto, il nostro lato più autentico, la verità su noi stessi?
Nel suo nuovo romanzo, l’autore srotola il filo di questi interrogativi con una straordinaria lucidità emotiva e, nel farlo, racconta la paura di sparire nelle pieghe di una storia che ci sfugge senza rimedio.
A parlarcene, oggi, è proprio Paolo Di Paolo.
Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo raccontato da Paolo Di Paolo in 10 punti:
1 – contraddizione
Il titolo Romanzo senza umani viene smentito dal contenuto del romanzo stesso. È quasi una contraddizione in termini, poiché un romanzo privo di umanità è impossibile. Qualunque sia l’argomento, la prospettiva, la trama, il paesaggio, c’è uno sguardo di essere umano dietro a ogni parola.
2 – provocazione
Sul frontespizio c’è un timbro che dice: «Questo romanzo non è prodotto da una intelligenza artificiale». Non è una petizione contro la tecnologia, è semplicemente una dichiarazione di specificità: con tutte le loro falle, i difetti, le insufficienze, queste pagine sono la creazione di un essere umano.
3 – direzione
C’è un tentativo di andare nella direzione opposta a quella della distopia, che mi pare troppo invadente nella produzione narrativa. Invece di immaginare una catastrofe climatica nel futuro, l’ho cercata nel passato. La piccola era glaciale di quattro secoli e mezzo fa.
4 – stile
C’è una oscillazione continua tra tardo Cinquecento e contemporaneità, in un modo che spero sia poco convenzionale, anche graficamente.
5 – tema
La domanda perno del romanzo è la seguente: che cosa ricordano gli altri di noi? Se proviamo a porcela, il film o il romanzo della nostra esistenza cambia, diventa qualcos’altro. Un paesaggio inesplorato.
6 – citazioni
Il romanzo ha due epigrafi che funzionano da speciale segnaletica, o da talismani. Una di Virginia Woolf, bellissima e struggente. L’altra di Peter Handke, ed è questa: «Non ignorare mai quel che un albero o uno specchio d’acqua hanno da dirti».
7 – luogo
Per scrivere questo romanzo ho fatto diversi sopralluoghi intorno al lago di Costanza, che è centrale nella storia. E mi è piaciuto provare a scrivere un reportage di viaggio in un romanzo, con più dettagli possibili, sensazioni, cambi di luce, odori che restano nell’aria, voci…
8 – ispirazioni
Non scrivo quasi mai ascoltando musica, mi distrae. Ma in questo romanzo due o tre pagine sono nate grazie a Life on Mars? di David Bowie.
9 – autoreferenze
Ho prestato al protagonista, uno storico di mezza età, la mia fascinazione per la Storia: per la storiografia come misterioso equilibrio tra memoria e immaginazione. Che significa «vedere» un lago ghiacciato nel tardo Cinquecento?
10 – fine
L’ultima frase l’ho avuta in testa presto, ben prima di arrivare alla fine del libro. Dice così: «Esiste solo il presente».
A cura di Paolo Di Paolo e Rebecca Molea