Tredici lune: il contro-romanzo sulla pandemia di Alessandro Gazoia. Recensione
Alessandro Gazoia, editor freelance che ha seguito la saggistica di minimum fax e diventato da poco direttore editoriale di nottetempo, esordisce nella narrativa con Tredici lune (edito dalla stessa casa editrice) in libreria dal 28 gennaio. Di recente il romanzo è stato proposto al LXXV Premio Strega da Gaia Manzini con la seguente motivazione: “[…] Alessandro Gazoia nel suo Tredici lune racconta di un editor, della sua vita personale e del suo lavoro ai tempi della pandemia, trovando una voce esatta e naturale: quella di un uomo di cultura che si ritrova a soppesare il senso delle parole e della propria quotidianità […]”.
Tredici lune di Alessandro Gazoia: la trama del libro
Il romanzo ha inizio con Ale, che è un editor e che sta trascorrendo il fine settimana insieme a Elsa, anche lei impegnata nel settore editoriale, ma come ghostwriter. È marzo del 2020 e il loro rapporto è agli inizi. Certe abitudini si stanno appena formando e la quotidianità di coppia è fatta di piccoli spazi conquistati o concessi: lo yogurt greco nel frigo, la tazza a fiori con il mese del reciproco compleanno sul comodino, un paio di maglioni di lei nell’armadio di lui, i capelli di lei sulla spazzola di lui. Ma questo è anche il periodo in cui ha inizio la pandemia: giungono le prime notizie incerte su possibili chiusure, informazioni che costringono Elsa a lasciare il weekend d’amore in anticipo per tornare a casa, a Napoli, dai genitori anziani, prima che non sia più possibile spostarsi, prima che chiudano tutto, giacché il lockdown è alle porte, il presidente del Consiglio Conte ha fatto il suo annuncio. E Ale, dopo aver lasciato Elsa in stazione, si organizza come può: conta i viveri in casa; prepara un Bug-Out Bag, uno zaino nel caso in cui si trovasse costretto a scappare con tutto il necessario consigliato dalle liste apocalittiche (qualche vestito e medicinale, una bottiglietta d’acqua, un coltellino svizzero, una fionda), e poi controlla che la bici sia perfettamente funzionante, poiché “basta guardare un qualsiasi film post-apocalittico per capire che ci si ammazza sempre molto per la poca benzina rimasta”. E ancora Ale prende ad applicare il metodo YOYO (You Are On Your Own): puoi contare soltanto su te stesso. Atteggiamento, questo, che si traduce nel fare quello che si può con quello che si ha: riparare la luce del bagno, per esempio, oppure cucirsi da solo (e male) una mascherina di stoffa. Anche scrivere storie, raccontini, “Microdemie”, come le definisce Ale, è un gesto che contribuisce ad attrezzarsi alla realtà, per uscire da se stessi e per comprendere gli ingranaggi di quanto sta accadendo.
I giochi prospettici attraverso la distanza
È proprio da una relazione amorosa vissuta a distanza che parte e si dipana un romanzo che di per sé è difficile definire tale e che si prefigura perlopiù come un resoconto, come la testimonianza di un uomo di cultura che è vicino e al tempo stesso lontano dai fatti narrati. Un gioco prospettico, quello dell’autore, che mette il lettore nella condizione di sentirsi vicini al protagonista, giacché la sua storia è un po’ la storia di chiunque in questo periodo; ma al contempo offre a chi legge la possibilità di vedere i fatti avvenuti e in divenire con la giusta distanza rispetto alla Storia di questi mesi.
Emblematica è la scena del protagonista che da un binocolo osserva i vicini, spia il mondo fuori. La distanza ha un ruolo determinante in diversi aspetti della narrazione: è banco di prova di una relazione appena nata; è quella imposta quando si è fuori, a fare la spesa; quando si parla al telefono, per forza da lontano; per semplificare, perché per tutto il resto, “per comprendere l’uomo in tutta la sua complessità ci sono appunto i romanzi”; per preservare la salute di un genitore anziano. E poi ancora la distanza fra i tavoli, fra le persone, fra le panchine di una stazione. La distanza è lo strumento che offre l’occasione per essere vigliacchi, per allontanare il dolore e la crudeltà: “In fondo è come con il dolore degli animali, mi risponde Elsa quando ne parliamo. Se i macelli fossero dentro il centro commerciale, proprio accanto al supermercato, pochi di noi mangerebbero carne”. Infine, la distanza è lontananza dalla normalità ed è anche lontananza temporale, è il futuro che “è quello che al telefono e nelle chat chiamiamo quando le cose ripartiranno o quando ne usciamo, qualche volta sento pure quando la situazione ritornerà normale o come prima ma è una distrazione e subito la persona si corregge perché l’unico punto su cui ora siamo tutti d’accordo è l’allontanarsi accelerato della normalità, dell’idea stessa di come prima”.
In ogni caso, la distanza ha, sì, un potere salvifico riconosciuto, ma al tempo stesso incute timore: viene percepita come irreversibile, e nega la possibilità che si possa scegliere per se stessi se tenersi o no lontani; una distanza, quella raccontata, che è fisica, viscerale. È anche, e soprattutto, mentale. E difatti, i rapporti sociali e lavorativi del protagonista erano a distanza già prima della pandemia, molta parte della sua vita si svolgeva al telefono, solo che prima si poteva scegliere di non farci caso perché era semplicemente la quotidianità. Mentre con il sopraggiungere della pandemia scriversi via messaggio, parlarsi al telefono invece che di persona sono tutti gesti che assumono un significato differente, se ne avverte la costrizione, la distanza, per l’appunto, la possibilità che questa non possa essere più eliminata.
Un anno con tredici lune
Quello raccontato dal protagonista è un anno complesso, un anno con tredici lune, appunto. Per il titolo, l’autore svela di essersi ispirato al film del regista tedesco Fassbinder: Un anno con tredici lune. È da molti anni che Ale non vede il film, durante tutto il romanzo ne rimanda la visione perché vederlo gli mette ansia, come leggere Dostoevskij o come Musil e preferisce guardare altro, come il documentario su Diego Armando Maradona, per esempio (e ancora una volta, entra in gioco la distanza quale scudo contro la paura). Ale riesce però a guardare la spiegazione del titolo la sera dell’8 marzo, dopo aver accompagnato Elsa in stazione. Nei titoli di coda trova scritto che “ogni settimo anno è un anno lunare, in cui un numero particolarmente elevato di persone soffre di depressione. Ma quando un anno lunare è anche un anno con 13 lune nuove, come il 1978, si verificano tragedie personali”.
a cura di Valeria Zangaro