Vi avverto che vivo per l’ultima volta di Paolo Nori: la semantica della cultura russa. Recensione
«La letteratura è un cortile» dice Walter Mauro nel titolo di uno dei suoi romanzi, per suggerire che quello letterario è uno spazio di relazione, in cui si modella a un tempo la realtà e la sua trasfigurazione artistica. Sotto alcuni aspetti, tale visione si ritrova nell’ultimo romanzo di Paolo Nori Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova (Mondadori, 2023), nel quale il lettore è chiamato ad assistere a un dialogo tra due diversi universi culturali: la Russia e l’Italia.
Vi avverto che vivo per l’ultima volta di Paolo Nori: la trama del libro
«Vogliamo raccontare la storia di Anna Achmatova, una poetessa russa nata nei pressi di Odessa nel 1889 e morta a Mosca nel 1966. Anche se Anna Achmatova voleva essere chiamata poeta, non poetessa, e non si chiamava, in realtà, Achmatova, si chiamava Gorenko». Questo l’intento dichiarato del romanzo.
È il 24 febbraio 2022: la Russia invade una parte dell’Ucraina e il mondo rimane con il fiato sospeso. Immediatamente, come fosse una conseguenza naturale, nell’opinione pubblica mondiale si fa strada una tendenza alla «demonizzazione della Russia». Più precisamente, della cultura russa, quella con cui Paolo Nori – insegnante, traduttore, nonché avido studioso della lingua e della cultura russe – si confronta quotidianamente. Pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione, Nori viene informato che le quattro lezioni dedicate a Dostoevskij in programma presso l’università Bicocca di Milano sarebbero state annullate. La notizia sconvolge lo scrittore, che inizia a riflettere sulle motivazioni e sulla legittimità di un simile provvedimento, mentre il pensiero di essersi innamorato di una cultura «diversa» in un’epoca in cui ciò non è ammissibile comincia a farsi spazio nella sua coscienza: «Io, che da Mosca partissero dei missili diretti a Kiev o a Odessa, non lo capivo, perché io Kiev la conoscevo dalla letteratura russa, e sapevo, dalla letteratura russa, che il Dnepr è così grande che le aquile che lo vogliono attraversare quando arrivano a metà tornano indietro, e non capivo come i russi potessero bombardare quelle città delle quali mi avevano fatto innamorare, e che l’unica cosa che sapevo era che mi veniva da piangere».
Il racconto della biografia di Anna Achmatova costituisce il fulcro del romanzo solo in apparenza: la storia della poeta russa, perseguitata dallo stalinismo ed esclusa dall’Unione degli scrittori, è un pretesto per riflettere sul rapporto tra ideologia e letteratura. Quella di Nori è un’inchiesta metaletteraria che interroga l’Occidente sui suoi valori, costruendo un dialogo continuo tra Russia e Italia, XX e XXI secolo.
La semantica della cultura russa
«Se dovessi dire cosa ho capito nei miei studi universitari, direi che, principalmente, ho capito cosa sono significante e significato. Che sono, mi sembra di aver capito, il suono e il senso. Che si influenzano l’uno con l’altro. Che non esistono sinonimi, mi sembra di aver capito, e che una cosa detta in un altro modo significa un’altra cosa. E che però il significante, anche da solo, senza significato, può produrre degli effetti duraturi».
La semantica è quella branca della linguistica che studia il significato del linguaggio, al di là degli aspetti puramente fonetici e morfologici. Occuparsi del «senso» di qualcosa presuppone l’analisi del non visibile, del linguaggio come sentimento intimo, come espressione di una identità, i cui confini esistono sempre in relazione all’altro. L’orizzonte semantico di Paolo Nori si sposta oltre quei confini: l’autore cerca un’affinità elettiva tra sé stesso e Anna Achmatova come rappresentanti, entrambi e rispettivamente, delle culture che interpretano. Tra letteratura e contemporaneità l’autore propone un itinerario che si districa fin nel «sottosuolo», mostrandone soprattutto le zone d’ombra. Nori, parallelamente a quella di Anna Achmatova, narra anche la sua biografia e il percorso che lo ha portato alla passione per la Russia e la sua cultura. E non è di certo un caso che il primo libro russo letto da Nori sia stato Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, la cui colpa è quella «di essere russo. Anche se è morto nel 1881. È una colpa che non si prescrive. È russo, e va punito». Alla fine, in quel sottosuolo, non resta che affrontare la propria paura, e guardare la letteratura ridotta in cattività: «Con la letteratura russa, è uguale. Come fanno a tenerla prigioniera?».
La scrittura di Paolo Nori in Vi avverto che vivo per l’ultima volta
Paolo Nori sceglie di raccontare la propria esperienza autobiografica e quella di Anna Achmatova avvalendosi del racconto metaletterario. Attraverso la letteratura, il cui significato profondo si preserva nonostante il tempo, l’autore è capace di descrivere una contemporaneità acerba e sbiadita. Le poesie e le citazioni che ricorrono nei capitoli rendono il romanzo un elogio, non solo ad Anna Achmatova, ma alla letteratura russa in generale.
A cura di Sara Gasperini