“Spettri diavoli cristi noi” di Riccardo Ielmini, romanzo vincitore del premio Neo edizioni 2024, è un’ode alla giovinezza perduta

Il 2 agosto 2024 si è conclusa la prima edizione del premio nazionale di narrativa Neo edizioni, la casa editrice abruzzese nota per aver scoperto, fra gli altri, autori come Paolo Zardi e Peppe Millanta. Il vincitore è stato Riccardo Ielmini, classe 1973, che nella vita lavora come dirigente scolastico e ha alle spalle una carriera notevole, avendo pubblicato i libri di versi Il privilegio della vita (Atelier, 2000) e Una stagione memorabile (Il ponte del sale, 2021), la raccolta di racconti Belle speranze (Macchione, 2011), e il romanzo Storia della mia circoncisione (Unicopli, 2019).
Ha anche pubblicato, fra gli altri, un racconto proprio qui su Rivista Blam!, storia poi confluita in parte in questo libro.
Spettri diavoli cristi noi di Riccardo Ielmini: la trama del libro
La narrazione è divisa in tre parti che sembrano richiamare il processo della dialettica hegeliana di tesi, antitesi e sintesi. Nella prima parte, «La Confraternita», infatti, rinveniamo il senso di unione tipico dei gruppi di ragazzini e adolescenti coesi intorno alle attività classiche della loro età: la «ghenga» – nome alternativo a quello della Confraternita, che i protagonisti si danno – trascorre i pomeriggi infiniti dopo scuola sulle bmx, a girare fra le strade e i boschi della Contea – un luogo ai limiti del mitico nel Nord Italia, al confine con la Svizzera –, un paese non meglio definito il cui nomignolo richiama piuttosto esplicitamente la pacifica Contea degli hobbit di Tolkien, il classico luogo in cui il male non dovrebbe arrivare. Eppure il male arriva anche qui. I ragazzini, imbevuti di religione e catechismo da parte dei familiari e dalle persone anziane del paese, attribuiscono al Diavolo e agli spettri le attività losche che accadono nei boschi. In questa prima parte si percepisce fortissimo il senso di mito che Ielmini attribuisce alla giovinezza: i luoghi sono enormi, il tempo infinito e indefinito, il bene è supremo ma il male è altrettanto ancestrale e atavico. I sentimenti sono potenti, sovrastano ogni cosa, e vengono filtrati dai luoghi della memoria, che li cristallizza nel passato.
La seconda parte, dal nome indicativo di «Diaspora», può essere egregiamente riassunta da una frase: «Poi io rimasi solo, la Confraternita sparpagliata su linee di destini ignoti». La Diaspora, la separazione tipica della post adolescenza quando, terminati gli studi, ognuno prende la propria strada e lascia il paese – si allontana dalla Contea come gli hobbit fanno all’inizio del Signore degli Anelli –, è l’emblema dell’antitesi hegeliana. Tutte le premesse della prima parte vengono ribaltate. Ielmini cambia toni: scompare la maestosità del mito e della leggenda, i tempi prima dilatati si contraggono, i sentimenti si raffreddano. Il male, assoluto e attribuito al Diavolo, assume sembianze umane e si scopre cosa realmente accade in quei boschi prima sacri e ora semplici luoghi di perdizione. Intervengono temi tipici dei tardi anni Novanta, primo fra tutti lo spaccio e l’abuso di droga. È bravo l’autore a inquadrare con una diversa lente gli stessi temi accennati nella prima parte, mettendo a fuoco ciò che prima era solo accennato attraverso il filtro della realtà.
La sintesi avviene nell’ultima parte, «Il ritorno della Confraternita». Da adulti i ragazzi si ritrovano ma non casualmente. Qualcosa è accaduto mentre erano lontani e ora, scoperte le carte, è tempo di chiudere il cerchio. Tornano le bmx, tornano i giri per la Contea, ma stavolta non vi sono tempi ignoti, sogni e speranze. È l’oggi, il qui e ora della realtà più concreta.
Gli spettri, i diavoli, i cristi e i noi
I temi sparsi per il libro sono molti. Ci si sofferma molto, soprattutto nella prima parte, sulle credenze popolari e sulla superstizione, sul modo in cui l’educazione religiosa forma le giovani menti, in taluni casi intrappolandole in una visione da un lato stereotipata della realtà e dall’altro – mescolandosi con la potentissima capacità immaginativa dei bambini – amplificando il senso di mistero di ciò che li circonda. Tutto è trasfigurato attraverso gli occhi dei protagonisti, che mitizzano ogni evento, ogni persona, ogni luogo.
Altro aspetto che emerge è, si è detto, l’uso delle droghe. Appena accennato nella prima parte, assume nella seconda un ruolo principe e legato a doppio filo con la trama. Lo spaccio dell’eroina negli anni Novanta è cosa nota e ha segnato intere generazioni. Ielmini tratta l’argomento in modo crudo, senza abbellimenti di sorta, che in effetti non sono necessari. Alcune scene risultano anche brutali ed è corretto che sia così: il male esiste, anche se non è causato dal Diavolo; anzi, è umano, molto umano, e pertanto ancora più inquietante.
L’amicizia, l’amore, il trascorrere del tempo sono altri aspetti che attraversano tutto il libro ma sono tutti indissolubilmente legati a ciò che sta al centro della narrazione: la nostalgia. Il grande filtro della nostalgia avvolge tutte le scene come se un film fosse stato girato in bianco e nero. La voce adulta racconta i tempi giovani delle prime scoperte – le biciclette, i boschi, i giorni lunghi e le notti misteriose – e lo fa con un tono caldo e avvolgente che ricopre ogni cosa. Quando i personaggi, cresciuti, tornano nella Contea, si respira l’aria della riscoperta. Si respira l’aria di chi rientra nel luogo natio che, ancorché modificato dal tempo e dagli eventi e non più vergine come nella propria memoria, è pur sempre casa. I luoghi di origine sono quella prima casa che non può essere dimenticata, anche se le persone conosciute non abitano più lì – i vecchi sono morti, i giovani se ne sono andati. Il romanzo di Ielmini, nella crudezza che lo contraddistingue, è una grande ode alla giovinezza perduta e agli affetti che l’hanno contraddistinta.
Lo stile di Riccardo Ielmini in Spettri diavoli cristi noi
Si sarà capito da quanto detto finora: Ielmini è crudo nella narrazione dei fatti quanto capace di dare calore e luce ai sentimenti. Alle scene terrificanti che avvengono di notte nei boschi vengono accostati momenti di puro lirismo quando si parla delle amicizie, degli amori e di quei sentimenti ambigui che mescolano l’amicizia e l’amore e sono qualcosa di più grande e indimenticabile. Ciò che colpisce è che i singoli episodi in cui è suddivisa la narrazione – ciascuno composto da una decina di pagine – sembrano a tratti racconti a sé stanti e all’inizio in effetti il libro appare quasi una raccolta di storie legate fra loro dai personaggi e dall’ambientazione. Man mano che si avanza, invece, i legami si infittiscono, si rafforzano e diventa necessario prestare maggiore attenzione per collegare qualcosa riportato molte pagine prima perché all’improvviso ha assunto valore fondamentale per la risoluzione della trama. Il romanzo di Ielmini è un romanzo-mondo che, in poche pagine, sussume una saga che non è familiare ma parla comunque di qualcosa che somiglia in maniera impressionante a una famiglia.
A cura di David Valentini