Spezzate di Jude Doyle: perché ci piace guardare le altre sbagliare. Recensione

 Spezzate di Jude Doyle: perché ci piace guardare le altre sbagliare. Recensione

Dopo il successo ottenuto con la pubblicazione di Il mostruoso femminile, Edizioni Tlon ha portato in Italia un altro lavoro di Jude Ellison Sady Doyle: Spezzate. Il titolo originale, Trainwreck, è un indizio del tema su cui si concentrerà il testo, ovvero quel fenomeno che consiste nell’osservare con morbosa curiosità il disastro successivo alla caduta di una celebrità. Se vi siete mai chiesti cosa abbiano in comune Britney Spears, Whitney Houston, Hillary Clinton, Miley Cyrus, Mary Wollstonecraft e Valerie Solanas, questo libro potrebbe darvi qualche risposta.

 

Come si diventa una «trainwreck»: il furto della narrazione

Da quando i media sono diventati l’oggetto della nostra attenzione quotidiana e il punto di riferimento della nostra cultura, le vite di chi ha avuto il privilegio, la fortuna, il merito (a seconda dei punti di vista) di farne parte con continuità si sono spostate – per usare delle parole ormai inflazionate – sotto i riflettori. Questo significa che sappiamo di Brad Pitt molto più di quanto conosciamo dei nostri stessi amici, e nonostante chiunque sia in parte cosciente dei meccanismi che informano la narrazione di certi personaggi, tutti finiamo col credere a quanto ci viene raccontato. In sé, ciò non è un male, né un bene; lo diventa, però, quando quelle storie sono le uniche che conosciamo: Doyle lo chiama il «furto della narrazione».

«Tutto ha inizio con il furto della narrazione: diventare una trainwreck significa in un certo senso perdere il controllo del modo in cui ci si definisce, a vantaggio di un pubblico che se ne assume tutto il diritto […]. Vuol dire essere esposti a un’intimità non richiesta, ostile e pervasiva, vedere estranei che rivendicano la proprietà del tuo corpo, della tua storia sessuale e medica, della tua vita emotiva».

 

Un modello normativo di femminilità

Nel momento in cui una persona perde la possibilità di autodefinirsi, la sua identità e la sua immagine possono essere piegate a qualsiasi volontà esterna. Se si tratta di donne, secondo Doyle, l’obiettivo sarà sempre lo stesso: consegnare al mondo modelli normativi di femminilità.

«La trainwreck è una figura che mostra cosa significhi essere “sbagliate”, quali siano i vincoli che imponiamo alla femminilità, quali narrazioni permettiamo alle donne di incarnare. La trainwreck è colei che infrange le regole del gioco e viene punita, ed è perciò l’unica che può spiegarci veramente a quale gioco stiamo giocando e quali siano le regole».

È per questo motivo che Doyle decide di concentrarsi soltanto sulle figure pubbliche di genere femminile: perché se la caduta di una celebrità fa comunque, sempre, rumore, quella di una donna fa un rumore tutto suo. Osservando con attenzione l’elenco di personaggi messo insieme nel corso della riflessione ci si rende immediatamente conto di alcune costanti: il sesso, la pazzia, la rabbia, la carriera, l’incapacità di stare in silenzio. Sono questi alcuni dei «crimini» per cui le donne sono state condannate nel corso della Storia: l’impossibilità di scrivere e ottenere in questo modo successo a cui è stata costretta Charlotte Brontë è la stessa a cui è stata confinata Hillary Clinton, obbligata a pagare con la sua femminilità – se è intelligente, sarà frigida – la decisione di entrare in politica. Le vite delle trainwreck, in questa prospettiva, non costituiscono semplicemente delle storie agghiaccianti, ma indizi precisi di ciò che la cultura permette (o non permette) alle donne di fare, nel passato come nel presente. Tra le isteriche della Salpêtrière ritratte con morboso erotismo in pose sfacciate e gli scatti alle parti intime delle star che scendono dalla macchina (la cosiddetta pratica dell’upskirt) si viene a creare, così, una pericolosissima continuità.

 

Perché ci piacciono le storie delle trainwreck

Eppure, per quanto sia difficile ammetterlo, quando queste storie diventano pubbliche ci piace ascoltarle. La crisi di Britney Spears è stata una delle vicende più cliccate sulle pagine di gossip; Charlotte Love, per continuare a drogarsi e sfuggire alle crisi di astinenza, vendeva nuove e incredibili rivelazioni ai giornali, sapendo che il pubblico non ne avrebbe mai avuto abbastanza; le foto di Miley Cyrus dopo la sua evoluzione sono state tra le più viste e i commenti contro Taylor Swift, colpevole di scrivere canzoni sui suoi ex fidanzati, si sono solo moltiplicati nel corso del tempo. Perché? Le trainwreck ci attirano irresistibilmente perché potrebbero essere noi, ma non lo sono. Ci rassicurano rispetto al fatto che nulla di ciò che abbiamo fatto finora è andato oltre il limite: che, in fondo, siamo brave ragazze. Ma nel trasmetterci questo messaggio, le loro storie veicolano anche qualcos’altro – un monito, un avviso: stai attenta a non diventare come loro. Pazze, volgari, fuori controllo, deviate, destinate alla rovina: ognuna segue lo stesso pattern. È il prezzo per essere uscite fuori dai bordi, per aver reclamato una posizione attiva:

«Le pazze sono le donne che agiscono come soggetti, e non come oggetti, quelle che, invece di accettare passivamente il fatto di essere volute, agiscono spinte da un proprio volere».

 

La scrittura di Jude Doyle in Spezzate

Il lavoro di  Doyle parte da queste premesse e le sviluppa con cura e attenzione alle fonti, arrivando a offrire una prospettiva coerente su un tema che nell’era digitale diventa sempre più urgente. Leggendo questo testo non solo si impara moltissimo, ma si capisce qualcosa in più del mondo e di certi meccanismi che siamo abituati a subire passivamente. Lo stile di scrittura di Doyle è chiaro, coinvolgente e preciso: molto più vicino a quello di un romanzo che di un saggio. Per questo motivo, Spezzate si presta a essere un’ottima lettura introduttiva per chi vuole avvicinarsi al femminismo. O, più semplicemente, per chi è curioso sul modo in cui funzionano le storie.

 

A cura di Rebecca Molea

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Rebecca Molea

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