Vuoto d’aria di Clémentine Haenel: la salvezza è altrove. Recensione
Vuoto d’aria (Alter Ego, 2022) è il romanzo d’esordio della venticinquenne parigina Clémentine Haenel. È una storia di ricerca di armonia con il mondo, che muove dal disagio totale che la protagonista sperimenta nei confronti del luogo in cui è nata e cresciuta. La violenza, le relazioni crude con uomini maneschi, i viaggi inconcludenti, il crollo e il ricovero in un ospedale psichiatrico sono le tappe di uno schianto dal quale sembra impossibile riaversi. Eppure un nuovo viaggio, la rinascita in un altro Paese, un ultimo, sincero, amore sono la dimostrazione che è nella semplicità dell’imprevisto che si può trovare la via d’uscita ai propri cortocircuiti.
Vuoto d’aria di Clémentine Haenel: la trama del libro
La protagonista senza nome è una ragazza in conflitto con il proprio ambiente, Parigi e i suoi abitanti, al punto di immaginare continuamente di aggredire le persone che incontra. Il suo smarrimento la porta a sviluppare un’ossessione per i serial killer francesi – dei quali conosce in dettaglio le storie –, all’alcolismo e a fare una serie di incontri con uomini dai quali subisce violenza fisica. Tra questi c’è X., un trentenne sposato, con il quale la protagonista instaura, per un breve periodo, una relazione incentrata sulla fisicità e sulla sottomissione. Quando la loro storia finisce, la ragazza viene ricoverata in un ospedale psichiatrico, dove, per via delle dosi massicce di farmaci, perderà sempre di più la lucidità mentale. Durante il ricovero si lega a Y., un altro ospedalizzato con il quale intreccia una relazione violenta, al termine della quale lui quasi la strangola. Una volta dimessa, la protagonista rientra nel mondo e scopre di essere incinta. Abortisce, ma l’esperienza di aver sentito qualcosa dentro la spinge ad andare avanti. Trova lavoro come baby-sitter presso una ricca famiglia parigina e, in qualche modo, riprende a vivere: «Mi sento viva. Rimpiango la condizione di prima; l’assoluta tristezza che funge da anestetico nel mondo, i sogni in cui mi trattengo dal piangere. Adesso, mi tengo occupata, o meglio mi tengono occupata».
Ma il vero momento di rottura è un viaggio in Svezia, un Paese che percepisce diverso dalla Francia e da Parigi, e dove conosce Z., un ragazzo dolce, distante dagli uomini che aveva incontrato prima: «[…] le persone adorano dominare il mio corpo, ma Z. non prova nemmeno per un momento a farlo». Accanto a Z., la protagonista sente finalmente che per vivere non ha bisogno di invidiare la vita di nessun altro.
La salvezza è altrove
La protagonista è una ragazza che non sa dove andare: «Spesso salgo su degli autobus a caso. Spero che mi avvicineranno alla mia destinazione, ma accade di rado». Subisce il proprio ambiente, se ne percepisce aliena ed è convinta che l’unico modo per esprimere questa estraneità sia facendo esperienza della violenza in varie forme: la cattiveria che sfocia negli istinti omicidi, le storie dei serial killer francesi, il sesso aggressivo con uomini che non le piacciono, i viaggi inutili a Londra e New York. La violenza diventa l’unico modo di esistere, il solo modo di vivere se non i sentimenti quantomeno le sensazioni: «Rivedo alcune scene. Quella dei primi colpi, sempre dietro la testa i primi colpi, poi quello che mi arriva dritto al naso, io che rido perché non sanguino, io che so che li ucciderò tutti quanti perché alla fine è così, il dolore mi dà piacere». A interrompere questa spirale di autodistruzione è il viaggio in Svezia, un viaggio di inaspettato avvicinamento a sé, perché è qui, – in questo spazio amichevole, pulito, in quest’altrove non deteriorato – che la protagonista riconoscerà la sua vera casa: «Non aspiro ad altro che a giorni teneri, momenti di campagna che odorino di foglie e di erba, istanti di sole che scaldi la pelle degli avambracci. Z. mi promette che mi porterà ad Amorgos a vedere finalmente quei colori che esistono soltanto nella mia immaginazione». È nell’incontro semplice con il ragazzo svedese, il cui nome inizia con l’ultima lettera dell’alfabeto, che si chiude la ricerca della protagonista.
La scrittura di Clémentine Haenel in Vuoto d’aria
Clémentine Haenel fa parlare la sua protagonista con una voce intermittente; le piccole pause dentro la follia sono registrate attraverso una scrittura paratattica: «Il mio linguaggio è fuori controllo. Non riesco a fermarmi. Non parlo più con le persone, parlo da sola, ma mai nel vuoto, è un flusso senza fine. Non so da dove venga tutto questo fluire, queste affermazioni. Mi spiego “parlo da poco” e giustifico la mia frenesia, mi ricompongo. Il che, stranamente, intimidisce». Il registro, invece, permette al lettore di inquadrare il personaggio, la sua cultura, il suo ambiente. Il romanzo è scandito in paragrafi corti, minimi, che sembrano frammenti sparsi a terra e che da terra riemergono, ricomposti, come la protagonista.
A cura di Flavio Capperucci