Spatriati di Mario Desiati: fare i conti con il proprio altrove interiore. Recensione
Spatriati è tante cose: un romanzo di formazione, la storia di un’amicizia, un viaggio a tappe verso il Nord (prima Milano, poi Berlino), il ritratto di una generazione di espatriati che mescola l’emigrazione con la ricerca identitaria e con la scoperta di orientamenti sessuali alternativi, ma anche il riconoscimento nostalgico della difficoltà di lasciarsi alle spalle la provincia da cui si è partiti, quel Sud immobilista, ruvido e poetico in cui inizia la vicenda.
Spatriati di Mario Desiati: la trama del libro
Francesco Veleno, voce narrante della storia, incontra per la prima volta Claudia Fanelli. Inizialmente a unirli non è l’affinità, ma la relazione extraconiugale tra la madre di lui e il padre di lei. A legarli è anche il fatto che, per Francesco, Claudia è un’apparizione, una creatura eccentrica e fiammeggiante che entra in scena con un cespuglio di capelli rossi e una cravatta dello stesso colore. Nel corso del romanzo, Claudia cambia pelle innumerevoli volte, senza mai perdere un’irriducibile spinta di anticonformismo e d’indipendenza.
È un legame di caratteri complementari: Mario è ritroso, poco intraprendente, segnato da un cattolicesimo intimista e ancorato al paese; Claudia, dotata di prontezza e spirito di iniziativa, è stimolata dalle nuove esperienze, tanto che si allontana presto dalla famiglia e da Martina Franca, luogo di nascita di entrambi. Vivono, così, un’amicizia a distanza che si condensa nelle telefonate, nelle letture condivise e nelle visite di Claudia a Martina Franca, finché anche Francesco non finisce per trasferirsi a Berlino. Nella capitale tedesca, regno di avanguardie, sperimentazioni e impulsi liberatori di una cultura giovanile ibrida e disinibita, Claudia e Francesco vivranno in parallelo due storie d’amore complicate. Lei con Erika, una ragazza sfuggente, poco affidabile e istintiva (una versione esasperata dei caratteri che contraddistinguono Claudia), lui con Andria, un georgiano affascinante che ha sposato la precarietà della sua vita come una dimensione liberatoria e con cui Francesco esplora il mondo fluido e sessualmente aperto delle infinite notti berlinesi.
Spatriare: andare a vivere altrove o fare i conti con il proprio altrove interiore?
Il titolo Spatriati, mutuato dal dialettale “spatrièt”, a Martina Franca non indica soltanto gli emigrati. È anche un termine dispregiativo per parlare di chi non trova una sua collocazione, di chi ha perso l’orientamento, di chi è percepito come spaesato, inadeguato, sbagliato, mancato. Su questa polisemia s’innesta una vicenda che manda avanti parallelamente la ricerca di un altrove in cui rintracciare un’alternativa al conformismo, e il senso di straniamento rispetto a un’identità e a un’appartenenza che non si abbandonano mai del tutto.
I due protagonisti, l’uno con la sua ostinazione a restare, l’altra con la sua necessità di partire e ripartire, rappresentano due scelte adattative contrapposte, due risposte alternative nei confronti della coscienza di una distanza esistenziale dai luoghi d’origine e dai loro molteplici riferimenti. Desiati mescola abilmente elementi eterogenei della descrizione del territorio: la cultura religiosa, i riferimenti letterari delle scrittrici pugliesi, una minuziosa ricostruzione botanica dell’entroterra rurale, l’Ilva e il suo profilo, la giunta di Nichi Vendola, i rave degli hippie nei boschi, un paesaggio fatto di cieli colorati e sospetto del mare dietro le colline.
Ma è nei dialoghi tra Francesco e Claudia (scambi allegri, sinceri, gelosi, bruschi, a volte surreali o interrotti da improvvise svolte comiche) in cui si avverte tutta la smagliante maestria di Desiati, e si misura la vicinanza ma anche la distanza tra i protagonisti, tra i loro modi diversi di concepire la fuga.
Berlino e le sue storie di “spatriati” italiani
Alla fine, però, anche Francesco approda a Berlino. Ed è il suo arrivo a creare un punto d’inflessione nella storia e a ricomporre un’amicizia più matura, più paritaria e meno marcata dai ricatti emozionali di Francesco e dalle eclissi di Claudia. A Berlino i due ragazzi si ritrovano, incespicano nei rispettivi affetti e intrecciano situazioni di convivenza e sostegno reciproco. Berlino è descritta come uno spazio in cui le identità hanno modo di esporsi anche attraverso estremismi stilistici, in una danza estrosa e liberatoria, contrappunto estremo di Martina Franca e dei personaggi ancorati, pacificati e invecchiati nel ricordo o nel rancore di ciò che avrebbero voluto diventare (tra tutti il padre di Francesco, animato da un’astiosa appropriazione del personaggio del marito tradito e disilluso).
Il romanzo è costruito da questi elementi di contrappunto, d’opposizione, in una cartografia di simboli, personaggi e luoghi antitetici. In definitiva è un racconto generazionale marcato da un buon numero di tensori: i conflitti, le indecisioni, le andate e i ritorni dei trentenni e dei quarantenni di oggi, una generazione di “giovani” la cui emigrazione, spogliata dell’epica e dall’ambizione di altre emigrazioni, nondimeno è un processo delicato, ambiguo. Per Francesco e per Claudia spatriare significa conquistare spazi di libertà e insieme allentare, senza mai sciogliere del tutto il legame con quei luoghi dai quali «non si può andar via senza graffi».
a cura di Annalisa Maitilasso